Il “Patto di misericordia” tra Gesù e Maria

di:

sacro cuore

Il 24 giugno abbiamo celebrato la solennità del Sacro Cuore di Gesù, testimone dell’amore infinito di Dio per l’uomo, e, il giorno dopo, le disposizioni liturgiche ci hanno offerto la possibilità di celebrare la memoria del Cuore immacolato della beata Vergine Maria.

Una duplice festività sull’amore misericordioso nel mistero della salvezza? Non è forse unica l’origine?

Il “Patto della misericordia” tra Gesù e Maria in Etiopia

Prima di giungere a qualche nota di chiarimento e di sintesi, vedrei la pietà mariana al riguardo nelle Chiese orientali, partendo dall’Etiopia, dove la devozione alla Madre di Gesù supera quella di ogni altra nazione. Vi sono oltre cento espressioni particolari per lodare Maria e molti le conoscono a memoria. Ogni mese il calendario enumera due o tre feste mariane, e il Natale è preceduto da quaranta giorni di digiuno. Esiste un’ampia letteratura con inni, preghiere, omelie.

Poi passerei alle Chiese ortodosse slave e quindi la pietà popolare occidentale.

Una fiducia speciale è riposta in Maria “Madre della misericordia”. A fondamento di questa forma di devozione si può riconoscere l’influsso di racconti tratti da vangeli apocrifi sulla Madre di Dio. Emergono quelli che raccontano della dormitio o del transitus di Maria, la quale, risvegliatasi nell’altro mondo, avrebbe voluto o potuto percorrere i mondi ultraterreni. In tale giro di conoscenza Maria avrebbe potuto vedere anche l’inferno. Secondo altre tradizioni, invece, ella avrebbe avuto una visione di tale luogo di sofferenza già prima di “morire”, andando spesso sul Calvario, dopo l’Ascensione di Cristo in cielo.

Ora, si narra che Maria, di fronte all’orrore per tanti supplizi, fu colta da angoscia e divenne triste. Gesù si accostò a lei, chiedendo perché piangesse e la madre spiegò il motivo.

Allora Gesù fece con Maria un Patto di misericordia (in ge’ez: Kidana Meherat), assicurando che, se qualcuno avesse offerto a un assetato (lebbroso) anche soltanto una coppa d’acqua per amore di Maria, sarebbe stato salvo, pur se avesse commesso dieci omicidi. Secondo un’altra versione, tale patto riguardava ogni forma di devozione e di celebrazione in onore di Maria, e non soltanto l’offerta dell’acqua.

La rappresentazione pittorica in affreschi, icone e pergamene prevede tre forme. Nella prima Gesù e Maria si stringono fortemente la mano, ponendola ben in evidenza, come avviene tra amici che si accordano e si guardano negli occhi. Un’altra forma pone al centro l’immagine di una bilancia sostenuta da un angelo: su un piatto si trova una coppa con acqua e sull’altro dieci teste mozzate (simbolo degli omicidi); la bilancia pende verso il lato con l’acqua, mentre sullo sfondo si vede una scena d’inferno. In una terza modalità pittorica Maria è china, rivolta in preghiera verso il Figlio. Spesso si trova tale immagine tra quelle che accompagnano la passione del Signore.

In Etiopia è questa una tradizione frequente, che si esprime in molti testi e preghiere ed è considerata come un “terzo o novissimo testamento” dell’Economia divina per la salvezza del genere umano, un’Alleanza tra Gesù e Maria per tutti gli uomini.

In una delle preghiere chiamata Salamta (Saluti) tra l’altro si esclama: «Salam alla tua bocca (Madre di Dio) grandemente benedetta, porta santa del Libro. Io ho trovato rifugio, Maria, nel tuo Patto che trovò buona accoglienza. Non farmi vergognare davanti al Figlio tuo e in presenza di migliaia di angeli, quando la (mia) lingua sarà tagliata e la bocca sigillata».

Per celebrare tale Patto si tiene una solenne festa liturgica il 16 Yekatit (che corrisponde al 10 febbraio) ed è ripetuta ogni mese in forma di “memoria”.

