Oggi da più parti e contesti diversi viene avanti l’idea di liberarsi programmaticamente dai «restringimenti ideologici», per usare un’espressione di Benedetto XVI, di certo pensiero moderno che, nel tracciarne il percorso a una sola dimensione, ha dato a questioni rilevanti visioni dualistiche con inevitabili conflitti. Questi punti di vista ci hanno impedito di conoscere meglio le dinamiche delle scelte decisive compiute dall’uomo nei diversi ambiti divenendo veri e propri «ostacoli epistemologici» nel senso di Gaston Bachelard (1884-1962).
Tale filosofo della scienza, a partire dagli anni Trenta del Novecento, ha rivolto le sue ricerche sui segnali provenienti dalle profondità dello spazio e del tempo grazie all’analisi delle geometrie non-euclidee e delle teorie relativistiche e quantistiche. È stato uno dei primi a combattere il pregiudizio che nella scienza non ci siano valori impliciti e ne ha evidenziato in modo netto e inequivocabile i «valori razionali» che l’hanno caratterizzata storicamente, pur nei loro strutturali cambiamenti, come precisione, coerenza, rigore, creatività, apertura sistematica al novum, la necessità di andare sempre oltre il dato o l’apparenza dei fatti, un percorso continuo verso il vero da farne un perno della struttura stessa de l’esprit humain.
È emersa così la portata filosofica di tali valori in quanto vengono ad investire questioni cruciali come la decisione, la libertà e la verità, questioni che permettono tra l’altro di non isolare la scienza dal tessuto sociale ed umano più in generale entro cui è venuta a costituirsi come impresa cognitiva il cui compito primario, se accompagnato come nel caso di Galileo da una contestuale «militia filosofica» o riflessione epistemologica, è quello di «non mentire mai sul mondo», e di far «spogliare l’uomo dal suo egoismo intellettuale», come ci ha insegnato Simone Weil.
Nello stesso tempo, i «valori razionali» permettono di dare maggiore senso epistemico ed esistenziale alla vexata quaestio delle origini del cosmo, della vita, dell’uomo e del loro destino: «domande filosofiche» ritornate con forza alla ribalta in seguito alle recentissime immagini fornite dal James Webb Space Telescope che costringono ad interrogarsi con rinnovato vigore sulla «profondità dello spazio» e nello stesso tempo sulla «nostra profondità».
Il percorso di Fiorenzo Facchini
Ma ancora di più, per Bachelard, «nella pratica scientifica c’è un valore immanente che ci costringe a fornire sempre la ragione delle proprie affermazioni, a non essere ricattabili, a non aspettarsi nulla», attitudine da coltivare in ogni campo dell’umano. È ciò che ha caratterizzato nella sua attività di paleoantropologo e di docente di Antropologia Fiorenzo Facchini, sacerdote della Chiesa di Bologna, che si è inoltrato sin dalle sue prime ricerche nelle profondità dell’evoluzione e della storia dell’uomo.
In nome dei risultati conseguiti sul terreno scientifico, e soprattutto dell’idea di Pierre Teilhard de Chardin relativa al fatto che un risultato scientifico «ben compreso» è un «nutrimento» per la stessa vita religiosa, non ha avuto nessuna esitazione nel 2006 nel denunciare l’infondatezza e la non correttezza della teoria del Disegno Intelligente, tanto da ricevere attenzione sui mass-media negli USA, dove tale ipotesi ha preso piede con forti connotati di natura ideologica. Facchini ha portato il suo specifico contributo di scienziato all’idea – ribadita dal magistero degli ultimi papi – che «l’evoluzione della vita non contrasta con la creazione».
Membro di diverse Accademie da quella dei Lincei a quella Pontificia delle Scienze e dell’Institut de Paléontologie humaine di Parigi, Facchini ha concentrato le sue ricerche sui polimorfismi genetici, sull’accrescimento, sulle culture preistoriche e sull’adattamento dei popoli alle alte quote nel continente asiatico ed in tal modo ha gettato le basi di «una visione evolutiva alla fede cristiana», forte delle «vedute della scienza» e delle nuove «acquisizioni delle scienze bibliche» in sede ermeneutica.
