Alcuni anni fa, attorno al 2015, in un incontro a Bruxelles presso la sede della Comece (Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea), rimasi impressionato dalle dichiarazioni di un pope ucraino riguardanti la situazione di grande sofferenza delle comunità della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, dovuta alle provocazioni delle comunità ortodosse ucraine appartenenti al patriarcato di Mosca.
Questo pope, con le lacrime agli occhi, invocava la libertà per la sua Chiesa e per la sua nazione rispetto alle violenze provenienti dalla Russia. Egli era venuto a Bruxelles con la richiesta di avere l’aiuto della Comece e di altre organizzazioni per poter presentare la difficile situazione alle autorità dell’UE.
Per i vescovi membri della Comece, in particolare per i vescovi dell’Europa occidentale, risultò una sorpresa l’appassionata testimonianza del pope ortodosso che denunciava le sofferenze causate dagli ortodossi legati a Mosca e dai filo-russi. Sapevamo che vi erano difficoltà e problemi, ma non violenze e aggressioni all’interno del mondo ortodosso ucraino. Sapevamo pure che le tensioni più forti riguardavano la Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina, costretta alla clandestinità da Stalin e poi legalizzata solo nel 1990 da Gorbaciov.
Ma non eravamo a conoscenza della complessità della situazione religiosa dell’Ucraina, dovuta sia alla sua tribolata vicenda storica sia all’attualità politica e culturale. Credo che sia opportuno accennare ad alcuni aspetti di questa complessità per comprendere un po’ più dall’interno la difficile situazione della Chiesa ortodossa, con le questioni religiose e culturali che s’intrecciano con le questioni politiche. Se già nei decenni scorsi vi erano seri problemi di rapporto all’interno del mondo ortodosso ucraino, ora la divisione interna alle Chiese ortodosse è stata fortemente accentuata dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina.
È bene tener presente questo contesto problematico per cercare di valutare i vari interventi messi in atto dalle Chiese per favorire il dialogo e la pace. In particolare ci riferiamo agli interventi sia della Comece e della CEC (Conferenza delle Chiese Europee, nota anche con la sigla KEK) sia di Papa Francesco.
La complessità della situazione religiosa
Come è noto, Kiev è la culla storica della Chiesa ortodossa russa. Nel corso dei secoli, questa città, diventata cristiana dal 988, ha sempre svolto, e continua a svolgere, un ruolo importante nel preservare le tradizioni del cristianesimo ortodosso, sia nei periodi di dominazione della cattolica Polonia sia in seguito con il dominio dell’Unione Sovietica che aveva come obiettivo ideologico l’eliminazione della religione e la sua sostituzione con l’ateismo.
Nel 1992, proprio a Kiev, è sorta la Chiesa ortodossa dell’Ucraina che si e formata staccandosi dal patriarcato di Mosca. Questa Chiesa è stata prima autocefala, si è autoproclamata indipendente da Mosca. Si tratta di una scissione religiosa, ma con un forte risvolto politico: in un certo senso sancisce anche sul piano religioso e culturale la rottura tra Kiev e Mosca.
Poi questa Chiesa è stata accolta nella comunione con Costantinopoli: il 15 dicembre 2018 in un concilio, alla presenza del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, fu ufficialmente costituita la Chiesa ortodossa dell’Ucraina È difficile sapere con precisione quanti fedeli appartengono a questa Chiesa: si tratta di alcuni milioni di fedeli, certamente aumentati con la guerra in corso.
Certamente questa è una ferita profonda per il patriarcato di Mosca ed è il nodo attorno a cui si stringono i problemi dell’ortodossia contemporanea, con tensioni fra il patriarcato di Mosca e il patriarcato ecumenico di Costantinopoli e di diverse altre Chiese ortodosse (cf. per maggiori informazioni: L. Prezzi, Ucraina-Ortodossia: il tomo e il primato; Ucraina, Chiesa ortodossa e “mistica” russa; Ortodossia ucraina: via da Mosca).
