Luca Serianni

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Luca Serianni è stato un mio professore. Ho dato con lui due esami di Storia della lingua italiana, negli anni ’80, quando era da non molto diventato ordinario della cattedra all’università “La Sapienza” di Roma.

La materia che insegnava poteva essere affascinante o noiosissima: era un insieme di linguistica, glottologia, storia, letteratura, che poteva condurti a studiare Dante come Pietro Bembo, le leggi che trasformavano la “o” latina in una “uo” italiana, o il modo in cui si scrive la definizione di una parola per un dizionario.

Insomma, nell’affrontare annotazioni filologiche, caratteristiche fonetiche, testi stracolmi di parole come “conciossiacosaché” o “rabuffare”, era facile perdersi, scoraggiarsi, rinunciare; poteva, soprattutto, smarrirsi l’interesse, la motivazione, perché la distanza fra quel passato e il nostro presente, fra quel mondo e il nostro mondo di ventenni appariva sconfinata, pressoché (o pressocché? Ci vorrebbe lui, a dirimere il dubbio così, al volo…) incolmabile.

Codurre per mano in una lingua

Ma, appunto, pressoché incolmabile, quasi; perché Serianni, le distanze, le colmava. Riempiva lo spazio fra il sapere e la nostra incompetenza: nessuno, con lui, grazie a lui, aveva più la percezione che quell’abisso di ignoranza non potesse essere superato.

Certo, le cose da imparare erano tante, e nuove anche se vecchie, e a volte molto complicate; ma il modo in cui lui te le spiegava le faceva diventare abbordabili, afferrabili: nulla apparteneva a un mondo troppo alto per essere raggiunto.

E questo avveniva con gentilezza, con ironia, ma senza agenti edulcoranti: nessuno ti raccontava che il sapere non richiedesse impegno, attenzione, sacrificio; solo che tutti noi che seguivamo quelle lezioni capivamo che quel sapere era attingibile, era alla portata, dipendeva da quello che avremmo fatto. L’insegnamento di Serianni, ancorché esatto e privo di indulgenze – la storia e la lingua non lo permettono – era un insegnamento democratico.

Una sera, un soufflé di finocchi…

Ed era un insegnamento educato. La forma del rapporto interpersonale era sempre ineccepibile, sia che si esprimesse in una lezione, sia in un colloquio riservato, sia durante un esame. E d’altra parte, in questa educazione non si percepiva l’istituirsi di una separazione, ma il riconoscimento di un codice comune, di garanzia per docente e discente, un linguaggio all’interno del quale le regole permettevano una sicurezza che familiarità di facciata, o di moda, potevano invece mettere a repentaglio, aumentando la possibilità di malintesi.

Della sua cortesia innata, peraltro, io ebbi ulteriore testimonianza durante una cena a casa di amici, alla quale lo avevamo invitato. Con l’incoscienza del ventenne mi avventurai a preparare un soufflé di finocchi, piatto che né un galateo formale, né un cuoco anche solo inesperto avrebbero ammesso: di fronte al risultato disastroso, Serianni mantenne un aplomb impeccabile, e pur sorridendo di fronte alla mia disfatta culinaria, non evitò complimenti persino sinceri.

Testimonianze

Non sto qui a elencare i risultati oggettivi conseguiti da Serianni nel corso della sua vita accademica, chiunque può leggerli con una breve ricerca in rete, e rendersi conto della vastità dei suoi interessi, e della sua cultura.

C’è però un’altra cosa che vorrei sottolineare, che mi ha molto colpito nei giorni immediatamente successivi al suo decesso. Si sono letti molti articoli, molte commemorazioni, che hanno sottolineato il suo valore: tutto giusto, tutto più che corretto e dovuto.

Ma ancora più significative, secondo me, sono state le innumerevoli testimonianze dei suoi alunni, dai più vecchi come me, ai più giovani: in tutte, tutte, era presente l’apprezzamento per un’opera di docente straordinaria nella sua dedizione, il senso di una mancanza personale, la riconoscenza per un rapporto individuale significativo, e, fondamentalmente, l’affetto.

Serianni era, ed è, un professore considerato, stimato, ammirato; ma, più di tutto, è stato un professore amato. E non è, questa, una cosa scontata, né frequente: perché implica l’essere stati capaci di trasmettere agli studenti un insieme di valori che travalica l’ambito della mera competenza, della tecnica, della nozione, ma si trasforma in un rapporto educativo che necessariamente pone la persona al centro dell’esperienza, e il suo miglioramento complessivo come risultato fondamentale dell’apprendimento.

Grazie professore

Io non so se, in cosa e quanto sia migliorato, dopo aver avuto la fortuna di incontrare Luca Serianni: sono certo, però, che senza quell’incontro sarei una persona meno ricca, e un uomo peggiore.

E so pure che la notizia della sua morte mi ha lasciato un vuoto al quale non ho saputo replicare; ma sapere che in questo non sono solo, mi ha dato la consolazione che, almeno stavolta, del mio giudizio posso fidarmi.

Professore, grazie per tutto quello che ci ha regalato: l’unico rimprovero che mi sento di farle, è di averci lasciato troppo presto. Ma sono certo che, da qualche parte, fra qualche tempo, ci troveremo di nuovo.

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