Il 3 agosto 1998 moriva ad Amburgo il compositore russo Alfred Schnittke. Nell’anniversario, proponiamo ai lettori una intervista alla musicista, musicologa e teologa Chiara Bertoglio.
- Chiara, come ti è capitato di incontrare per la prima volta la musica di Alfred Schnittke?
Avevo diciott’anni quando un amico musicista mi ha fatto conoscere e apprezzare, per la prima volta, alcuni compositori contemporanei, dell’est europeo in particolare. Avevo avuto in precedenza docenti che avevano tentato di avvicinarmi alla musica contemporanea, senza riuscirci. Le avanguardie occidentali degli anni Sessanta-Settanta non mi coinvolgevano. Ma quando ho cominciato ad ascoltare autori come Sofia Gubaidulina e, soprattutto, Alfred Schnittke, ho capito che esiste una musica contemporanea che può essere estremamente comunicativa, profonda, in grado di donare molto. Il primo ascolto di Schnittke è stato il suo Requiem su compact disk: sono stata immediatamente conquistata. Perciò ho voluto in seguito approfondire, da musicologa, la sua conoscenza: la personalità e l’ambiente in cui è vissuto. Devo dire che, in questo lavoro, la figura di Schnittke mi ha affascinato sempre più per il suo tratto estremamente umano e spirituale.
- Mi pare che Schnittke sia poco conosciuto, specie come autore di musica sacra. Come mai?
Come molti suoi famosi connazionali a lui contemporanei – Šostakovič per tutti – Schnittke ha subito in patria una serie di discriminazioni e di disapprovazioni. La sua musica si è presto connotata per la forte e anche esplicita vena religiosa: perciò non è mai stato ben visto in Unione Sovietica e la sua musica è stata chiaramente molto poco eseguita, men che meno la sua musica sacra. Nello stesso tempo gli è stato impossibile presentare la sua musica all’estero. Ha vissuto il drammatico paradosso di essere sostanzialmente silenziato in patria e di non essere ascoltato e, per la verità, neppure compreso dall’occidente musicale del Novecento: dalle avanguardie è stato considerato infatti troppo aderente alla tradizione cristiana per essere riconosciuto nella sua effettiva statura musicale contemporanea. Non è mai avvenuta, quindi, una sua vera promozione, neppure nei circuiti musicali del mondo occidentale. E tuttavia molti musicisti e musicofili in occidente lo hanno scoperto e ne sono stati conquistati, specie attraverso le composizioni successive agli anni Settanta.
- Della sua vita cosa è importante sapere per entrare nel vivo della sua musica?
Schnittke è nato in Russia da una famiglia di ebrei emigrati dalla Germania – volutamente – in Unione Sovietica, perché «credevano» nel comunismo. Viene da sé dunque rilevare, da una parte, la sua appartenenza ad una tradizione etnico-culturale molto forte – quella dell’ebraismo –, dall’altra, il rifiuto della stessa in quanto religione. Diciamo che è stato educato da «ateo», senza che questo abbia potuto sopprimere in lui una ricerca spirituale alimentata dalle sue radici ebraiche, oltre che dall’assorbimento delle tradizioni cristiane. Sta di fatto che Schnittke, da adulto maturo e ben consapevole, peraltro dopo molte esitazioni, si è deciso per il battesimo cattolico, senza cessare le sue frequentazioni, anche musicali, sia in ambito ebraico sia russo ortodosso. È curioso ricordare come – a decisione presa e mantenuta per il cattolicesimo – abbia avuto un confessore ortodosso: due volte all’anno un pope andava a casa sua per confessarlo. Possiamo dire che abbia vissuto un ecumenismo pratico, molto libero se vogliamo, ma anche molto profondo. Nella sua musica, specie sacra, questa caratteristica «ecumenica» risulta in maniera evidente, come avrò modo di dire in seguito.
- Qual è stato il suo rapporto con gli apparati sovietici?