La Chiesa maggioritaria continua ad essere la Chiesa ortodossa legata al Patriarcato di Mosca. Capo di questa Chiesa ortodossa ucraina,che ha uno statuto di ampia autonomia, è il metropolita di Kiev, consacrato dall’attuale patriarca di Mosca ed eletto dall’episcopato ortodosso ucraino. L’attuale metropolita Onufrio (Onufrij Berezovskii) è stato eletto nel 2014.
Legato al patriarcato di Mosca, Onufrio è stato sempre leale con la Russia e contrario all’idea che una parte della Chiesa ortodossa diventasse autocefala. Tuttavia l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca ha provocato una forte contrapposizione con il patriarcato di Mosca. Onufrio ha definito l’invasione russa dell’Ucraina un “disastro”, dichiarando che “i popoli russo e ucraino provengono dalla fonte battesimale del Dnepr e una guerra tra loro è una ripetizione del peccato di Caino, che uccise il suo stesso fratello per invidia.
Una tale guerra non può essere giustificata né da Dio né dal popolo”. Non sono poche le parrocchie e i vescovi della Chiesa ortodossa ucraina legata a Mosca che hanno cessato di menzionare il nome del patriarca nell’anafora eucaristica.
Le dichiarazione del patriarca Kirill
L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ha agito come detonatore in una situazione ecclesiale già segnata e attraversata da forti tensioni. Per di più le parole del patriarca Onufrij, assai dure nei confronti del patriarcato di Mosca, hanno reso ancor più imbarazzante il silenzio sull’aggressione da parte del patriarca di Mosca Kirill (Vladimir Michajlovič Gundjaev).
Solo la sera del 24 febbraio il patriarca di Mosca si rivolse ai “fedeli figli della Chiesa ortodossa russa”, senza mai parlare di guerra: accennò a “questi eventi”, parlò di “sventura” e esortò “tutte le parti in conflitto a fare il possibile per evitare vittime civili”. La dichiarazione del patriarca è parsa insufficiente al suo stesso clero: oltre 300 preti, monaci e fedeli della Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca hanno sottoscritto un appello in cui si chiede “la cessazione della guerra fratricida in Ucraina” e si dichiara che “la tragedia che si sta svolgendo oggi in Ucraina è anche il risultato della politica perseguita dal patriarca Kirill durante il suo incarico di capo della Chiesa russa”.
Anche il Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina legata a Mosca, il 28 febbraio, domandò con insistenza al patriarca di Mosca di “dire la sua parola di primate sulla cessazione del versamento fratricida di sangue in Ucraina”. Kirill è stato anche citato in giudizio: la denuncia è stata presentata al Consiglio dei Primati delle Chiese Antiche Orientali, la più alta corte dell’ortodossia mondiale.
Il 6 marzo Kirill pronunciò un’omelia diventata famosa: era la domenica del Perdono, che precede l’inizio della Quaresima. Il patriarca di Mosca e di tutte le Russie si fa sostenitore convinto dell’intervento armato della Federazione Russa in Ucraina. Parla del “deterioramento della situazione nel Donbass” e individua come ragione dell’ostilità verso la Repubblica separatista il consumismo e l’edonismo dovuti alla falsa libertà dell’Occidente.
La guerra in corso è una lotta escatologica tra il bene e il male, ne va “della salvezza umana, di dove l’umanità si colloca, tra i dannati (o sommersi) e i salvati, alla destra o alla sinistra di Dio Salvatore, che viene nel mondo come Giudice e Datore della ricompensa”. Si tratta di “una lotta che non ha un significato fisico ma metafisico”.
Il patriarca chiede inoltre, nell’omelia, di pregare per il popolo ortodosso del Donbass, ma dimentica che in Ucraina e nel Donbass c’è un altro popolo ortodosso che non è filo-russo, ma che fa sempre parte del suo stesso gregge. Ricorda infine che perdonare vuol dire cessare di odiare il nemico, ma non vuole riconoscere che egli ha costruito un nemico ‘esterno’, l’Occidente corrotto, e un nemico ‘interno’, gli ortodossi che non sono filo-russi.
Mentre Putin nei suoi interventi spiega la necessità di questa invasione con riletture del passato della Russia e dei popoli slavi, con riferimenti sia al passato recente sia a quello remoto (si richiama agli zar), Kirill trasfigura la vicenda politico-militare e la innalza a un livello metafisico.
