La proposta di legge presentata alla fine della scorsa legislatura dal deputato, non rieletto, Paolo Siani del Partito Democratico, avrebbe dovuto, con tutele più ampie, migliorare il rapporto tra detenute madri e figli minori.
Gli attuali ICAM (Istituti di custodia attenuata minorile) sarebbero stati progressivamente sostituiti dalla collocazione in case di accoglienza dei soggetti contemplati nella normativa. In questo modo si sarebbe pienamente ottemperato agli articoli della Carta dei diritti dell’infanzia, sottoscritta dall’Italia trent’anni fa.
In linea teorica, questa iniziativa politica risulta ancora pienamente condivisibile. Infatti è un sacrosanto dovere per lo Stato permettere a dei bambini inconsapevoli della colpa dei genitori di crescere nell’eguaglianza e, in pratica, con le stesse opportunità dei loro coetanei. A sua volta, non privare la madre, pur in stato di detenzione, di aver cura della prole, è non solo umanitario, ma anche possibile occasione di riscatto sociale.
Ai Comuni, secondo il vecchio progetto di legge, sarebbe spettato il compito di reperire strutture adeguate dove allocare nel loro territorio madri e figli. La gestione di queste case di accoglienza sarebbe stata affidata al “Terzo settore”.
La nuova legislatura
Nel nuovo Parlamento ci sarà la volontà di riprendere questo percorso, magari nell’ambito di una più articolata riforma del sistema carcerario italiano? Gli attuali ICAM hanno senza dubbio dei costi rilevanti e fissi. Mentre il numero delle detenute con prole e con i requisiti della legge in vigore, sta calando. A Milano attualmente è ridotto a un paio di unità.
Si riuscirebbe ad ottenere un risparmio in termini economici affidando il servizio al Volontariato. Ma il “Terzo settore” potrà assumersi gli stessi oneri a un costo inferiore, cercando di mantenere la qualità che alcuni ICAM attualmente riescono ad offrire?
Essi sono stati istituiti in base alla legge n. 62 del 2011. Prevedono che detenute madri possano restare con i loro bambini fino all’età di 6 anni, se non condannate con sentenza passata in giudicato, o fino all’età di 10 anni, se con condanna definitiva.
Tuttavia, va precisato che, dall’entrata in vigore di questa legge, sono stati realizzati soltanto cinque istituti di questo tipo: a Milano, Torino, Venezia, Cagliari e Lauro (Avellino).
L’esperienza di Lauro
Umanità e professionalità nella gestione di uno di questi ICAM si possono esperire a Lauro, un piccolo paese dell’Irpinia noto soprattutto per il Castello Lancellotti e per i suoi noccioleti. La gente che vi abita conosce vagamente questa realtà.
Eppure dopo l’ICAM di Milano, aperto nel 2006, è considerato un istituto “pilota” nella realizzazione di norme più dignitose e propositive nei confronti della complicata e a volte drammatica realtà carceraria italiana. Lo dirige la dott.ssa Concetta Felaco, coadiuvata dal vice-commissario Felice Galeotalanza, che i bambini della struttura chiamano affettuosamente “zio”.
Essi, nella direzione e nelle responsabilità di questa delicata cellula carceraria, sono affiancati da un pediatra, da psicologhe, da infermieri e da alcuni volontari. Madri e bambini sono, infatti, seguiti costantemente dal punto di vista educativo, psicologico, sociale e medico.
Pertanto nell’ICAM di Lauro, entrato in funzione del 2017 come sezione distaccata della vecchia casa circondariale di Avellino, i canoni previsti dalla legge vengono travasati in una buona pratica quotidiana. Il progetto di ristrutturazione dell’istituto penitenziario è stato ideato dal Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli.
Sono stati realizzati dei mini appartamenti, in tutto venti. Non ci sono cancelli, ma porte blindate chiuse soltanto di notte. Ogni singolo spazio è studiato per il benessere di chi è costretto ad abitarvi. Perfino i materiali usati all’interno e all’esterno rispondono a prove di sicurezza e alle esigenze dell’accudimento. Corridoi spaziosi permettono di non sentirsi rinchiusi anche con il tempo brutto e durante ogni ora del giorno.
Crescere senza trauma
Tutto è organizzato affinché il bambino non subisca il trauma del carcere, ma abbia la rassicurante visione di una serena quotidianità familiare. Il personale di Polizia Penitenziaria vigila discreto in borghese e i sistemi di sicurezza non sono visibili. Lo spazio esterno è allestito come un parco giochi, le finestre si aprono su spazi verdi affinché le mamme e i loro bambini possano ammirare la natura e non immaginarla. C’è una biblioteca dove si possono ritagliare momenti di ascolto, di scoperte, di fantasie.
In definitiva, sia il bambino sia la mamma non percepiscono pesantemente la reclusione, potendo accedere alle primarie opportunità culturali e ricreative. In questo particolare carcere, se ancora così si può definire, troviamo una sala computer, un teatro, un orto. E locali dove si tengono corsi di cucina, découpage, cucito. Attualmente la struttura ospita nove bambini e nove mamme.
Parlare di carcere e di bambino può apparire un ossimoro. Eppure questa modalità detentiva che ancora rappresenta l’eccezionalità e non il normale status connesso ai luoghi di pena, quando ben realizzata, permette che l’affettività venga riconosciuta come diritto anche là dove molti diritti sono sospesi.
Certo, guardarsi in fondo negli occhi e avere un corpo leggero e docile, come intitola Rosella Postorino un suo intenso romanzo del 2013 su queste problematiche, non sempre è semplice da realizzarsi. Sarà dunque necessario ripartire in Parlamento da uno scrupoloso esame delle condizioni degli attuali ICAM per capire se la soluzione delle case di accoglienza sia in grado di attuare pienamente questa aspirazione.