Il Patto (Kidana) è divenuto anche un nome proprio della Madonna con cui ella viene spesso invocata e per devozione a lei è talvolta dato come nome di battesimo alle bambine. Nella pietà popolare poi le grazie che sono richieste alla Madonna Kidana riguardano la liberazione non soltanto dall’inferno, ma da ogni male che possa colpire una persona.

In un volume curato nel 2011 da Stanislaw Chojnacki con una quarantina di icone “portatili” in uso in Etiopia, tre di esse raffigurano Kidana Meherat.

Il commentatore osserva che, per gli etiopi, vi sono tre elementi portanti della fede che talora appaiono a noi come se essi considerassero tre vie diverse per ottenere la salvezza: una è cristocentrica; l’altra si basa sulla profonda devozione a Maria e sul suo potere di intercessione, come si manifesta appunto nel Patto di misericordia; la terza si riferisce alla fervida credenza nei santi e nelle loro caratteristiche di intercessori, iniziando da san Giorgio.

Immagini di tale Patto si trovano nelle chiese del noto centro religioso di Lalibelà, ma anche in quelle edificate attorno al lago Tana. Tra queste vi è un’ampia basilica che porta il nome di Ura Kidane Mehret.

Il luogo è considerato spazio santo dagli ortodossi etiopi, perché qui si stabilì un primo insediamento cristiano e vi sarebbe stato sepolto il primo vescovo del paese san Frumenzio. Le isole del lago servirono anche come nascondiglio per i tesori delle chiese del circondario quando vi furono disordini. I resti degli edifici sacri più antichi testimoniano una storia di molti secoli; quelli conservati sono più recenti o ricostruiti.

La chiesa dedicata al Patto di misericordia, situata sulla piccola penisola lacustre di Zeghie, sul litorale occidentale, risale al XVII secolo e contiene ricchi cicli pittorici del XVIII e del XIX secolo.

In una nicchia compare Gesù in trono che stringe la mano a Maria in ginocchio. Essi sono circondati da angeli e santi, mentre sullo sfondo si vede l’inferno.

In un’altra nicchia ritroviamo la scena della bilancia. In una pergamena Maria è rappresentata in piedi nell’atto di intercedere presso Gesù, pure in piedi, ma ormai benedicente (avendo accolto la richiesta di Maria) mentre file di angeli ornano i quattro bordi del foglio.

La tradizione del Patto ha raggiunto anche Sumatra, in Indonesia. Vi è una cittadina chiamata Giangi Maria che sarebbe stata fondata secoli fa da cristiani e il cui nome significherebbe “Promessa a Maria”.

Si ripete la stessa tradizione dell’Etiopia: la promessa di Gesù di salvare una persona, anche se colpevole di dieci omicidi, se ha il coraggio di offrire una coppa d’acqua a un lebbroso in onore di Maria santissima. Pittoricamente il Patto della misericordia è qui espresso con l’immagine della bilancia.

La comunità cattolica è ora sostenuta da padri cappuccini.

La tradizione ortodossa

La venerazione a Maria che domanda misericordia per i peccatori fu condivisa tra Oriente e Occidente già nel primo millennio e ben presto si parlò di Maria Deesis, ossia “Colei che intercede”.

Sant’Ireneo di Lione, nel secondo secolo, chiama Maria “avvocata” e, tre secoli dopo, tale titolo si usa nella liturgia detta di San Giacomo.

Dal settimo secolo vi sono pitture e mosaici dove, ai lati del Crocefisso – e più tardi di Gesù in trono –, vi sono la Madre e san Giovanni Battista che intercedono. Questa idea fu maggiormente sviluppata nell’iconografia d’Oriente, mentre l’Occidente fece apparire Maria che intercede al momento del Giudizio universale, rappresentazione che non è assente per sé nemmeno nell’ortodossia.

Nel mondo orientale l’immagine della Deesis è spesso collocata al centro dell’iconostasi, per indicare che Maria clemente preannuncia il mistero di salvezza e ci introduce in esso.

In Russia

In Russia, nel XIII secolo, si è codificato un modello specifico definito Pokrov, parola che significa “velo”.