Non solo delinea uno scontro di civiltà tra Oriente e Occidente, ma nelle sue parole echeggia anche uno scontro tra il mondo del male e del peccato e il mondo del bene e della morale. Si può scorgere, secondo alcuni studiosi, il ritorno della teoria di Mosca come terza Roma. Le prime due, Roma e Costantinopoli, sarebbero cadute, la terza, Mosca, sarebbe quella che deve vincere e diffondersi. È l’antica vocazione, o l’antica pretesa universalistica e imperiale della Russia, passata attraverso l’espansionismo degli zar e l’internazionalismo dell’Urss.
Questa vocazione rispunta e si allea con la determinata volontà di rivincita di Putin. Nella grande parata militare del 9 maggio scorso per celebrare sulla Piazza Rossa il Giorno della Vittoria, e la sconfitta del nazismo, Putin, circondato dalle massime autorità tra cui il patriarca di Mosca, ha dichiarata che “in Occidente hanno deciso di cancellare valori millenari: tale degrado morale è diventato la base per ciniche falsificazioni della storia della Seconda guerra mondiale, incitando alla russofobia, elogiando i traditori, deridendo la memoria delle vittime, cancellando il coraggio di coloro che hanno ottenuto la vittoria”.
Non è possibile soffermarci su questo reciproco sostegno di Putin e del patriarca Kirill. Così come non ci soffermiamo sui rapporti molto stretti tra Putin e il mondo monastico ortodosso, ove un consistente numero di influenti monaci intransigenti chiedono a Putin di fronteggiare con vigore “l’Anticristo occidentale”.
Certamente il rapporto tra Chiesa e stato nella Federazione Russa è molto cresciuto negli anni. Viene spesso richiamata la “sinfonia”, termine che descriveva nel passato la comunanza armonica del potere spirituale con quello secolare, del “cielo e della terra”, ricalcando almeno in parte il modello bizantino dei rapporti tra sacerdozio e impero.
Così pure vi è alla base dello stretto legame tra la Chiesa ortodossa e il potere politico l’idea di una progressiva ricostruzione di un’identità pan-russa che si richiama al Russkij mir, il mondo russo, che sembra sostituire a livello politico-culturale l’ideologia comunista con una dottrina che comporta una missione speciale del mondo russo alternativo al modello occidentale. Lo stesso Putin, alla presenza di Kirill, si è proclamato “supremo difensore e custode dei dogmi della fede e tutore dell’Ortodossia” nel corso della visita al Monte Athos avvenuta nello scorso mese di maggio.
È la nuova missione della Russia. Una dottrina elaborata a partire dalla metà degli anni Novanta e perfezionata nell’ultimo decennio.
Il patriarca Kirill lo afferma spesso, come ad esempio il 1° settembre, quando nel suo discorso ha evidenziato il contrasto metafisico fra bene e male: “C’è una lotta fra il bene e il male cosmico… Il nostro paese ha oggi una missione speciale. Siamo fra i pochi che chiamano male il male e bene il bene… Quella che ci viene imposta è l’idea terribile che il bene e il male non esistano, ma siano solo una pluriformità di comportamenti, in cui ciascuno ha diritto di scegliere il modello che più gli aggrada” (per altre dichiarazioni, cf. L. Prezzi, Chiesa russa: il costo della guerra).
Dopo la mobilitazione parziale decisa da Putin (21 settembre), Kirill non ha esitato a configurare il conflitto come una sorta di guerra santa. In un’omelia ha detto: “Andate coraggiosamente a compiere il vostro dovere militare. E ricordate che se darete la vostra vita per la vostra Patria, per i vostri amici, allora sarete con Dio nel suo Regno, nella gloria e nella vita eterna”.
Putin fa propria questa missione: la nuova Russia deve proporsi al mondo come una diversa forma di “civilizzazione”, inserendosi in un ordine mondiale che Mosca vuole “multipolare”. Con un intreccio di alleanze che riguarda principalmente i paesi eurasiatici, Mosca si pone in antitesi con l’Occidente che pretende di imporre a tutto il mondo il proprio punto di vista e soprattutto con l’ “espansionismo” della Nato.
