Mentre scriviamo, non sappiamo come si concluderà la discussione sulla proposta di legge dello jus scholae che consente l’acquisizione della cittadinanza italiana per il minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età e che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese, alla condizione di aver frequentato regolarmente, per almeno cinque anni, nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione oppure percorsi di istruzione e di formazione triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale.
La maggioranza di governo si è spaccata: con il centro destra contrario, il centro sinistra favorevole e il governo che ha affidato al Parlamento la discussione della legge.
Mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, presidente della Commissione episcopale per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, ha dichiarato: «La riforma va incontro alla realtà di un Paese che sta cambiando. Spero che le ragioni e la realtà prevalgano rispetto ai dibattiti ideologici, per il bene non solo di chi aspetta questa legge ma anche dell’Italia che è uno dei Paesi più vecchi».
La migrazione è sopportata se…
Gli orientamenti della politica rispecchiano il comune sentire della popolazione. A proposito di minori stranieri, si assiste contemporaneamente alla “ricerca” di minori da inserire nelle classi della scuola primaria dei piccoli comuni perché non ritorni la famigerata pluriclasse, antico retaggio degli anni del dopoguerra e, insieme, la fuga di iscrizioni dalle scuole con un numero consistente di stranieri.
Un segnale molto significativo: prevalgono gli interessi degli adulti italiani: i sindaci con le insegnanti per non ridurre i plessi scolastici, le famiglie che non si fidano di scuole con troppi stranieri.
Un risvolto che si allarga a questioni molto più ampie, la cui conclusione è: il fenomeno delle migrazioni è sopportabile se risolve un problema nazionale. L’integrazione non è tra le priorità, le migrazioni si sopportano se portano beneficio. Gli esempi sono innumerevoli: calciatori e atleti, società sportive, piccoli commerci, badanti, lavoratori agricoli, lavoratori dell’edilizia.
Nessun tifoso protesta per la sua squadra se è composta da stranieri o se è acquistata da società estere; la gara per gli sconti della passata di pomodoro non scandalizza nessuno e nemmeno chi accudisce le mucche da latte, perché non viene il dubbio che, nella catena di distribuzione di un prodotto, chi paga di più è il lavoratore! Meglio i cinesi che spendono senza troppe trattative.
È benedetto il milione di badanti – tra regolari e irregolari – che accudiscono i nostri vecchi: debbono pure voler loro bene, compreso nel contratto.
Altro dettaglio: lo straniero a contatto con il pubblico deve essere di “pelle bianca”, perché i clienti non sopportano gente di colore, eccetto modelle, purché belle. Per le celebrazioni liturgiche presiedute da un sacerdote straniero, il commento è: “meglio di niente!”, seguito da sospiri.
Una risposta mancata
Una cultura che si ostina a non guardare futuro. Non a caso è stato citato il fenomeno della denatalità. La tendenza del nostro paese va verso l’invecchiamento, per la maggiore durata della vita e per le difficoltà sempre maggiori alla procreazione.
La famiglia è sempre più sotto scacco: per motivi affettivi, di lavoro, per mancanza di servizi. Una giovane coppia, senza genitori accanto, in una grande città deve pensare molto prima di mettere al mondo un figlio. Deve calcolare a chi lascerà la creatura, quando i due sono a lavoro.
In questo scenario di cambiamento sfuggono i grandi problemi e le tendenze sociali. Se uno dei maggiori indici dell’economia delle nostre aziende è l’export, possibile che non si immagini che ne consegua il movimento delle popolazioni?
Ricordo che agli inizi degli anni ’90 in Albania le persone parlicchiavano l’italiano, perché i programmi seguiti erano quelli dei nostri canali televisivi, immaginando un mondo paradisiaco.
Ricordate l’immagine della nave Vlora sbarcata a Bari con 20 mila migranti al grido “Italia, Italia”?
L’occasione mancata è stata quella di non aver disposto nessun meccanismo di integrazione e di programmazione della vita. Ognuno ha dovuto arrangiarsi: chi aveva risorse, lentamente, facendo appello alle proprie energie, si è sistemato; altri hanno scelto addirittura vie criminose.
Rimangono due nodi
Sono due, dunque, i grandi nodi che la discussione della legge dello jus scholae non risolverà.
Il primo è l’accompagnamento nella vita quotidiana.
Trattandosi di minori, i momenti educativi sono risolutivi. Cittadinanza o no, i minori saranno aggregati agli altri ragazzi, il cui accudimento sarà a carico della famiglia. Quale famiglia? Secondo le statistiche, risultano le più diverse: equilibrate, sufficientemente coese, con risorse, oppure scomposte, difficili, povere.
Quali gruppi di pari frequenteranno? Gli amici o presunti tali, in gruppi non sempre tranquilli e positivi.
Quel ragazzo e ragazza come si comporteranno? È l’enorme problema dell’abbandono degli adolescenti, italiani e stranieri.
Solo la sorte dirà se potranno crescere con equilibrio ed entrare nell’età matura. Limitare la discussione alla cittadinanza è qualcosa, ma non è risolutivo.
I cambiamenti culturali influiscono sui minori. Le agenzie educative sono in difficoltà, così le famiglie e la scuola. È diventato urgente dialogare con loro, cercandoli, senza giudicare, tirando fuori i loro sogni e le loro capacità.
È questa la grande scommessa – secondo nodo – su come potranno diventare adulti.
Fa tristezza la discussione tra i cinque anni necessari per la cittadinanza, oppure otto, oppure nulla. I ragazzi sono già mescolati: si frequentano, si sfidano, fanno comunella. Gli adulti non possono limitarsi a guardarli. Vanno aiutati insieme alle loro famiglie e ai loro insegnanti.
Possono essere una risorsa se adeguatamente seguiti. Nel nostro Parlamento questo non avverrà: si limiteranno ai luoghi comuni, salvo poi ritrovarsi con problemi appellando alle Forze dell’Ordine o alle telecamere, dove scoveranno italiani e stranieri, maschi e femmine.
padre Albanesi è il soluto utopista che pontifica dall’alto ma NON VEDE LA REALTA’. io vivo a Correggio ma giro il nord per lavoro. quante volte sento parlare la lingua non italiana fra bambini e genitori stranieri che si ostinano a mantenere le tradizioni di origine rispetto all’inculturamento italiano. gli immigrati italiani che andavano in America negli anni 20-30-40-50 erano inviati e spinti dai genitori ad imparare presto la lingua locale per “non far pesare la loro origine”.
per non parlare dei ghetti veri e propri e delle compagnie che spesso gli stranieri frequentano. a parte forse il mondo sportivo ove chiaramente si mescolano volentieri le razze e le provenienze, il mondo scolastico non offre certo molta integrazione: anzi , vediamo spesso come i simboli religiosi “nostrani” vengono osteggiati o usati col bilancino per non creare fastidio! Quindi altro che 5 anni! per diventare cittadino italiano bisogna dimostrare di volersi integrare realmente, di rinunciare a quei disvalori che a llignano in alcune società straniere (es. la cultura arabo-islamica è molto difficile da adattarsi alla cultura occidentale). aveva ragione il card Biffi quando diceva: prima accogliamo gli stranieri dai paesi cristiani, poi vengano gli altri.
‘quante volte sento parlare la lingua non italiana fra bambini e genitori stranieri che si ostinano a mantenere le tradizioni di origine rispetto all’inculturamento italiano.’
Sinceramente, a me basta che poi sappiano esprimersi anche in italiano. Tra di loro possono parlare tutte le lingue che vogliono.
L’inculturazione non è sradicamento o rinnegamento della propria identità di origine