Si racconta che, nel 936, Maria santissima rese visita al popolo credente riunito nella chiesa di Costantinopoli a lei dedicata detta delle Blacherne (ancora oggi esistente nel quartiere Faith di Istanbul), pregò per l’assemblea dei fedeli là riuniti e quindi stese su di loro il suo velo in segno di benedizione. Ne seguì una festa liturgica che esprime l’infinita compassione della Vergine Madre, il suo potere di intercessione e la tenerezza materna verso tutti gli infelici della terra. Vi sono icone con questa rappresentazione (ad esempio nella Galleria Tretjakov di Mosca).

Di fatto, si tratta di una forma di devozione popolare, grazie alla quale i russi affermano una loro autonomia religiosa e prendono le distanze dalla tradizione di Costantinopoli e di Kiev.

In Ucraina e Lituania

In Ucraina, invece, si venera la Madonna della Gioia Improvvisa. Essa si ispira ad un racconto elaborato da san Dimitri di Rostov sul Don (1651-1709), che fu anche metropolita ucraino, con l’appoggio dello zar Pietro il Grande, e che è stato canonizzato dalla Chiesa ortodossa.

Vi si narra di un povero giovane di nome Fjodor che aveva una formazione religiosa rudimentale, ma una fiducia profonda verso la Santa Vergine. Per alleviare il peso della sua misera esistenza, aveva preso l’abitudine di commettere dei piccoli furti. Un giorno venne adocchiato dal capo di una banda di briganti con l’intento di aggregarlo al suo gruppo, facendogli balenare la prospettiva di una facile ricchezza con un “bel colpo”.

Fjodor ne fu lusingato ma, passando davanti ad una chiesa, pensò di entrarvi per avere aiuto. Si mise a pregare davanti a un’icona della Vergine Madre con il Bambino Gesù in braccio. All’improvviso vide che Gesù apriva le sue mani e mostrava le ferite sanguinanti della passione, e così anche quelle dei piedi e del costato.

Atterrito dal prodigio, Fjodor chiese alla santa Madre di Dio: «O mia Signora, cosa sta succedendo? E chi ha provocato queste piaghe a un bambino?». La Madonna rispose: «Tu e tutti i peccatori che ogni giorno crocifiggete il mio figlio con i vostri peccati!». Fjodor piangendo disse: «Abbi pietà di me!».

Allora Maria posò il suo sguardo pietoso e amorevole sul giovane, il quale le domandò di intercedere per lui presso Gesù. Ma il Cristo – sempre secondo il racconto di san Dimitri – si mostrò riluttante a concedere il suo perdono, almeno non senza una lunga penitenza. La Santa Madre supplicò il Figlio di essere benigno con quel giovane comunque pentito.

Vinto dall’insistenza della Madonna, Gesù alla fine concesse la remissione della pena e Fjodor, preso da una gioia immensa per la bontà del Signore, baciò con ardore le piaghe e mise in atto il proposito di mutare per sempre la sua vita.

L’iconografia ha tradotto in immagini tale racconto.

All’Ucraina è legata anche la grande devozione dei lituani alla Madre di Misericordia della Porta dell’Aurora di Vilnius. Essa risale al 1363 quando il granduca lituano Algirdas conquistò Kherson (a sud dell’Ucraina) e riportò una santa icona della Madre di Dio come regalo per la moglie Luliania, la quale la installò nel monastero della Trinità, incluso poi nelle mura della città, con la venerata immagine che guarda all’interno.

Nel 1661 si attribuì ad essa la vittoria polacco-lituana e sulla porta fu costruita una cappella, mentre l’icona era rivestita in oro e argento.

Qualche storico suggerisce che forse, in quell’occasione, si è sostituita anche la piccola icona originale con una più grande.

Nel 1795 lo stesso zar, che fece demolire le mura della città, lasciò tuttavia intatta la Porta dell’Aurora con la sacra immagine tanto venerata da cattolici e ortodossi.

Anche il regime sovietico rispettò il luogo.

Quando i lituani entrano in città attraverso quella porta, si girano per salutare Maria e, quando escono, si soffermano prima di varcare la soglia; altri restano in preghiera sulla strada.