Sono molto nette in proposito le sue dichiarazioni fatte a Vladivostok (Forum economico orientale, 4-6 settembre 2022) e al Forum dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai tenutosi a Samarcanda (15-17 settembre).
“La nazioni occidentali”, ha affermato Putin a Vladivostok, “vogliono mantenere il vecchio ordine mondiale, del quale approfittano, per obbligare gli altri a rispettare le regole inventate da loro stessi e che loro stessi regolarmente violano o cambiano”. La Chiesa ortodossa russa è un elemento fondamentale di questa importante missione. Anzi, secondo alcuni studiosi, sarebbe all’origine di questa nuova missione della terza Roma.
Gli interventi della Comece e della Cec
A fronte di questa realtà, già complessa per cause storiche e ora fortemente radicalizzata con l’intreccio di motivazioni politiche e religiose, le Chiese in Europa, non potendo intervenire in modo concreto e efficace, hanno cercato di favorire il dialogo in vista della pace con appelli ai responsabili e soprattutto con l’invito ad invocare il dono della pace.
Tra i diversi appelli, si può ricordare la lettera scritta al patriarca Kirill dal presidente della Conferenza delle Chiese Europee (Cec). Il pastore Christian Krieger ha esortato il patriarca a parlare chiaramente contro “l’aggressione russa in Ucraina”. “Sono scoraggiato dal suo silenzio sulla guerra che il suo Paese ha dichiarato contro un altro Paese, dove vivono milioni di cristiani, compresi i cristiani ortodossi che appartengono al suo gregge”. Così pure il segretario generale di questo Consiglio, Ioan Sauca, ortodosso romeno, chiede ufficialmente a Kirill “di mediare perché la guerra possa essere fermata”.
I presidenti della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (Comece) e della Conferenza delle Chiese Europee (Cec), rispettivamente il card. Jean-Claude Hollerich e il reverendo Christian Krieger, hanno firmato insieme una lettera al patriarca Kirill, per informarlo di aver inviato una lettera ai presidenti russo e ucraino per un cessate il fuoco “pasquale”, chiedendo il sostegno dell’iniziativa.
“Santità – si legge nella lettera -, abbiamo pensato di informarla che, in qualità di presidente delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea e presidente della Conferenza delle Chiese Europee, abbiamo scritto al presidente della Federazione Russa e al presidente dell’Ucraina. Abbiamo chiesto loro di dichiarare un cessate il fuoco per gli otto giorni compresi tra la Pasqua celebrata secondo il calendario gregoriano e la Pasqua osservata secondo il calendario giuliano, vale a dire il periodo compreso tra l’inizio di domenica 17 aprile e fino alla mezzanotte del 24 aprile”.
Cito infine una lettera del cardinale Jean-Claude Hollerich, che, in qualità di presidente della Comece, ha rivolto un accorato appello al patriarca: “Condividendo i sentimenti di angoscia e preoccupazione di Papa Francesco più volte espressi per i ‘fiumi di sangue e lacrime che scorrono in Ucraina’, mi permetto di implorare Sua Santità con spirito di fraternità: per favore, rivolga un urgente appello alle autorità russe affinché fermino immediatamente le ostilità contro il popolo ucraino e mostrino buona volontà per cercare una soluzione diplomatica al conflitto, basata sul dialogo, il buon senso e il rispetto del diritto internazionale, consentendo al contempo corridoi umanitari sicuri e accesso illimitato all’assistenza umanitaria”.
Le risposte del patriarca Kirill sono evasive e generiche nell’invocare la pace e la giustizia. Ma soprattutto sono riflessioni che mischiano la dimensione geopolitica e la dimensione etico-religiosa al fine di giustificare l’intervento armato della Russia.
Mi soffermo sulla risposta al Cec: “Anno dopo anno, mese dopo mese – scrive Kirill nella lettera di risposta al Cec –, gli Stati membri della Nato hanno rafforzato la loro presenza militare, ignorando le preoccupazioni della Russia che queste armi un giorno potessero essere usate contro di essa”. Manca sempre un qualsiasi riconoscimento delle responsabilità moscovite nel conflitto. La stessa preghiera che appare in conclusione della lettera contiene un indiretto atto di accusa.
