Giorgia Meloni – neopresidente del nostro governo – per tutta la campagna elettorale e nel discorso di insediamento, parlando dell’Italia, ha continuato ad usare il termine «Nazione» al posto di altri possibili, come popolo, patria, cittadinanza, paese, stato.
Il Devoto-Oli (1971) così definisce la nazione: «unità etnica cosciente di una propria peculiarità e autonomia culturale, specialmente in quanto premessa di unità e sovranità politica; anche origine, nascita, con riferimento alla famiglia o alla patria, complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica».
Nel testo della Costituzione italiana vigente, il termine nazione è utilizzato per lo più come sinonimo di Stato-comunità o Stato-ordinamento (artt. 9, 16, 49, 87, 98, 120 Cost.) e in un solo caso quale sinonimo di popolo (art. 67 Cost.).
Non si tratta, ovviamente, soltanto di un problema linguistico, perché la scelta ripetuta del termine vuole, secondo me, sottolineare le differenze fra gli italiani e gli altri popoli, europei e non europei, poiché non tutte le persone che abitano la nostra penisola sono cristiane-cattoliche, di pelle bianca e parlano correntemente la nostra lingua.
Un uomo politico europeo notoriamente vicino alle posizioni di Giorgia Meloni – il presidente ungherese Orban – recentemente ha affermato: «Noi (ungheresi) non siamo una razza mista e non vogliamo diventare una razza mista», aggiungendo che «ove gli europei si mescolano con i non-europei, non ci sono più nazioni».
Sulla base di tali assunti, nei loro programmi le destre europee si sono comunemente impegnate «alla difesa e promozione delle radici e identità storiche e culturali classiche e giudaico-cristiane dell’Europa», intese come qualcosa di saldo e di permanente, oggi sotto attacco, minacciate.
Nella legislazione italiana permane lo ius sanguinis, per cui i connazionali residenti all’estero godono dei diritti di cittadinanza e possono partecipare al voto nelle elezioni italiane, mentre, ancor recentemente, è stato reiterato il diniego allo ius scholae ai giovani immigrati nati e cresciuti tra noi, con i loro coetanei italiani d’origine.
Sulla base di tali premesse appare non possa appartenere alla nazione italiana chi non è bianco, cristiano-cattolico, europeo, ossia quasi il 10% della popolazione oggi in Italia, ossia quella parte costituita da famiglie mediamente più giovani e con il maggior numero di figli: il tutto nel nostro – giustamente definito – deserto demografico.
Mi permetto di ricordare che la nostra Repubblica ha il compito di tutelare e promuovere i diritti civili di tutti, a prescindere dal colore della pelle, dalle lingue parlate e dalle religioni praticate. Non sta scritto da nessuna parte che la nostra Repubblica possa privilegiare una sola maggioranza etnica.