Sinodo: camminare insieme. Sindrome: correre insieme. Concorrere e concorrenza. Nel gioco dei significati pregiudiziali, un invito per il cammino sinodale della Chiesa.
Sinodo e sindrome: termini entrambi di derivazione greca.
Sinodo: camminare insieme.
Sindrome: correre insieme.
Stiamo apprezzando di questi tempi il significato ricco di carica positiva della parola sinodo e lo abbiamo posto a titolo di un consistente lavoro di Chiesa.
Ci siamo detti che “cammino sinodale” rischia di essere una tautologia, ma ci siamo ripetuti tuttavia che il cammino di Chiesa non è evangelico o missionario se non è “cammino insieme”. Nella realtà del vissuto la tautologia è tutt’altro che scontata.
Sindrome è termine associato a significati allarmanti. Una costellazione di sintomi clinici, organici o psicologici, che denuncia una malattia, una diagnosi preoccupante, una terapia – se c’è – lunga e faticosa.
Com-ponendo i termini mi si affaccia una suggestione: camminare insieme annuncia un valore; correre insieme denuncia una patologia.
Trattenendo l’accostamento nell’ambito dell’esperienza ecclesiale di questo tempo, mi viene di pensare che il passo di Chiesa è quello del cammino, non quello della corsa.
Per ogni appello che ascolto – e apprezzo – a imprimere un’accelerata, sento il fiatone di quelli che non ce la fanno.
Se il sinodo diventa sindrome rischiamo di perdere il “syn”. E sarebbe una malattia.
Non si deve certo rinunciare a un cammino più energico e volitivo. Ma non lasciamo indietro nessuno che abbia dalla sua soltanto la buona volontà. E poco fiato.
Il termine “concorrenza” (traduzione letterale di sindrome) viene usato con significato ambivalente.
Il sostantivo concorrenza allude a una competizione, dove uno vince sull’altro. E, nei suoi riferimenti commerciali, sappiamo che concorrenza può comportare anche “farsi lo sgambetto”, “giocare scorretto”.
Il verbo concorrere, invece, disegna percorsi diversi che convergono verso un medesimo fine; elementi che finiscono per con-vergere.
La “comunione” (insieme) prevale sull’“ordine” (primo, secondo, terzo…).
Il Consiglio permanente della CEI ha pubblicato nel 1981 il celebre documento La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, entrato nella coscienza ecclesiale come Ripartire dagli ultimi.
Nel 1986 (dopo la nomina di Ruini a segretario della CEI?) mons. Chiarinelli commentava: «Nel 1981 siamo ripartiti dagli ultimi, ma siamo stati bravi: in nemmeno cinque anni abbiamo già raggiunto i primi».
Politica, le fondamenta ignorate
Agosto 18, 2022 / gpcentofanti
Il proliferare di partitini mostra il problema di fondo. La società è divisa in due classi: manipolatori per puro interesse di denaro e di potere e manipolati, spogliati di tutto, isolati. A questo conduce la cultura della mera pseudotecnica. Lo svuotamento, lo spegnimento, delle libere ricerche integrali, di un autentico scambio, di una viva partecipazione. Tutto è teleguidato dalla tecnologia e dai codici degli apparati che ne conseguono. In realtà dunque gli stessi potenti sono succubi di tale sistema che toglie l’umanità a ciascuno. Davvero il robot si rivolta contro l’uomo e lo sottomette.
Senza alcun salto di qualità verso una nuova attenzione allo sviluppo di un’autentica democrazia, che può avvenire solo favorendo la libera maturazione delle persone, si resta nei criteri del sistema tanto deprecato e si finisce per cadere nelle stesse tentazioni: potere, denaro, a scapito degli altri. Magari solo per un ingannevole desiderio di liberazione dall’oppressione che questa situazione come visto comporta. Una liberazione pratica, ancora una volta del fare, della tecnica, è l’inganno di fondo di questa epoca.
Qua e là qualcuno vuole difendere alcuni valori. Ma se non si cercano le adeguate vie per la libera crescita di ciascuno si finisce per restare nel fare, qui nel cercare di imporre le proprie vedute. La società della tecnica, del mero intellettualismo, non conosce il cuore che ascolta la luce che lo illumina e gli parla. Il razionalista è strutturalmente sordo a sé stesso, agli altri, alla vita. Chi ha ancora come riferimento culturale questo orientamento, magari anche guardandolo con sospetto, in fondo resta ingabbiato in tali limiti e conosce facilmente solo il linguaggio dell’imposizione, il linguaggio della sordità.