I cattolici (che sono il 77% della popolazione della repubblica) celebrano la Madonna Nera di Vilnius il 16 novembre, ma tutti i lituani, passando sotto quella porta, fanno un gesto di devozione alla Madre della misericordia.

Papa Francesco vi si recò il 22 novembre 2018. Una preghiera tipica inizia: «O Madre mia, santa Vergine Maria, io mi affido totalmente alla tua grazia e indicibile misericordia, oggi e sempre e soprattutto nell’ora della morte».

Breve riflessione teologica

Ci sorprendono forse questi racconti e queste devozioni, quasi che Maria sia più clemente del Figlio stesso, il che non sarebbe teologicamente sostenibile. In realtà, Maria riceve dal Signore il dono della clemenza e non può certamente dare più di quanto riceva. Ella stessa per due volte nel Magnificat afferma che tutto viene dalla misericordia di Dio: sia le grazie personali sia il bene dell’umanità. Dio resta la fonte ultima di ogni bontà e di ogni vera compassione.

In realtà, nella devozione a Maria come Madre della tenerezza, esprimiamo anche il riconoscimento dell’affetto materno che è nel Dio dell’Alleanza, poiché in lui hanno origine ogni nobile affetto e ricerca di bene.

Del resto, anche noi invochiamo Maria come Madre della misericordia, avvocata nostra, rifugio dei peccatori, ausiliatrice, speranza nostra, soccorritrice, consolatrice, Madonna delle Grazie…

Già nell’antichissima preghiera testimoniataci da un papiro in lingua greca ritrovato in Egitto si dice: «Nella tua tenerezza ci rifugiamo, o Madre di Dio; nelle nostre angustie, le nostre suppliche non disprezzare, ma liberaci dal pericolo, o sola pura, o sola benedetta».

Similmente fu ripresa la supplica nella Salve Regina e in altre preghiere. Dai secoli XI-XII, infatti, sotto l’impulso di vari mistici tra cui san Bernardo (con il suo De planctu B.V. Mariae) si prestò più attenzione al potere di intercessione di Maria, mettendo in luce la compassio Mariae, specialmente per i peccatori.

Nel secolo XVI si ebbe l’estensione della preghiera dell’Ave Maria, che, antecedentemente, era soltanto inno di lode alla Madonna.

Non si è mai pensato, però, che bastasse un ricorso formale a lei senza che vi sia una vera conversione e quindi una imitazione al suo esempio di fedeltà a Dio e, ancor meno, che il ricorso a Maria sia una formula magica e non un vero e sostanziale approssimarsi a Cristo. Come ai servi di Cana, Maria ci invita a rivolgerci a Gesù.

Non mancano pitture nelle quali ella è raffigurata mentre intercede per i peccatori, è il “rifugio dei peccatori”: basti pensare a Maria che, con il suo mantello, protegge le varie categorie di persone o, in forma più recente, i popoli della terra, o anche al Giudizio Universale di Michelangelo.

Noi crediamo che in Dio c’è il supremo amore paterno ma anche quello materno, che si esprime in forme varie nella vita dei cristiani.

Onnipotenza, giustizia e misericordia sono congiunte; la necessità di ravvedersi dai peccati è un tema prioritario nell’annuncio del Vangelo e nella vera devozione mariana, ma lo è anche la proclamazione dell’abbraccio misericordioso di Dio.

Una signora cattolica, cui riassumevo simili riflessioni, mi disse una volta: «Condivido con lei la verità teologica… ma sono lieta che Dio ci abbia concesso Maria, che mi permette di avvicinarmi a lui sapendo che è anche materno e di riconoscere in lei una madre che intercede per noi».

Nel Prefazio della messa a Maria regina e madre della misericordia si afferma: «Padre buono, nell’eterno consiglio del tuo amore ci hai dato nella beata Vergine Maria la regina clemente, esperta della tua benevolenza, che accoglie quanti nella tribolazione ricorrono a lei… che interviene incessantemente per noi presso il tuo Figlio, perché soccorra la nostra povertà con la ricchezza della sua grazia e con la sua potenza sostenga la nostra debolezza».

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2 Commenti

  1. Pietro 13 luglio 2022
  2. Silvia Camaiori 12 luglio 2022

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