Anna Zafesova, giornalista, storica e analista dell’Unione Sovietica, ci ha rilasciato questa intervista all’indomani della morte di Gorbačëv.
– Anna, come è ricordato Michail Gorbačëv da gran parte della opinione pubblica russa?
Per molti russi Gorbačëv è semplicemente l’emblema di un disastro politico ed economico: una figura che ha messo fine alla stabilità e gettato la Russia nel caos. Viene in ogni caso ricordato come un leader debole che non ha saputo imporsi, né all’interno, né all’estero. I suoi metodi – molto europei – non sono stati capiti e accolti. Questi diffusi sentimenti molto coincidono col sostegno a Putin e al putinismo, oggi.
– Quanto sono giustificati tali sentimenti?
Dal mio punto di vista, la valutazione andrebbe capovolta. Posso infatti dire che Gorbačëv ha lanciato la perestroika proprio perché le cose in Unione Sovietica stavano andando piuttosto male. C’era – sì – stabilità politica, ma perché imperava la stagnazione lasciata in eredità da Brežnev: a quel modo nulla avrebbe potuto cambiare mai. Questa “aria ferma” poteva dare alla gente un certo senso di sicurezza. Ma l’economia stava andando davvero male.
Ricordo le persone che riempivano i treni che, dalle regioni periferiche, andavano verso Mosca semplicemente per fare la spesa, ossia per andare ad acquistare i beni di prima necessità, non i beni di lusso. In intere regioni non si vedevano, da anni, burro, salumi e formaggi, per fare un esempio. Ora molta gente non ricorda o non vuole ricordare.
– La gente forse ricorda ciò che è accaduto immediatamente dopo l’era Gorbačëv, con la fine del comunismo e la dissoluzione della Unione Sovietica?
Certamente il collasso dell’Unione Sovietica ha dato un colpo al già stentato tenore di vita dei russi, così come – dopo tanti anni di stagnazione – ha trasmesso un senso di instabilità nella popolazione. Questo la gente sicuramente ricorda.
Anche chi ha conseguito poi migliori condizioni di vita – ossia la gran parte della popolazione – con la possibilità di scegliere il proprio lavoro e di guadagnare conseguentemente, non era preparato ad una diversa visione e organizzazione della vita individuale e sociale. Perciò, da molti, Gorbačëv – con quel periodo e con quelle vicende – viene rivissuto come un trauma.
– Quel passato viene, dunque, rimpianto?
Con rammarico noto che molti russi vorrebbero tornare indietro. Non a caso si sta lentamente tornando a certi “valori” di quel passato: ai manuali unici di storia nelle scuole, ad esempio, oppure alle organizzazioni educative uniche per l’infanzia e per l’adolescenza. È in atto un significativo recupero popolare di aspetti totalitari della vecchia Unione Sovietica.
Questa osservazione mi fa pensare con preoccupazione: il disagio più grande di buona parte della popolazione russa non sta tanto di fronte allo spettro della povertà, quanto di fronte alla democrazia e alla libertà di scelta.
– C’è pure chi non la pensa in questo modo?
Certamente, tanto che la guerra in Ucraina ha inaugurato una sorta di guerra civile molto, ma molto sotterranea, fatta di episodi minori, attribuiti ad altra natura: è di questi giorni, ad esempio, l’episodio delle gomme tagliate o dei vetri spaccati ad auto che recavano la “Z” – il noto simbolo dell’operazione militare speciale in Ucraina – in bella mostra, ad Ekaterinburg. Questi episodi stanno interessando tuttavia solo alcune città maggiori, non la profonda provincia russa.
L’intervista fornisce un contributo importante per comprendere la complessità di processi di cui non riusciamo a cogliere i fili conduttori.
Grazie