Mentre si registra la scomparsa dei cattolici a livello dei partiti che, alla vigilia di queste elezioni, si confrontano sulla scena politica, rimane il loro obbligo, in quanto cittadini, di esprimere il proprio voto verso l’uno o l’altro di essi, il 25 settembre prossimo. E questo li mette, oggettivamente, in una situazione estremamente problematica.
Perché, in realtà, nessuna delle alternative in gioco sembra corrispondere alla visione della persona e della società proposta dalla Chiesa e, prima ancora, dal Vangelo. Per limitarci ai due schieramenti che i sondaggi indicano come largamente favoriti, il centro-destra e il centro-sinistra, una rapida scorsa ai loro programmi elettorali, accanto ad elementi positivi, ne rivela altri che non possono non inquietare una coscienza cristiana.
La solidarietà al cuore del programma del centro-sinistra
Certamente, nel programma del PD e dei suoi alleati, è apprezzabile un taglio complessivo fortemente caratterizzato dall’esigenza di superare le «disparità economiche, sociali, generazionali, di genere, ambientali, territoriali». «La crescita abnorme di queste disuguaglianze», si dice nel documento, «è il principale problema che sta indebolendo le democrazie occidentali dall’interno». Perciò «partire da questi divari è indispensabile per affrontare tutte le altre sfide cruciali del nostro tempo».
Un credente non può non riconoscersi nella frase di Davide Sassoli che fa da epigrafe all’intero programma: «La speranza siamo noi, quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo ogni forma di ingiustizia».
Da qui l’impegno per realizzare «un sistema fiscale equo e progressivo (…) semplificando drasticamente gli adempimenti» e di «ridurre drasticamente l’evasione fiscale». Da qui il progetto di un «salario minimo contrattuale» e quello di introdurre «una nuova legge sulla cittadinanza per le bambine e i bambini che studiano in Italia», attraverso lo Ius Scholae. Da qui, sempre riguardo agli stranieri, il rifiuto drastico delle «politiche di respingimenti» o di «blocchi navali».
La misura forse più innovativa è quella che ha suscitato le più forti rimostranze da parte del centro-destra e che viene bollata, nel suo programma, come una «patrimoniale mascherata»: «Introdurremo una dotazione di 10.000 euro, erogata al compimento dei 18 anni sulla base dell’ISEE familiare, per coprire le spese relative alla casa, all’istruzione e all’avvio di un’attività lavorativa. I costi di questa misura saranno prevalentemente coperti dagli introiti aggiuntivi derivanti dalla modifica dell’aliquota dell’imposta sulle successioni e donazioni superiori ai 5 milioni di euro (pari allo 0,2% del totale delle eredità e donazioni in Italia)».
Forse è bene ricordare che l’Italia è probabilmente il Paese europeo in cui i grandi patrimoni sono più tutelati. Lo confermano i dati relativi alle imposte di successione. La tassa di successione italiana è infatti la più bassa a livello europeo, con aliquote che oscillano tra il 4 e l’8%. In Germania la tassa di successione oscilla tra il 7% e il 50%, in Spagna tra il 34% e l’86%, in Francia tra 5% al 60%, in Gran Bretagna è del 40%.
Ciò comporta, evidentemente, un contributo assai scarso degli italiani più benestanti alle finanze dello Stato: nel 2018, 820 milioni, ovvero lo 0,05% del PIL. In Francia, per esempio, sempre nel 2018, il gettito dell’imposta su successioni e donazioni è risultato pari a 14,3 miliardi di euro, cioè lo 0,61% del PIL: in altre parole, quasi tredici volte quello italiano. A quota 0,20-0,25% del PIL troviamo invece la Germania (6,8 miliardi), il Regno Unito (5,9 miliardi al cambio del 2018) e la Spagna (2,7 miliardi), tutti Paesi che riescono a incassare quasi cinque volte l’Italia.
Si capisce, da questo quadro, perché, secondo i dati forniti dal Sole24ore, il 20% degli italiani detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale, un altro 20% nel possiede il 16,9%, mentre il 60% più povero possedeva appena il 13,3% della ricchezza del paese. È il risultato ovvio di una politica che ha messo sistematicamente in secondo piano, al di là della retorica d’obbligo, il problema della giustizia sociale, lasciando che i ricchi diventassero sempre più ricchi, che il ceto medio si impoverisse e che i poveri diventassero sempre più poveri.
L’ambiguità del tema dei diritti
In realtà, però, in questa campagna elettorale, più che la tematica sociale, è stata spesso sottolineata quella dei «diritti». A cominciare dal matrimonio omosessuale: «Approveremo subito la legge contro l’omolesbobitransfobia (DDL Zan) e introdurremo il matrimonio egualitario».
Al di là del singolo problema, siamo davanti a una visione etica del sociale fondata su un’affermazione rivendicativa di diritti individuali che, nel tentativo di sanare alcune effettive disparità, finisce per trascurare altri pur irrinunciabili valori costitutivi del bene comune, come la tutela della vita nascente e della famiglia.
Emblematica l’intervista rilasciata da Enrico Letta al quotidiano La Stampa il 28 giugno 2022, dove criticava severamente la recente sentenza della Corte Suprema statunitense in tema di aborto: «Lo dico da cattolico: se tu non vuoi divorziare non divorzi, se sei contro l’aborto non lo pratichi, se sei contro le relazioni omosessuali sei libero di non averne. Ma non puoi impedire ai tuoi concittadini di fare quel che tu non sceglieresti per te. Questa è la laicità dello Stato, una delle grandi conquiste del nostro mondo. Ora in pericolo».