Fatiche editoriali
Sin dalle prime opere come Il cammino dell’evoluzione umana del 1984 e Le origini dell’uomo e l’evoluzione culturale del 1994, il suo obiettivo è stato quello di «comprendere rettamente» da una parte i meccanismi a base dei processi della vita ed insieme l’unicità dell’essere umano e dall’altra di fornirci gli strumenti concettuali per dare più «senso di questa storia».
È quanto viene ben evidenziato nel suo ultimo lavoro dal dantesco ed emblematico titolo Fatti non foste… Come siamo diventati uomini e perché vogliamo rimanere tali, con prefazione di Jean-Robert Armogathe e le postfazioni di Giuseppe Lorizio e Giovanni M. Prosperi (San Paolo, Cinisello Balsamo 2020).
Prefazione e postfazione si rivelano in questo volume contributi illuminanti per chiarire le implicazioni filosofiche, scientifiche e teologiche del percorso di Facchini, il cui cammino, come afferma Armogathe, «non può lasciare nessuno indifferente» se si vogliono gettare le basi di un articolato discorso sui rapporti tra evoluzione e creazione ed evitare quelle «insidie epistemologiche» di cui parlava Giovanni Paolo II, sempre presenti nelle interpretazioni riduttive della teoria dell’evoluzione che l’hanno accompagnata sin dal suo apparire data la sua intrinseca complessità concettuale e soprattutto per il fatto che pone al centro le questioni del «posto dell’uomo nella natura» ed il suo «avvenire», già evidenziate da Teilhard de Chardin.
Il lavoro pluridecennale di Facchini, infatti, confluito in altri importanti testi come L’avventura dell’uomo: caso o progetto (2006), Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede (2008), Evoluzione. Cinque questioni nell’attuale dibattito (2012) e Uomo. Natura, Cultura (2018), si è concentrato su «casualità e finalismo nell’evoluzione» e sulla «identità dell’uomo tra continuità e discontinuità».
Relazionalità
Confrontandosi criticamente con gli esiti ancora incerti del pensiero scientifico più recente, dove lo sforzo è teso a comprendere come si sono formate le strutture complesse, i cui meccanismi di base rimangono ancora ignoti, e con quanto Teilhard de Chardin nel suo Inno alla materia definiva gli «strazi della materia», e sull’organizzazione dei viventi nei loro cambiamenti nel tempo, Facchini ha ricavato un elemento fondante tutto il suo percorso: quello della relazionalità;
Si tratta della possibilità che ci sia a base di tutto «una capacità o una tendenza degli elementi della natura a entrare in relazione e a stabilire relazioni secondo modalità diverse in condizioni ambientali diverse», sulla scia di alcune indicazioni orientate in tal senso da parte di altri studiosi e con lo sviluppare la strategica idea sempre di Teilhard de Chardin di «energia radiale» che «muove verso la complessità».
La relazionalità, vero e proprio «valore razionale», «si ritrova nelle molteplici espressioni dell’organizzazione della materia (atomica, molecolare, cellulare ecc.)» e viene vista «alla base dell’armonia che caratterizza le leggi e le forze della natura». Ma non si coglie con singole teorie o «principi o regole d’ordine che ancora non conosciamo», bensì attraverso uno sguardo globale, ovvero quello che Facchini chiama «l’approccio fenomenologico globale di Teilhard de Chardin», dove «acquista una finalità nell’insieme e quindi un senso che scopriamo a posteriori» e dove la stessa riportata affermazione teilhardiana «Dio non fa le cose, ma fa in modo che si facciano» assurge a un più giusto significato teologico e filosofico.
