Di solito si inizia a guardare una serie TV dietro al suggerimento di un amico, meglio se accompagnato da qualche indizio che ne preannuncia il fascino e il mistero.
La mia visione di Manifest è stata incoraggiata dalla sommaria descrizione della trama, di un aereo con 191 passeggeri che, dopo una tempesta di nubi e scariche elettriche, viene dato per disperso per circa 5 anni e mezzo. Ricompare, improvvisamente, sul suo tragitto originale, ma per i passeggeri del volo sono passate solo poche ore.
L’avvio della prima stagione è ben ideato. Le storie dei protagonisti − Ben, Michela e Cal − «prendono» il telespettatore, che non solo vuole conoscere che cosa è accaduto su quel volo, ma vuole capire il perché delle «chiamate», delle voci interiori e delle istruzioni che i passeggeri tornati dalla presunta morte sperimentano, inizialmente in maniera caotica. Tali voci sembrano rivolgersi sempre a scopi con fine di bene.
Questo il secondo aspetto che mi ha attirato: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28), citazione che ricorre spesso, come il «mantra» della nonna di Michela. Attraverso questa citazione, almeno all’inizio, sembra che un intervento divino si celi dietro alle storie secondarie presenti in ciascun episodio, soprattutto nei lieti fini.
Trama o «blocco di materiale»?
La storia (però) si intreccia (e perde in credibilità). Il distretto di polizia dove Michaela lavora, non guarda (giustamente) di buon occhio la risoluzione miracolosa di diversi casi (ma nessuno poi fa nulla di effettivo per spiegare i poteri di questa protagonista). Si aggiungono gli interventi dell’NSA, del Pentagono, e anche di un credibile cattivo nella figura del Maggiore, che però muore (troppo) facilmente a metà della seconda stagione.
Poi, un’infinità di personaggi minori che entrano ed escono come meteore dalla sceneggiatura, senza badare troppo alla logica della storia. Viene tirata in ballo la scienza, e per qualche puntata c’è una gustosa teoria, che tutti i passeggeri abbiano un marker genetico, ma poi il filone è abbandonato. Poi nasce la «chiesa dei redivivi», che osanna i passeggeri e li vede come santi che hanno la missione di salvare i loro adepti dalle loro malattie. Questi si scoprono fanatici fideisti che arrivano alla violenza pur di ricevere un miracolo. Poi ancora abbiamo gli oppositori al volo 828, gli Xiani, i quali cercano di contrastare e bandire i passeggeri. Poi tutta una serie di teorie complottiste che vedono dietro ai fatti il governo e oscure macchinazioni.
Si rasenta poi il ridicolo quando, nella trama principale, si aggiungono (a caso) elementi biblici e mitologici per spiegare (inutilmente) il mistero. Vengono evocate figure simboliche come il pavone, il lupo, la coincidenza di date e via dicendo. Vengono fatte «complesse» ricerche su Internet per associare i fatti. Ma si ritiene lecito «aggiungere al minestrone» anche passaggi biblici, come l’arca di Noè, il monte Ararat, citando qua e là il Santo Graal, e poi un mazzo di tarocchi creati da un antico navigatore. La confusione a questo punto sembra regnare sovrana eppure il paradosso incombe, ma questa volta nella realtà.
Il 14 giugno 2021, la NBC, che deteneva i diritti, di fronte al calo degli ascolti annuncia la cancellazione della serie dopo solo 3 stagioni, nonostante avesse preventivato un totale di sei. Ma i fan (e sono parecchi!) non possono sopportare di non avere il finale della storia. E allora ecco che le riprese continuano, con il colpo di scena del 28 agosto successivo, quando Netflix (che forse vede un affare) annuncia che produrrà una quarta e definitiva stagione in ben 20 episodi che sarà possibile vedere già prima della fine del 2022.
Cosa si potrebbe salvare? Forse l’intreccio infinito e strambo della storia che paradossalmente ha a che fare con la realtà (alle volte imprevedibile, alle volte troppo banale e noiosa). Ad esempio, le storie amorose: Michaela sull’aereo, girando fra le dita l’anello che le era stato dato, aveva accettato di sposare Jared, ma nei 5 anni e mezzo di assenza, Jared finisce per sposare Lourdes, la migliore amica di Michela. Poi Jared ci ripensa, tanto che tradisce Lourdes che lo lascia (e scompare dalla serie). Michela incontra Zeke, lo aiuta perché come lei è un redivivo, e alla fine se ne innamora e di colpo lo sposa. Così Jared è «autorizzato» a innamorarsi di un’altra donna. Lo stesso accade anche con Ben e Grace, che, nel buco temporale, si era messa con Denny, ma poi Denny sparisce e allora Ben e Grace possono tornare insieme.
Costruite per la «bulimia» (binge watching)
Cosa apprendere da una serie TV come Manifest? Anzitutto, che quelle che una volta venivano chiamate maratone televisive rischiano di diventare delle vere e proprie abbuffate, come suggerisce il termine inglese binge watching. Usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza interruzione, potendo seguire una serie anche se assurda, per certi versi, ma capace di «stregare» lo spettatore, può portare alcuni a «consumarla» per intero nel giro di 24 ore.
Si tratta di un cambiamento paradigmatico. Mentre nella «modalità classica», telefilm o cinema, la fruizione della realtà interpretata dagli attori, anche nel caso di prequel e sequel, permetteva che la storia e i suoi sviluppi fossero fruibili (e gustati e riflettuti) in un tempo cadenzato e disteso, la nuova situazione rende gli spettatori «affamati», pronti ad esaurire la serie in corso il prima possibile (arrivando alla fine, lasciandola a metà, o soltanto «assaggiandola» en passant con lo zapping), ansiosi della successiva, cadendo di fatto in una forma di dipendenza.
Che dire? Ci sono serie che valgono e vanno viste (e riviste), e che fanno riflettere. Ma fa riflettere anche la proposta di un «blocco anonimo» di tanto materiale – come quello delle serie TV Manifest – che sta lì a riempire il tempo di coloro che guardano, e ancora di più le tasche dei produttori (che non disprezzano affatto). E intanto, anch’io attendo la quarta e ultima stagione, più per dovere di lavoro che per una vera curiosità sul finale. Il consiglio, allora, è semplice: fruire di queste serie TV non solo “con la pancia”, ma con la testa!