“Prego incessantemente che il Signore aiuti a stabilire al più presto una pace duratura e basata sulla giustizia. E spero che anche in questi tempi difficili, il Cec rimanga una piattaforma per un dialogo imparziale, libero da preferenze politiche e da un approccio unilaterale”.
È opportuno ricordare che il patriarca Kirill per alcuni anni, dal 1971 al 1974, è stato rappresentante del Patriarcato di Mosca presso il Consiglio Ecumenico delle Chiese e dal 1989 al 2009 è stato presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. È dunque una persona che ben conosce questi organismi ecumenici che spesso si richiamano, proprio in relazione ai conflitti, all’affermazione “osare la pace per la fede”.
Tra l’altro, nell’Assemblea del Concilio ecumenico delle Chiese tenutosi in Germania con la presenza della delegazione del patriarcato di Mosca (31 agosto-7 settembre), la guerra è stata dichiarata “incompatibile con la natura e la volontà di Dio per l’umanità e contro i nostri principi cristiani ed ecumenici fondamentali. Di conseguenza, rifiutiamo qualsiasi abuso di linguaggio e di autorità religiosa per giustificare l’aggressione armata e l’odio”.
Papa Francesco e la Santa Sede: prudenza e audacia
Nonostante la totale chiusura del patriarca di Mosca e di Putin, Papa Francesco ha continuamente cercato di favorire la pace favorendo ogni possibile spiraglio di dialogo. “Era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina”, ha detto il Papa in un’intervista al Corriere (3 maggio 2022): questa “finestrina” non si è neppure socchiusa.
Ha espresso più volte la volontà di andare a Mosca, ha chiesto un incontro con Putin, “anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento”. Proprio questo forte desiderio di pace di Papa Francesco, alla ricerca di una possibile apertura, motiva la sua prudenza per non lasciarsi coinvolgere nelle questioni di tipo politico e anche per non rovinare il cammino di dialogo intrapreso con il mondo ortodosso e in particolare con il patriarca Kirill.
Sappiamo che questa prudenza o cautela è stata criticata da alcuni commentatori. Il giornalista Aldo Cazzullo non ha esitato a dire: “Papa Francesco mi ha deluso. Sulla questione Ucraina avrei preferito se avesse preso una posizione più netta. Putin è un criminale” (Libero, 12 settembre).
Cazzullo non è l’unico deluso. Ricordiamo in particolare le diverse critiche rivolte al Papa dopo l’intervista al Corriere della sera in cui, cercando di ragionare sulle possibili cause che hanno indotto Putin a una guerra così brutale, Francesco ha detto che anche “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” può forse essere una motivazione: “un’ira, quella di Putin, che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse si”.
Se in Occidente diverse reazioni sono state negative, in Russia le parole di Francesco sarebbero state accolte quasi come un sostegno a Putin. Sulla rivista Il Regno è apparso un articolo intitolato: “Come il Patriarcato di Mosca ha ‘arruolato’ il Vaticano nella guerra” (Th. Bremer, R. Elsner, M. Faggioli, K. Stoeckl, 15/05/2022).
La conclusione è drastica:“Comprendiamo e rispettiamo l’impegno a lungo termine di papa Francesco per la pace e contro la corsa alle armi. Per quanto riguarda la situazione in Ucraina, invece, questo impegno da solo non è sufficiente, perché evidentemente fa il gioco di chi sostiene la guerra. Per questi motivi è necessario da parte di papa Francesco un chiarimento della posizione della Chiesa cattolica sull’Ucraina”.
Anche il Ministro degli Esteri ucraino ha manifestato la sua critica alle parole del Pontefice riguardanti Darya Dugina, la figlia dell’ideologo russo, uccisa in un attentato a Mosca. Per il Ministro degli Esteri, che non ha esitato a convocare il Nunzio apostolico dell’Ucraina, le parole del Papa “confrontano ingiustamente l’aggressore e la vittima”.