In tal modo senza sovrapporsi tra di loro procedono nel percorso di Facchini queste due esigenze che dialogano costruttivamente, da un lato quella più scientifica con la presa d’atto di quello che si potrebbe chiamare, utilizzando la metodologia del paradigma indiziario, un vero e proprio indizio con tutto il suo precipitato veritativo di processo reale da essere obbligati a seguire per meglio decifrarlo, e dall’altra quella filosofico-teologica con la ricerca del suo senso come problema esistenziale; si perviene così da una parte all’autonomia e alla necessità dei singoli saperi, a dirla con Gottlob Frege, come percorsi unici di verità e nello stesso tempo dall’altra a dare dignità epistemica alle questioni del ‘da dove’ essa viene e ‘verso dove’ va, domande filosofiche e tipiche dell’essere umano alle continue prese con i non lineari percorsi che la caratterizzano e che ne spiegano in un certo qual modo la discontinuità rispetto agli altri esseri viventi.
Pensiero complesso
Trattasi, pertanto, di una vera e propria proposta teoretica quella avanzata da Facchini, dove il cruciale tema della relazionalità, uno dei cardini del pensiero complesso e valore razionale che emerge quasi come dono dalla pratica dell’ascoltare le «infinite ragioni del reale», si rivela particolarmente strategico per disinfettarci una volta per tutte dai fondamentalismi e riduzionismi sempre in agguato (La complessità come disinfettante, 27 agosto 2020), quando ci inoltriamo nella stessa storia dell’uomo per capirne le modalità con le quali è pervenuto ad essere tale nel passare «dallo stupore alle domande», dal bios al logos nel tramutare le importanti informazioni biologiche in pratiche cognitive e di senso (Dal bios al logos, 9 gennaio 2020).
Le fitte analisi dei «livelli evolutivi nello sviluppo dell’uomo sulla terra», della «cultura dell’uomo preistorico», della «nicchia ecologica dell’uomo» e dello sviluppo del suo articolato universo simbolico, permettono di capirne la singolarità, il continuo tessere relazioni col costruirsi un suo abito di razionalità.
Nello stesso tempo Facchini ci offre degli strumenti per non farci abbagliare dalle prospettive del transumanesimo rivolte «a sostituire l’uomo stesso o parti che sono espressioni della persona, come il cervello» e con l’invito a «rimanere uomini» e a gestire le trasformazioni dell’ambiente tipiche dell’era dell’Antropocene con l’annesso problema del suo futuro e quello ecologico.
Ma il tema della relazionalità non viene solo utilizzato sul piano metodologico per capire la nostra storia ed il destino che ci aspetta, ma diventa nel percorso di Facchini quasi una vera e propria ermeneutica del reale da utilizzare nei vari ambiti teorico ed esistenziale in quanto sul piano sia delle idee che della vita essa è indizio di un maggior grado di oggettività e nello stesso tempo di essere un percorso in comune «verso il più vero», per usare un’espressione di Federigo Enriques.
Se la relazionalità è «stoffa» della materia, da quella inerte a quella biologica al creare relazioni oggettive sul piano della conoscenza, idea già avanzata da Gaston Bachelard, a maggior ragione essa si rivela una risorsa e un nutrimento per la noosfera umana, come la chiamava Teilhard de Chardin, dove l’intera comunità è invitata a una loro continua crescita per «rimanere» comunità umana e per combattere con armi più razionali quelle che il gesuita francese chiamava «nuove corazzate» (La scienza e le nuove corazzate, 26 dicembre 2019).
Sulla scia di Fiorenzo Facchini, che ha fatto di questo approccio teoretico-esistenziale un «tesoro» in senso biblico, tocca a ognuno di noi far crescere e coltivare le relazioni dove si può trovare e ritrovare la propria «identità», una «armonia» che, oltre a riorientarci nella stessa interpretazione del reale, ci può preservare dall’essere facile preda di derive nichilistiche che a volte ci inchiodano nei nostri recinti.
- Odysseo, 4 agosto 2022.