La guerra, gli squilibri demografici, le incognite circa la possibilità di mantenere il nostro modo di vivere, la crisi climatica: nella campagna elettorale da cui siamo usciti i temi di interesse collettivo sono stati poco trattati o hanno esercitato, nel momento del voto, un peso molto scarso. Il nuovo conformismo ha infatti sacralizzato gli interessi particolari.
Il «credo» dell’individuo
Quotidianamente recitiamo un «credo» il cui primo articolo suona più o meno così:
«Credo che OGNI UOMO debba avere tutto quel CHE DEVE avere» (NB: non si usa il verbo «volere», perché è considerato desueto).
Il principio antropocentrico è ben radicato nella tradizione religiosa e nelle filosofie emerse dal ceppo hegeliano (liberalismo e marxismo compresi): i beni della terra sono destinati all’essere umano, e sono sufficienti a soddisfare i suoi bisogni e i suoi desideri. Il progresso scientifico e tecnologico li promette a tutti.
Ogni volta che entriamo in un supermercato o apriamo il frigorifero ne abbiamo conferma. Ma dato che facciamo molta fatica a credere in un senso dell’esistenza che stia al di là della corporeità, trasferiamo facilmente dalla specie umana a noi stessi quel principio, che viene quindi inteso in questi termini:
«Credo che OGNI UOMO debba avere tutto quel che DEVE avere, e ogni uomo sono io».
Se volete vedere una versione buffa di questo «credo», guardate Duffy Duck nel cartone animato «Chiuditi sesamo» («Ali Baba Bunny», 1957).
Come sull’Isola di Pasqua
Questo atto di fede (nel fatto che «ogni uomo debba avere tutto quel che deve avere») guida i nostri comportamenti e condiziona i nostri giudizi. Quando ci manca qualcosa, o quando dobbiamo imporci un perimetro, il nostro pensiero non va ai limiti della creazione o alla smisuratezza del nostro desiderio: va alla ricerca del colpevole. Perché, se non abbiamo quel qualcosa, dev’essere colpa di qualcuno.
Il secondo articolo del «credo» è allora:
«Se non ho tutti i beni e tutta la libertà che devo avere (ancora una volta: devo), allora c’è qualcuno che trama CONTRO DI ME».
Duffy Duck esclude infatti di poter mancare di qualcosa perché il suo desiderio è senza misura o perché che i beni della terra sono limitati. Non si rassegna di fronte ad alcuna evidenza. E scatena la sua rabbia soprattutto verso chi ha promesso di poter fare qualcosa. Anzi: contro chi HA fatto qualcosa – ma non ha fatto abbastanza PER ME.
Collaborazioni politiche, legami sociali, conoscenze scientifiche, innovazioni in campo medico o farmaceutico; tutto ciò che ha permesso alla specie umana di diffondersi sul pianeta, di costruire rapporti di conoscenza e collaborazione incredibilmente ampi e di triplicare la speranza di vita dei singoli viene posto sul banco degli imputati e giudicato colpevole di non aver fatto abbastanza.
Un po’ come (pare) sia avvenuto sull’isola di Pasqua con i giganteschi moai, prima eretti e poi abbattuti. Ed ecco, allora, perfettamente consequenziale, che viene il terzo articolo del “credo”:
«CHIUNQUE PROPONE SOLUZIONI PARZIALI – CHE NON MI DANNO TUTTO QUEL CHE DEVO AVERE (no, “volere” proprio non si usa!…) – è UN NEMICO».
L’arte più screditata
Se tutto ci è dovuto, chiunque richiami Duffy Duck ai limiti della realtà (e in particolare ai limiti che derivano dalla necessità di tener conto della dimensione collettiva, dell’esistenza degli ALTRI uomini), non è un possibile alleato nella soluzione del problema: È IL PROBLEMA. Argomentazioni o dimostrazioni vengono accolte con scetticismo, o respinte come parte del Grande Complotto.
Ha grande successo chi propone soluzioni semplici a problemi complessi e promette di farti avere tutto quel che desideri; è considerato nemico chi propone dialogo e la trattativa, porta conoscenze e competenze umane (e perciò limitate), crede che la natura sia un’alleata con la quale essere in perpetua trattativa e non la mamma che risolve ogni difficoltà.
Bassissimo è, in particolare, il credito di cui gode la politica, ossia per l’arte della convivenza pacifica, un’arte difficile che – quando viene messa in pratica – dà risultati perennemente parziali.
Questo è dunque lo scenario in cui viviamo, in cui la dimensione pubblica è considerata sbagliata e perdente, per cui tanti rifiutano di riconoscerle legittimità e credito. Il fatto di non andare a votare è il minimo. Tanti di coloro che votano, poi, lo fanno senza alcun senso di responsabilità, con scelte che stanno tra il goliardico e il massimalista (il sistema elettorale non aiuta!).
Il fatto che nel 2022 sia stata data la responsabilità di governare agli eredi del fascismo aggiunge al tutto un tocco di tragicità, e speriamo che abbia ragione chi diceva che quando la storia si ripete da tragedia diventa farsa.
Nell’urgenza di ricostruire
Oltre il 25 settembre c’è però da ricostruire il nostro rapporto con la realtà e con il genere umano. Non si tratta di abbandonare la fede nel fatto che la creazione ha al suo vertice la persona umana, fatta a immagine e somiglianza di Dio (ognuno traduca questo principio nelle categorie culturali che più gli aggradano).
Si tratta di ricordarsi che il genere umano va oltre i confini della propria persona, e che vi possono essere situazioni in cui per avere un futuro bisogna darsi un limite e accettare la parzialità delle soluzioni. Ricordarselo e vivere di conseguenza.
Come lo si possa fare, non lo so: ma il nostro futuro (di ciascuno e di tutti) passa da qui, non per altre strade apparentemente più semplici. Il libro dell’Apocalisse, che pure annuncia la vittoria finale del Dio morto in croce, non dà garanzie a nessuno:
«colui che deve andare in prigionia, vada in prigionia;
colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso.
In questo sta la perseveranza e la fede dei santi» (Ap 13,10).
Un articolo molto condivisibile nell’analisi iniziale.
È verissimo che stiamo vivendo nella cultura del desiderio.
Il motto dell’uomo attuale è questo: “ho diritto”.
E i doveri? Dove sono i doveri? Che fine hanno fatto?
Spariti.
Il vecchio Mazzini, famosissimo mangiapreti, l’aveva capito scrivendo il suo “i doveri dell’uomo”.
Per Mazzini i doveri si dividono in tre categorie: verso se stessi, verso la patria e verso Dio.
Ora credo che nell’articolo i doveri verso Dio siano stati un pochino trascurati.