Con la cosiddetta nomenklatura sovietica non ha evidentemente avuto rapporti facili. Schnittke era persona di grandissima onestà intellettuale, morale, artistica, perciò non ha né voluto, né potuto piegarsi ai dettami del regime: questo regolamentava puntigliosamente tutto ciò che aveva a che fare con la musica per il pubblico, per cui le partiture dovevano passare sempre all’esame della censura dell’Unione dei Compositori, un ente al servizio dello stato che sanciva quali opere potessero essere eseguite e quali no. Le sue partiture suscitavano sempre polemiche, quasi mai sono state accettate tranquillamente. Per un musicista di professione, oltre che per vocazione, questo significava essere sostanzialmente privato di introiti. Perciò Schnittke, come del resto molti altri compositori nella sua stessa condizione, ha riversato molta della sua creatività – e direi anche del suo afflato spirituale – nella musica da film. In occidente questa è vista come musica di Serie B rispetto alla musica classica. Ma in URSS non esisteva tale stigma: anche i più grandi compositori dell’epoca sovietica hanno composto musica per film ritenuti edificanti per il popolo. La musica da film non era sottoposta inoltre al controllo opprimente dell’Unione dei Compositori, per cui oggi possiamo dire che molte delle musiche più spirituali di Schnittke vengano proprio dai film. Tra i suoi amici e colleghi musicisti voglio citare il compositore georgiano Giya Kancheli, il quale ha raccontato di aver partecipato ad una audizione di presentazione di una delle sinfonie di Schnittke presso l’Unione dei Compositori e di aver assistito all’attacco frontale dei membri della commissione alla composizione e allo stesso compositore. Schnittke non reagì per niente, perché era una persona molto mite: rimase in silenzio, incassò e se andò, mentre Kancheli era molto arrabbiato, soprattutto con sé stesso, per non essere intervenuto a difesa. Avrebbe voluto polemicamente andare avanti. Sappiamo che Schnittke lo ha ringraziato per la manifestazione di solidarietà, ma lo ha invitato a lasciar perdere. Era veramente una persona di natura molto mite. Non ha reagito alle provocazioni del regime.
- Quanto la produzione di Schnittke è stata influenzata dalla sua malattia?
Un ictus importante lo ha colpito nel 1994 e lo ha portato in fin di vita. Si pensava che non ce l’avrebbe fatta, perché era entrato in coma. In realtà ne è uscito, riprendendo a scrivere musica ancora per altri quattro anni, sino alla morte, il 3 agosto del 1998. L’esperienza improvvisa della malattia ha lasciato un evidente segno nella sua musica, a modo di intensi colpi musicali. Il tema della malattia e della morte che irrompe nella vita – evidentemente accompagnato dalle domande ultime – è ricorrente nelle sue opere.
- Nel tuo libro Per Sorella Musica (Effatà, 2014) – a proposito del «Cantico del sole» di Francesco d’Assisi – o Sonnengesang – musicato da Schnittke, hai scritto che il tema della morte è molto presente nelle opere di questo autore. Come?
Sì, certo. Preciso che nella musica di Schnittke – insieme alle caratteristiche personali di mitezza e di dolcezza a cui ho accennato – è rintracciabile un profondo anelito verso un infinito che permea sia la produzione musicale «sacra» che «profana» – tanto da far cadere queste nostre classificazioni – e che induce a meditare, sì, sulla morte, ma nella chiave della trascendenza.
- Quali sono stati i suoi musicisti di riferimento, specie per la musica «sacra»?
Direi che nella musica di Schnittke si esprime una riscoperta continua della musica del passato, in particolare di quei compositori che hanno cercato di trasmettere il senso della trascendenza. Sicuramente Bach è stato uno dei suoi punti di riferimento. Sembrerà azzardato, ma, a questo proposito, vorrei proporre all’ascolto dei lettori la musica di un cartone animato. È una musica molto bella di Schnittke. Il cartone animato è intitolato Glasharmonika, ossia l’armonica a bicchieri. Vi troviamo il motivo «b. a. c. h.». Sappiamo infatti che il nome di Bach si può tradurre in note musicali. Il motivo «b. a. c. h.» funge da simbolizzazione del divino, del trascendente, dentro una realtà che può essere brutta e oscura. Il cartone animato parla infatti dell’avidità e della violenza che opprime l’umanità. Eppure, c’è questo motivo costante «b. a. c. h.» a conferire luce: una luce che richiama la musica di Bach, una luce che va chiaramente oltre lo stesso Bach.
- Qual è lo stile musicale caratteristico di Schinttke?
