In ambito cattolico, e non solo, si è giustamente rilevato come, nel retroterra culturale di diversi film tra quelli presentati all’ultimo festival di Venezia, si sia data una rilevanza preponderante alla prospettiva del gender e alla tematica dell’omosessualità.
Qualcuno ha parlato di “egemonia culturale dei gay”, prendendo spunto da quella rassegna e indicando il film di Gianni Amelio, Il signore delle formiche, come emblematico di tale deriva ideologica. Certamente il tema del film è centrato sull’omosessualità, nel tentativo di denunciare atteggiamenti ostili alle persone da parte di istituzioni, in particolare quella dell’allora Partito Comunista Italiano e del suo organo di stampa L’Unità.
Meno presente la critica alla visione cattolica del tema, se non in qualche passaggio, nel quale si ritiene che, perché un ragazzo possa guarire da tale malattia, debba essere portato in pellegrinaggio da Padre Pio.
Del resto, l’immagine odierna di Emma Bonino, sovrapposta a una manifestazione di solidarietà col protagonista di fronte al palazzo di giustizia, mentre fa pensare a una possibile partecipazione, almeno ideale, della senatrice, allora giovanissima, a quelle proteste, investe il messaggio del film di un preciso intento politico.
La famiglia c’è e ci sarà
Mi dispenso dal riprodurre la trama e dal rappresentare la figura di Aldo Braibanti (interpretato magistralmente da Luigi Lo Cascio), pensatore e scrittore, che finisce in tribunale con l’accusa di plagio. L’intento attribuito dal regista al sistema giudiziario sarebbe stato quello di perseguire la sua omosessualità.
Senza addentrarmi in una critica formale e, pur tenendo conto dei diversi rilievi già avanzati nei confronti dell’opera, mi preme segnalare attraverso alcune espressioni, marginali, ma non irrilevanti, il fatto che anche all’interno di un prodotto della cultura diffusa, tanto attenta alle minoranze, in particolare omosessuali, vi siano annotazioni significative che stanno ad indicare l’irriducibile valore della famiglia sia nella società che in rapporto allo stato.
Un punto nevralgico a questo riguardo si rinviene nel momento in cui, una volta che l’imputato Braibanti decide di rispondere alle domande del giudice, questi gli chiede cosa pensa della famiglia. La risposta, che riporto a memoria, è illuminante: per me è un vincolo talmente profondo che sopravviverà anche quando non ci sarà più lo stato.
E ciò, aggiungiamo noi, anche perché precede, non solo cronologicamente, ma diremmo ontologicamente, ogni altra istituzione compresa quella statale e quella partitica.
Famiglia: un vincolo resiliente
La rappresentazione cinematografica di questa resilienza della famiglia si esprime nella figura della vecchia madre del protagonista (rappresentata stupendamente da Rita Bosello), che, per quanto sconvolta dalle accuse rivolte all’amato figlio, anche attraverso una scritta vigliacca disegnata sul muro della sua abitazione, resta imperterrita a seguirlo, anche durante il processo, rifiutando ogni appoggio della stampa e ritenendo di dover affrontare, nella sua superba solitudine, le vicissitudini del figlio.
Non solo emotivamente, ma direi speculativamente coinvolgente, è il momento in cui egli viene condotto dai carabinieri al capezzale della madre ormai defunta. Nulla di troppo e nulla di poco in queste scene e in tutte quelle in cui compare la Madre nella sua radicale dignità.
A fronte della madre di Aldo troviamo quella dei due fratelli, Ettore (Leonardo Maltese) e Riccardo (Davide Vecchi), da cui è partita l’accusa di plagio, nei confronti del primo, profondamente amato dal protagonista e che, pur sottoposto a trattamento psichiatrico con l’utilizzo dell’elettrochoc, rivendica sempre la sua autonomia di scelta e di giudizio nella vicenda.
A riguardo di quest’altra donna (interpretata da Anna Caterina Antonacci) sarebbe da ripetere la parafrasi di un famoso detto biblico (= Sir. 28, 18): ne uccide più la [lingua] mamma che la spada.
Oltre l’individualismo dei diritti
Ciò che stride nel tentativo di offrire un’organica sistemazione dei contenuti del film è il fatto che, mentre, come spesso accade, nella rivendicazione dei diritti di cui si fanno carico le forze politiche, prevale il riferimento assoluto all’individuo, per cui si tratterebbe di affermare in fondo esclusivamente le prerogative dell’io, Il signore delle formiche, proprio perché studia un complesso e suggestivo organismo comunitario, rimanda in ogni caso al noi del formicaio e alle sue gerarchie.
E questo non solo per il fatto che la società non può invadere i sentimenti dei singoli, ma soprattutto in quanto, come prima sottolineato, la famiglia precede, accompagna e segue ogni istituzione giuridica e, nella famiglia, la persona, cui, nel film, si contrappone, oltre il sentire volgare, la forza di un partito, che non ha esitato a sacrificare gli individui e le persone per la propria ideologica visione del mondo e della storia.
Raccogliere i “semi del Verbo” anche in espressioni culturali e cinematografiche diffuse e non sempre coincidenti con la visione del mondo propria del cristianesimo, appartiene al teologo che, andando a cinema, cerca di evidenziare tra le pieghe di un prodotto apparentemente figlio di questo tempo, qualche messaggio che attraversa e supera ogni tempo.
Se non ricordo male Gesù riguardo alla sua famiglia d’origine usa questa espressione: chi è mia madre chi sono i miei fratelli?
La sua famiglia preoccupata di quello che diceva voleva riprendersele a casa e manda a chiamarlo mentre era circondato dalla folla. E la risposta di Gesù è molto dura. Il primo a relativizzare la bontà della famiglia è proprio Gesù. Fatico quindi a comprendere l’ossessione cattolica per la famiglia che emerge anche da questo articolo.