Il papa e il copricapo dei nativi canadesi

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L’impatto del viaggio papale in Canada resta in equilibrio tra istanza di “riconciliazione” e “dialogo tra culture”. Molti luoghi comuni sono costrietti ad una urgente revisione. Alcune reazioni, anche molto critiche, si dividono tra “scandalo di fede” e “scandalo di cultura”.

Vi sono coloro che “per fede” ritengono tutto sbagliato: chiedere scusa e vestire i panni locali. Legati alla tradizione, non a quella cristiana, ma a quella della società chiusa, questi cattolici “tutti di un pezzo” cadono in un equivoco davvero clamoroso. Pensano di poter difendere la fede senza pensare, o pensando male.

Nello “scandalo per le pagliacciate” parla una mancanza di cultura che riesce a concepire i “pellerossa” al massimo come “maschere di carnevale”. Se non fai la fatica di entrare nella cultura indigena, che si rappresenta con “abiti sacri” in una forma così diversa dalla nostra, resti in quella posizione di “superiorità tra popoli” che Pacem in terris, per la prima volta, nel 1963, aveva compreso come del tutto superata dalla storia.

Nella storia del Canada ci sono i segni gravi di una ingiustizia, di una negazione della indentità, che il papa, nel discorso di Edmonton del 25 luglio definisce in due brevi passaggi. Nel primo descrive che cosa è accaduto: Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana.”

Poi nel secondo lo interpreta: I credenti si sono lasciati mondanizzare e, anziché promuovere la riconciliazione, hanno imposto il loro modello culturale. Questo atteggiamento è duro a morire, anche dal punto di vista religioso. Infatti, sembrerebbe più conveniente inculcare Dio nelle persone, anziché permettere alle persone di avvicinarsi a Dio. Ma non funziona mai, perché il Signore non agisce così: egli non costringe, non soffoca e non opprime; sempre, invece, ama, libera e lascia liberi. Non si può annunciare Dio in un modo contrario a Dio. Eppure, quante volte è successo nella storia!”.

La mondanità spirituale e il capovolgimento della prospettiva

Per comprendere le ragioni del viaggio e della richiesta di perdono bisogna andare alla radice della questione, che Francesco esprime con questo concetto, che è suo tipico, e che tuttavia passa attraverso una parola che facilmente può essere fraintesa. Che cosa significa l’espressione “i credenti si sono lasciati mondanizzare”?

Le prassi cattoliche di ingiustizia sono scaturite da una “mondanizzazione” che significa non anzitutto un “cedimento al mondo”, come saremmo tentati di pensare, ma un “irrigidimento in una cultura chiusa, incapace di riconciliazione”. La mondanità spirituale non è ascolto dei nuovi segni, adattamento alle nuove condizioni, cedimento a nuove evidenze, bensì irrigidimento nei propri convincimenti e mancanza di ascolto verso le storie di vita degli uomini e delle donne.

Questo ci sorprende, perché colloca il mea culpa che Francesco ha pronunciato in Canada, dentro un contesto molto più ampio e complesso, sottraendolo alla logica epidermica dei buoni sentimenti.  Se il fatto di non riconoscere la “pari dignità di tutti i popoli” è stato il frutto di una “mondanizzazione” che la Chiesa ha subito per molti secoli, perché mai non dovrebbe esserlo non riconscere i diritti degli operai davanti ai loro padroni  e i diritti delle donne nello spazio pubblico?

I tre segni dei tempi, che Giovanni XXIII elenca nella sua ultima enciclica, sono un terreno estremamente insidioso, nel quale è facile capovolgere le cose e pensare che la “mondanizzazione” consista nel dare retta ai segni dei tempi e che pertanto “non mondanizzarsi” esiga di “restare chiusi”. Ma la Chiesa in uscita è la Chiesa che esce dalla mondanizzazione, perché essere mondani consiste nel non uscire!

Il ruolo dei “segni dei tempi” e la tradizione

L’espressione “segni dei tempi” a sua volta può essere facilmente fraintesa. Per capirla davvero, nella sua formulazione che si trova in Pacem in terris, possiamo dire come venivano chiamati i segni dei tempi fino al 1963: ossia niente meno che “errori moderni”.

Che tutti i popoli godano della stessa dignità, che il lavoro sia luogo di diritti fondamentali e che la donna abbia autorità in pubblico sono tre “luoghi comuni” di lotta dell’antimodernismo contro il modernismo. Quando gli “errori moderni” diventano “segni dei tempi”, cambia il mondo perché cambia la teologia della Chiesa.

Nel caso del Canada l’inerzia della persuasione sugli “errori moderni” ha permesso di mantenere un rapporto discriminante con i “popoli diversi”, permettendo che la Chiesa condividesse degli approcci discriminanti, abusanti e sradicanti che la cultura istituzionale canadese aveva prodotto e sostenuto per decenni. Se gli uomini di Chiesa si fossero messi in ascolto di questi “segni”, in cui la storia ha da insegnare alla Chiesa, avrebbero potuto evitare molte ingiustizie, molte vite distrutte, molti odii inesauribili.

Mondana è una Chiesa che non sa ascoltare la storia, che non sa leggere la cultura, che non si lascia interrogare dalle tradizioni diverse, che non si lascia provocare e che invece reagisce irrigidendosi, chiudendosi, fermandosi.

Come una Chiesa mondanizzata non riesce ad attribuire pari dignità a tutti i popoli, così una Chiesa mondanizzata non riesce a riconoscere il ruolo autorevole della donna. Lo stesso papa che veste le penne di uccello come copricapo, e che così restituisce simbolicamente tutta la dignità ai popoli indigeni del Canada, ha iniziato a rimuovere un altro elemento di mondanità, accogliendo un altro “segno dei tempi”: la autorità della donna nel mondo e nella Chiesa.

Una Chiesa che non si mondanizza, sa superare la riserva maschile come criterio generale di comprensione di ogni ministero nella Chiesa. Lo stesso papa che bacia la mano e abbraccia le spalle dei popoli indigeni, può intraprendere il viaggio di riconciliazione con le donne escluse da ogni autorità.

Questo è un altro segno dei tempi per il quale tanto più dovremo chiedere perdono quanto più permetteremo ancora alle logiche della società chiusa, quelle stesse che hanno prodotto le “scuole residenziali” in Canada, di dettare legge su come delimitare ontologicamente l’autorità femminile nella comunità dei discepoli di Cristo.

Anche se non hanno una “corona di piume”, anche queste “dignità incomprese” saranno luogo di viaggi penitenziali, in un futuro non lontano, senza ombra di dubbio. Per non imporre anche qui un modello culturale, e mondanizzarci con esso, dobbiamo ascoltare e valorizzare. Non si deve imporre e inculcare, ma lasciare allo Spirito di mostrare con libertà e immaginazione le ricchezze alle quali facilmente saremmo convinti di dover rinunciare.

Come accadeva in Canada, nella Chiesa, fino a qualche decennio fa, vi era certamente più di un ministro ecclesiale convinto che le pratiche di “sradicamento e assimilazione” fossero necessarie e opportune, per “dare dignità” a popoli che non l’avevano. Allo stesso modo non mancano soggetti cattolici che ancor oggi siano convinti, non solo in Canada, che l’“irruzione della donna nello spazio pubblico” non sia da leggere come un “segno dei tempi” da cui imparare, ma come un “errore moderno” da contrastare e da negare.

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Un commento

  1. Fabio Cittadini 1 agosto 2022

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