Il suo stile è definito polistilismo perché, appunto, non è caratterizzato da una sola tendenza, bensì dall’appropriazione consapevole ed espressa, creativa e originale, di tutto ciò che è stato in musica prima e accanto a lui. Quindi nella sua musica confluiscono elementi che vanno dalla polifonia rinascimentale a Bach, al classicismo. Avendo studiato a Vienna, suoi punti di riferimento erano pure Mozart e Schubert, ma anche un compositore americano come Charles Ives, ad esempio, sino ai suoi contemporanei in Russia. Conosceva persino autori di musica rock: riferimenti – questi – che possono apparire strani all’interno di un discorso sulla musica classica. La convinzione che ci sia del vero, del buono e del bello in tutta la musica – e che tutta la musica possa essere assunta, riassunta, meditata e rivissuta – credo sia la cifra caratteristica di Schnittke. I titoli scelti per i suoi brani sono spesso emblematici: Concerto grosso, ad esempio, tipica forma del barocco musicale. Abbiamo quindi molti suoi brani che suonano quasi come falsi d’autore, per esempio la Suite nello stile antico, bellissima e molto gioiosa.
- Il suo polistilismo può essere esteso alle diverse tradizioni del canto liturgico ebraico e cristiano?
La sua Quarta sinfonia del 1983 è forse, in tal senso, la composizione più significativa. È una sinfonia corale in cui Schnittke fa incontrare i tre grandi mondi del cristianesimo, tutti e tre di fondamentale importanza per la sua vicenda esistenziale: il mondo luterano tedesco, da cui proveniva, appunto, con la sua famiglia di ebrei «atei», il mondo dell’ortodossia russa in cui era cresciuto e vissuto e il mondo cattolico nella varietà e ricchezza che aveva incontrato e che infine aveva scelto per la sua adesione religiosa. Questi tre mondi «sonori» sono riuniti nella stessa sinfonia che, in maniera molto interessante, è dedicata alla Vergine Maria, o meglio, a Gesù, il Cristo, visto con gli occhi della Santa Madre di Dio. La sinfonia culmina con una Ave Maria che può essere cantata in latino oppure in russo. Significativamente Schnittke preferiva la versione in russo. All’interno di questa composizione c’è pure la citazione della cantillazione sinagogale ebraica, in omaggio all’ebraicità storica, sia di Maria che di Gesù, associata all’estrazione ebraica dello stesso Schnittke.
- Parlaci un po’ del Cantico del sole, tratto dal Cantico delle creature di San Francesco. Quale teologia manifesta?
L’idea di fondo mi sembra quella di una creazione in divenire o persino permanente: idea esegeticamente e teologicamente fondata di per sé; l’opera creativa di Dio avviene infatti nei sette giorni simbolici del primo capitolo della Genesi, ma non si esaurisce in quei «giorni». La creazione è un’azione divina che continua e si manifesta nella provvidenza che mantiene in vita l’universo tutto. La vita umana è vita per partecipazione di questo tutto. L’esistenza di Dio conferisce vita in ogni istante. Questa idea mi pare appunto sottesa alla versione di Schnittke: nel suo Sonnengesang il coro presenta via via le creature che sono chiamate a rendere lode a Dio, secondo un appello alla vita che si dispiega alla vista – in questo caso attraverso l’udito – dell’umanità, sino ad una ideale pienezza. Aggiungo che Schnittke era un uomo di fede, ma, come tale, anche di dubbio. Quando gli sono state poste domande riguardo alla vita dopo la morte, ha manifestato il suo intimo dubbio, parlando di speranza più che di certezza. Perciò, nel suo Cantico, la strofa dedicata a «sorella morte» costituisce il momento più intenso e più possente, dal punto di vista emotivo, di tutta l’opera. Dall’ascolto si ricava dunque la sensazione che l’opera della creazione sia graduale e che la creazione stessa abbia compimento nella morte, attraverso un passaggio verso un Altro di cui non c’è alcuna certezza razionale e che pure è al centro dei nostri aneliti e fini.
- Tu hai scritto della nostalgia di cui è intessuta questa pagina. Cosa hai voluto dire?
La nostalgia in musica mi sembra una caratteristica molto viennese: la troviamo ben presente in Mozart o in Schubert. Schnittke la conosceva bene. In tedesco il termine Sehnsucht è tradotto solitamente in italiano con nostalgia. In realtà il concetto sotteso è molto più ampio rispetto all’idea di un ricordo melanconico: il termine tedesco esprime un anelito, un desiderio; si potrebbe dire che sta davanti a noi quanto dietro di noi. Anche in italiano ovviamente il termine nostalgia può assumere questo significato: si può avere nostalgia di qualcosa che abbiamo già provato e, insieme, nostalgia di qualcosa che sta ancora avvenendo o che avverrà. Nel Sonnengesang di Schnittke, secondo me, il cosmo si dispiega musicalmente dinnanzi a noi ingenerando, appunto, un anelito, un desiderio di bellezza che da questa esistenza si protende verso l’Altro.
