I ceri del lutto

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defunti

Anni fa una persona mi portò in dono da Lourdes un oggetto non scontato. Niente a che vedere con le cose che in quella località si acquistano presso negozi e bancarelle.

Proveniva invece dal Museo etnografico dei Pirenei che ha sede nella stessa città. Era un “cero del lutto”: una candela formata da un sottile filo di cera attorcigliato a spirale a formare un cono alto circa 6 centimetri con al vertice lo stoppino per accenderlo.

Il regalo era accompagnato da un librettino (intitolato Cires de Deuil, editato nel 1959), scritto in francese da Margalide Le Bondidier conservatore del Museo dei Pirenei Chateau-Fort di Lourdes, fondato nel 1921 insieme al marito Luis Le Bondidier. Appresi così che i “ceri del lutto” erano diffusi tra il XIX e la prima metà del XX secolo nelle località pirenaiche.

Ogni valle e villaggio era caratterizzata da una specifica tipologia di tali candele realizzate a mano, aventi nomi diversi a partire dalla loro foggia. A treccia, da cui Tracine o Trassine rispettivamente di Bagneres e di Mauvezin. E poi a cubo, a spirale, a palla (“Gumet o Torcle) diffusi tra Francia e Spagna (dette Parilla nei Baesi Baschi). Le immagini  nel libretto illustrano le fasi di preparazione di tali oggetti e il loro uso secondo la tradizione.

Alcuni dettagli rivelano come questi manufatti – che passavano di mano in mano – sapessero veicolare idee e emozioni capaci di dar conforto e luce a chi soffriva perdite importanti. La cera, necessaria alla fabbricazione delle candele, non doveva essere acquistata bensì donata dal proprietario delle api: il suo uso religioso non poteva passare da una compra-vendita in denaro.

Gli strumenti in legno – su cui si arrotolavano i fili delle candele e nelle quali veniva inserito lo stoppino rivestito di cera – ricordano i tomboli primitivi per il ricamo femminile. Il lavoro del lutto è in sintonia con spazi e gesti domestici. Il calore del fuoco che ammorbidisce la cera (da “filare” sottilmente per essere poi arrotolata)  è anche quello che cerchiamo nelle stanze di casa quando manca qualcuno che l’aveva abitata.

I movimenti di mani e corpi che servivano per realizzare quelle piccole opere hanno analoghe caratteristiche di quelli che viviamo nei momenti del lutto: lenti, accorti, silenziosi, ripetitivi e monotoni ma, alla lunga, utili e produttivi. La pazienza è d’obbligo e così la povertà dei mezzi di cui sente di disporre chi sta vivendo una perdita.

Gli stessi lumi erano disposti in luoghi precisi fuori dalla casa e durante i rituali: appoggiati sui luoghi della sepoltura e negli spazi occupati dai parenti. Se illuminati, simboleggiavano la presenza del defunto per un anno. E – sempre per un anno – la domenica e durante tutte le cerimonie religiose la cera veniva srotolata, accesa e posta sulla sedia del defunto in chiesa.

Tale durata richiama il bellissimo libro di Joanne Didion, L’anno del pensiero magico (Il Saggiatore 2005). L’autrice (1934-2021) – giornalista e scrittrice americana vincitrice del National Book Award nel 2015 – descrive il tempo trascorso dopo l’improvvisa morte del marito.

Le occorse un intero anno per non illudersi più di una presenza reclamata e fortemente attesa; un lasso di tempo vissuto con gran fatica per lasciare che le immagini di lui – suo compagno per quattro decenni – lentamente cedessero il posto a fisiche sensazioni della persona mancante che si imponevano in lei. A idee magiche e superstiziose che la seducevano e la convincevano di un ritorno prossimo del suo amato.

La scrittura, l’arte, le voci di soggetti vicini e lontani possono lenire e aiutare il trascorrere di un tempo gravato dal dolore. In una fotografia in bianco e nero, presente nel testo della Le Bondidier, compaiono alcune donne con velo nero inginocchiate in preghiera intorno ai  ceri.

Sono presenze statuarie, che ricordano i bellissimi compianti sul Cristo morto, i gruppi scultorei di tradizione tardo medioevale e rinascimentale presenti anche oggi in alcune nostre chiese. Hanno in comune la compresenza di persone che comunicano la loro addolorata vicinanza e che possono lenire sofferenza e solitudine.

Ritualità e prossimità oggi per lo più mancanti nelle nostre società industriali e post-industriali segnate da individualismo e da penose lacerazioni. Siamo in ricerca di calore e di conforto per quel tempo (impossibile quantificarlo) necessario per elaborare una perdita e riconoscere che:

Attraverso una luce che si spegne
vediamo molto meglio
che ad un lume costante.
C’è qualcosa nel volo
che schiarisce la vista
ed abbellisce i raggi (Emily Dickinson).

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