Il 30 agosto una Nota della Sala stampa della Santa Sede ribadisce che il Santo Padre condanna la guerra come moralmente ingiusta. “In più di un’occasione, come anche nei giorni recenti, sono sorte discussioni pubbliche sul significato politico da attribuire a tali interventi. A tale riguardo, si ribadisce che le parole del Santo Padre su questa drammatica questione vanno lette come una voce alzata in difesa della vita umana e dei valori connessi ad essa, e non come prese di posizione politica. Quanto alla guerra di ampie dimensioni in Ucraina, iniziata dalla Federazione Russa, gli interventi del Santo Padre Francesco sono chiari e univoci nel condannarla come moralmente ingiusta, inaccettabile, barbara, insensata, ripugnante e sacrilega”.
La prudenza di Francesco nell’evitare ogni parola inopportuna in vista di un auspicato dialogo con Putin e con Kirill è stata accompagnata da parole dure e chiare. A Malta il Papa ha detto: “Tutto questo è disumano! Anzi, è anche sacrilego, perché va contro la sacralità della vita umana, soprattutto contro la vita umana indifesa, che va rispettata e protetta, non eliminata, e che viene prima di qualsiasi strategia! Non dimentichiamo: è una crudeltà, disumana e sacrilega” (Malta, 2-3 aprile 2022).
Sempre a Malta, senza fare il nome di Putin, ha parlato di “vento gelido della guerra” provocato da “qualche potente” che, “tristemente rinchiuso nelle anacronistiche pretese di interessi nazionalisti, provoca e fomenta conflitti”. Francesco non ha mai nominato nei suoi interventi i protagonisti del conflitto, mantenendo un profilo alto.
Ma ha condannato con forza il fatto stesso della guerra e l’affievolimento “dell’entusiasmo per la pace sorto dopo la seconda guerra mondiale”, denunciando la follia di “pochi che vanno avanti per conto proprio, alla ricerca di spazi e zone di influenza”. Le parole sono prudenti e caute rispetto alle persone, ma sono audaci e dure contro “una logica scellerata del potere che porta alla guerra”, che è “una pazzia”.
In molte occasioni, come dopo la preghiera mariana dell’Angelus, Francesco ha ricordato che “non si arresta, purtroppo, la violenta aggressione contro l’Ucraina, un massacro insensato dove ogni giorno si ripetono scempi e atrocità. Non c’è giustificazione per questo”. In altre occasioni, Francesco supplica “tutti gli attori della comunità internazionale perché si impegnino davvero nel far cessare questa guerra ripugnante”; “missili e bombe si sono abbattuti su civili, anziani, bambini e madri incinte”.
Anche nel suo viaggio in Kazakhistan, il Papa ha invitato a edificare la cultura dell’incontro e della pace: “Ancora volta, da questo luogo così significativo (una moschea di Baku), sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio!”; “le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni”. Introducendo i lavori del VII Congresso dei Leader religiosi del mondo e le religioni tradizionali, Francesco ha affermato: “vediamo i nostri giorni ancora segnati dalla piaga della guerra, da un clima di esasperati confronti, dall’incapacità di fare un passo indietro e tendere la mano all’altro” (Palazzo dell’Indipendenza, 14 settembre 2022).
Infine ricordiamo la videoconferenza di metà marzo tra papa Francesco e il patriarca. Qui il papa, nel riferire il colloquio, non esita a usare un linguaggio poco diplomatico: “Ho ascoltato (il patriarca) per venti minuti e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin”.
Sappiamo che per Francesco sono importanti i gesti. Ricordiamo il gesto di visitare l’ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede. Certamente è un gesto poco diplomatico, fuori da ogni protocollo che prevede che sia il Papa a convocare l’ambasciatore in caso di comunicazioni.
È un gesto che rivela un’attenzione speciale accordata alla Russia, sempre per cercare di “aprire la finestrina”. Così pure ricordiamo l’invio di due cardinali, Konrad Krajewski, l’Elemosiniere, e Michael Czerny, Prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, e responsabile per la parte dei migranti.