- Hai detto che la prima opere di Schnittke da cui sei stata presa è stata il suo Requiem. Qual è la dimensione più “sacra” del Requiem, secondo te?
È importante dire, in breve, le circostanze in cui è maturata questa composizione. Il Requiem si è fatto strada nel pensiero di Schnittke già nel 1972, quando morì la madre. Schnittke decise di dedicare un quintetto alla memoria. Avrebbe voluto, all’interno di questo quintetto, inserire un requiem strumentale, perché – come ho detto – una composizione esplicitamente sacra, con un testo sacro, avrebbe avuto vita decisamente breve nella Unione Sovietica del tempo. Componendo, tuttavia, per la sola compagine strumentale si rese conto che ciò che stava venendo alla luce non avrebbe potuto fare a meno delle parole, del canto. Giunse un’occasione propizia quando gli venne chiesto di fornire la musica di scena per il Don Carlos di Schiller prodotto a Mosca nel 1975. Con la giustificazione della musica di scena – non concepita come musica cristiana bensì quale finzione della musica cristiana in teatro – Schnittke poté comporre il suo Requiem. È un Requiem dall’impianto tradizionale nel senso che i suoi movimenti sono quelli della tradizione cattolica, anche se con qualche variazione. La parte strumentale è sostenuta da un ensemble con percussioni, chitarra, basso elettrico, strumenti a tastiera. Tromba e trombone compaiono soltanto nel Tuba mirum, e nel Credo. L’organo ha un ruolo molto importante in quanto sopperisce all’assenza della grande orchestra. La composizione è evidentemente caratterizzata dal senso di tristezza, ma contenuto nel compianto o nel rimpianto. Come noto, il testo del Dies irae ha altrimenti suscitato in tanti compositori un senso molto tragico. Anche in Schnittke costituisce uno dei momenti più forti della partitura, ma senza quella violenza espressiva – notissima – che troviamo, ad esempio, in Verdi. Parlerei dunque di nostalgia della morte, se così si può dire, piuttosto che di strappo della morte: il sentimento che aleggia non è quello della protesta credente contro la morte o contro Dio, bensì della dolcezza, della tenerezza, della speranza senza certezza.
- Come Schnittke ha trasformato in musica il significato del giudizio presente nel testo del Dies irae?
Direi che più che il clima del giudizio – della condanna o della salvazione – si respira nella musica di Schnittke il clima del rigore – della serietà dell’esistenza umana – che il compositore ha sempre voluto interpretare, nella sua vita come nella sua musica: è possibile coglierlo in certi ritmi e intervalli, molto scanditi, del Dies irae.
- Con queste caratteristiche si può dire che sia un Requiem più ortodosso che cattolico: meno cupo, più luminoso?
La Risurrezione è legata indissolubilmente alla morte in tutto il cristianesimo, ma sicuramente nel cristianesimo ortodosso la luminosità della Risurrezione risulta in maniera più evidente; sì, penso che questa influenza si avverta in Schnittke.
- Quali altre opere “sacre” vuoi segnalare ai nostri lettori-ascoltatori?
Voglio segnalare i Tre cori sacri per coro a cappella, su testi neotestamentari, in slavo antico. Si tratta di preghiere essenziali, semplici, pure. Trovo che siano da ascoltare e da meditare. Per quanto riguarda le sinfonie – oltre alla citata quarta – suggerisco di ascoltare la Sesta sinfonia in cui incontriamo una scrittura molto solenne, profonda, simile, per certi versi, alla scrittura di un altro grande compositore cattolico: Anton Bruckner.
- Come consigli di accostare la musica di Schnittke che, benché forse più facile rispetto ad altri autori contemporanei, resta di una certa difficoltà di ascolto?
Grazie al suo polistilismo – che di fatto attinge a tutta la nostra cultura – penso che si possa, senza grandissime difficoltà, accogliere la sua musica, anche senza averla studiata a fondo. Conoscere la figura del compositore – come abbiamo cercato di facilitare con questa intervista – può aiutare. Ci si può accostare poi per gradi, iniziando dalla musica da film: il cartone animato Glasharmonika con l’aiuto delle immagini, può costituire un buon approccio. Inviterei, infine, i lettori-ascoltatori a disporsi ad incontrare non solo un grande musicista del Novecento, ma anche una persona buona, un fedele in permanente ricerca esistenziale, un uomo che ha fatto profondamente propri i fondamentali valori del cristianesimo e della vita umana; un uomo che ha pagato di persona la sua coerenza, ma sempre esprimendo grande serenità, dolcezza, garbo: nella vita come nella musica.