In ottobre voteremo anche in Brasile, in due turni, iniziando il 2 ottobre e concludendo il 30, con i probabili ballottaggi. Si vota per eleggere il Presidente della Repubblica, i Governatori degli Stati, Senatori, Deputati Federali e Deputati Statali.
Il clima politico è peggiorato in questo quadriennio di rigurgiti antidemocratici e palesemente fascisti che hanno segnato drammaticamente la presidenza della Repubblica, il Parlamento e la società nel suo insieme.
Alla vigilia delle elezioni, sorgono preoccupazioni fondate sulla possibilità che i discorsi golpisti possano concretizzarsi con l’appoggio delle élites finanziarie e imprenditoriali, oltre che delle forze armate, con la benedizione della maggioranza delle Chiese evangeliche pentecostali e di settori significativi della Chiesa cattolica.
Surrogato dello stato di diritto
Quello che sta succedendo in Brasile anticipa, ancora una volta, l’Europa che presume di essere maestra della modernità: assoluta fluidità nello “sciogliersi nell’aria di tutto ciò che è solido”. Si sta sciogliendo infatti ciò che, ingenuamente – noi occidentali – pensavamo fosse ormai pratica consolidata, ossia la sconfitta definitiva delle ideologie totalitarie e dittatoriali, l’avvento irreversibile della democrazia, il superamento del colonialismo, la fine del regime di cristianità, la laicità dello stato.
Forse è più appropriato pensare che in America Latina abbiamo sempre vissuto processi apparenti di modernità. Così i fantasmi del passato – fino a ieri diplomaticamente occultati perché condannati da una supposta unanimità – riappaiono spudoratamente, senza censure, nel quotidiano della politica.
Oggi gli inferni appaiono esplicitamente nei discorsi: ed è importante sottolineare che non sono mai stati assenti nella storia del Brasile, anche nella più recente, perché, di fatto, conviviamo da sempre con un surrogato dello stato di diritto, che lascia aperti larghi margini di illegalità, arbitrarietà e violenza, contro i diseredati del mondo rurale e delle periferie urbane.
Una sinistra solo retorica
Insomma, in questo appuntamento elettorale siamo chiamati a negare qualunque legittimità alla prassi e al discorso fascista. Le circostanze e la politica dei partiti di centro sinistra ci hanno lasciato questa unica possibilità di vincere almeno una battaglia contro la destra disumana e liberticida.
Questi avrebbero potuto, in decine di occasioni, scommettere sulla cassazione del mandato presidenziale, ma, non del tutto involontariamente schierati con la maggioranza parlamentare, complice, ancora una volta, nella spartizione corrotta del denaro pubblico, decisero di rinviare lo scontro, per preservare il loro candidato, il cui protagonismo, forse, non sarebbe stato garantito nel caso di un processo di impeachment.
La mia triste impressione è che, nel caso di una sconfitta elettorale delle destre, ciò che può cambiare effettivamente sia solo il discorso – la narrativa –, mentre la realtà dell’egemonia capitalista rimarrebbe indiscussa e inalterata. Ed è successo esattamente proprio così nelle recenti amministrazioni statali di sinistra, di cui il Maranhão è un incontestabile esempio: appoggio incondizionato agli investimenti dell’agribusiness e delle imprese minerarie, con impatti non reversibili sul bioma Cerrado, la savana brasiliana, e sulle popolazioni indigene e tradizionali.
Il tutto accompagnato dalla speculazione edilizia nelle regioni prossime agli stanziamenti urbani, con installazioni industriali, ferrovie, tracciati stradali, idrovie, reti di produzione e di distribuzione dell’energia – spesso contrabbandata come rinnovabile – e da quotidiane violenze dello stato e delle milizie private dei proprietari contro indigeni, quilombolas e contadini. In radicale continuità e coerenza con la politica sviluppista di tredici anni di presidenti di sinistra: le idroelettriche di Estreito, Santo Antônio e Jirau, Belo Monte, e la trasposizione del fiume São Francisco, per ricordare solo alcuni grandi e fallimentari deliri. Nell’amministrazione federale e statale, incontriamo l’alibi inconsistente dei Ministeri e delle Segreterie di difesa dei diritti umani: difesa dei diritti al dettaglio e aggressione dei diritti all’ingrosso.
Tra Lula e Bolsonaro
Questa lettura, però, non mi autorizza a squalificare radicalmente il processo elettorale. Per me si tratta di un dovere etico votare contro Bolsonaro e contro il fascismo. È politico pure il dovere di opporsi a chi difende il valore del triumvirato “Dio, patria, famiglia”, sostegno ideologico di tutti i totalitarismi, e auspica il ritorno al regime di cristianità, questa volta in versione evangelica pentecostalista.
Ma mi lascia preoccupato anche il cortocircuito integralista di certi interpreti delle teologie della liberazione che fanno combaciare riduttivamente liberazione e adesione al Partido dos Trabalhadores (PT) o si lasciano sedurre dal protagonismo messianico di Lula.
Insomma, se Lula vincerà, saremo chiamati a riscoprire Liberazione e Speranza in orizzonti più ampi e a proporre laicamente nuovi ordini del giorno alla politica brasiliana, a partire dalle lotte e dalle insurrezioni profetiche dei popoli originari, quilombolas, comunità contadine tradizionali e comunità delle periferie urbane.