Tra i molti inviti alla preghiera – forse non c’è un incontro o un Angelus senza l’invito a pregare per la pace, per l’Ucraina martoriata –, ricordiamo la Giornata di digiuno per la pace voluta il mercoledì delle ceneri e la Consacrazione di Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria il venerdì 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione, invitando ogni comunità a “compiere un solenne Atto di consacrazione dell’umanità, specialmente della Russia e dell’Ucraina, al Cuore immacolato di Maria, affinché Lei, la Regina della pace, ottenga al mondo la pace”.
Per un nuovo sistema di convivenza
Merita di essere ripresa un’osservazione del cardinale Parolin: riguarda la guerra in Ucraina, ma si estende alle varie forme di contrapposizione politica e culturale che rischiano di rendere difficile il cammino verso la pace, soprattutto nella nostra Europa: “Purtroppo, bisogna riconoscere che non siamo stati capaci di costruire, dopo la caduta del Muro di Berlino, un nuovo sistema di convivenza fra le Nazioni, che andasse al di là delle alleanze militari o delle convenienze economiche. La guerra in corso in Ucraina rende evidente questa sconfitta. Però vorrei anche dire che non è mai troppo tardi, non è mai tardi per fare la pace, non è mai tardi per tornare sui propri passi e per trovare un accordo”.
Questa considerazione chiama in causa l’Unione Europea, che ha fatto molto per rispondere all’aggressione della Russia contro l’integrità territoriale dell’Ucraina. I leader europei e le istituzioni dell’UE hanno condannato fermamente tali atti di violenza e la violazione del diritto internazionale, hanno chiesto la cessazione delle azioni militari nel rispetto dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’indipendenza del paese.
L’UE, in modo unitario, ha dato il suo ampio sostegno morale e materiale all’Ucraina, ha deciso pesanti sanzioni contro la Russia, coordinando strettamente le sue azioni con i partner e gli alleati. L’UE ha anche proposto lo strumento dell’allargamento dell’UE con l’adesione dell’Ucraina: questione assai delicata e problematica.
Purtroppo in Europa è mancata nel passato, e manca anche oggi, una vera attenzione alle dimensioni storiche, culturali e religiose dei diversi popoli europei. È carente la disponibilità effettiva e concreta a confrontarsi con le varie culture e tradizioni, necessaria per la comprensione delle diverse posizioni e per favorire il dialogo tra i popoli e le Nazioni: l’auspicato “nuovo sistema di convivenza fra le Nazioni” suggerito dal Cardinale Parolin esige un cambiamento che porti a “superare le alleanze militari e le convenienze economiche”.
La scarsa considerazione delle tradizioni culturali è grave soprattutto nella nostra Europa, che è “una e plurale”, segnata nella sua storia secolare da molteplici riferimenti e tradizioni, caratterizzata da una straordinaria e complessa eredità culturale.
Proprio in Europa la cultura è lo strumento necessario per il dialogo tra i popoli, per “unire nella diversità”, come recita il motto dell’UE: “unità nella diversità”. Il dialogo serio, che tiene realmente conto della storia e delle tradizioni civili e religiose dei vari popoli europei, dal Nord al Sud e dall’Ovest all’Est, è lo strumento indispensabile per la collaborazione, la solidarietà, la pace. Ma la grande sfida della pluralità e della convivenza delle culture non è una questione solo interna all’Unione Europea, ma si estende all’odierno contesto mondiale, assai mutato rispetto al passato, in cui l’Europa pensava di rappresentare un modello universale per tutte le culture.
Se la politica culturale dell’Unione Europea è rivolta a “costruire ponti” fra le diverse lingue e culture all’interno del continente europeo, lo stesso impegno è richiesto oggi per far fronte alle sfide del contesto mondiale. Un impegno ancora più impegnativo se si intende favorire il dialogo, certamente difficile, ma imprescindibile. A questo dialogo possono dare un importante apporto le Chiese, ma occorre che le comunità religiose non si chiudano in se stesse, perdendo la loro autorità morale e la loro responsabilità per la vita di tutti e per la pace tra i popoli.
Obiettivo e ben documentato intervento. Francesco Strazzari