Le ragioni di Giorgia Meloni sui problemi etici
È proprio su questi punti che la linea di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia appare assai più equilibrata. Espressa in interviste e dibattiti, più che nel documento programmatico ufficiale, essa comporta, per quanto riguarda l’aborto, non l’abolizione della legge 194, ma la sua effettiva e integrale applicazione, che comporta, prima del diritto delle donne di interrompere la loro gravidanza, quello di essere sostenute e garantite nel continuarla.
Così come, per quanto riguarda il problema delle unioni omosessuali, non le rifiuta, ma si limita a negare che possano esser riconosciute come veri e propri matrimoni e dar luogo ad adozioni. Si potrà essere indignati, con Chiara Ferragni, per queste posizioni, che urtano la moda culturale dominante, ma il cattolico le riconosce più vicine non tanto alla sua fede, quanto semplicemente ad una visione in cui i deboli da tutelare sono non solo quelli indicati dal programma di centro-sinistra, come i migranti, i poveri, le donne e gli omosessuali, ma anche i loro figli, nati o non ancora nati.
Il programma del centro-destra e la fraternità
Sfortunatamente, però, tutto l’insieme del programma del centro-destra non corrisponde alla prospettiva dell’insegnamento sociale della Chiesa. A cominciare dal tema fiscale, affrontato in base all’ossessiva esigenza di abbassare le tasse per i ricchi, anche al costo (inevitabile) di sottrarre servizi essenziali ai poveri.
Da qui l’eliminazione del carattere progressivo del prelievo fiscale – peraltro previsto dall’art. 53 della Costituzione – attraverso l’introduzione della flat tax, la «tassa piatta» che, secondo tutti gli studi più seri del problema [cf. qui su SettimanaNews], penalizza le fasce più povere della popolazione a vantaggio di quelle più ricche e, per i costi che comunque comporta, inevitabilmente si tradurrebbe in un taglio drastico dei servizi essenziali a chi non se li può pagare.
Quanto alla piaga vergognosa dell’evasione fiscale, nel programma del centro-destra il problema sembra, paradossalmente, quello del «superamento dell’eccesso di afflittività del sistema sanzionatorio». Si inserisce perfettamente in questa logica il fermo «no a patrimoniali dichiarate o mascherate», con chiara allusione alla proposta contenuta nel programma di centro-sinistra di aiutare i giovani meno abbienti rendendo meno lontana dalle medie europee la tassa di successione italiana sui patrimoni dei più ricchi.
Un punto fermo dell’insegnamento sociale della Chiesa – dai padri dei primi secoli ai papi del Novecento – è che la proprietà privata ha un senso solo per il suo uso sociale e il superfluo dei ricchi va condiviso con i fratelli poveri. Qui siamo agli antipodi.
La stessa penalizzazione della fraternità si riscontra a proposito dei migranti. Si richiama l’esigenza di ripristinare in pieno i Decreti sicurezza e si parla di «difesa dei confini nazionali ed europei (…) con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del nord Africa, la tratta degli esseri umani». Sullo sfondo c’è la posizione di Giorgia Meloni, che prevede l’istituzione di un vero e proprio «blocco navale» e, in concomitanza, degli accordi coi governi dell’altra sponda del Mediterraneo per fermare il flusso dei migranti.
Pur prendendo atto dell’intenzione dichiarata di risolvere in questo modo il problema alla radice, evitando i drammi legati ai «viaggi della speranza», non si può non prevedere che, seguendo questa linea, verranno mantenuti e addirittura potenziati i campi di concentramento in cui «le autorità del Nord Africa» già oggi detengono gli sventurati che vorrebbero partire.
Anche qui siamo in un’ottica complessiva che, malgrado le frequenti esibizioni di simboli sacri da parte di Salvini, appare incompatibile col Vangelo. Fermo restando il diritto-dovere dell’Italia di gestire l’accoglienza in modo ragionevole (e con questi due ultimi governi, pur favorevoli ad essa, non lo si è fatto), è il considerare i migranti alla stregua di «invasori» a essere in opposizione diretta all’idea cristiana che gli esseri umani sono tutti fratelli.
Alla luce di questo quadro, si può capire la perplessità del credente – ma forse anche del non credente capace di andare al di là degli slogan dell’una e dell’altra parte politica – nel dare la propria preferenza a uno di questi programmi (come, del resto, a quelli degli altri partiti minori, di cui qui non si è parlato).
Molti cattolici, nella logica dei «valori non negoziabili», in nome dei temi etici scelgono di chiudere gli occhi sulla impostazione complessiva del centro-destra. Altri riconoscono la consonanza del programma di centro-sinistra con la visione cristiana del tema della solidarietà, ma non possono non denunciare l’incongruenza tra essa e un modo individualista di concepire la libertà. Forse mai come in questo momento si avverte l’esigenza che, in un prossimo futuro, si facciano strada progetti politici nuovi, che non costringano il cittadino a scegliere tra aspetti fondamentali del bene comune.
- Pubblicato sul sito della pastorale della cultura della diocesi di Palermo tuttavia.eu
Molto chiaro l’articolo di Giuseppe Savagnone anche se non ci toglie l’inquietudine…. Grazie
G. T.