Dal 7 al 9 novembre 2022 la Conferenza episcopale del Congo (CENCO) si è riunita per fare il punto sulla situazione del Paese, sempre più immerso nell’insicurezza. I vescovi suonano il campanello d’allarme perché tutti, ciascuno nella propria posizione sociale, si sentano interpellati dalla situazione.
In primo luogo sottolineano l’aumento dell’insicurezza ovunque, ma soprattutto nel Nord Kivu dove villaggi interi sono assaliti da eserciti senza una precisa identità e la popolazione è obbligata a fuggire e dove i morti sono sempre più numerosi.
A questo proposito i vescovi formulano una prima grande critica alla comunità internazionale che vede e non reagisce in difesa e a sostegno del popolo congolese, con un’affermazione pesante quanto vera: «La comunità internazionale e le organizzazioni regionali, che possiedono la chiave per fare giustizia al popolo congolese, mostrano un atteggiamento ipocrita che rivela una certa complicità».
Anche in altre parti del paese ci sono situazioni critiche che creano disordini con conseguente perdita di vite umane. All’Ovest ci sono dispute violenti fra gruppi di diverse tribù. Nel Congo Centrale si assiste alla vendita di terreni appartenenti a gente del posto: chi vende sono autorità locali, e chi compera sono individui stranieri non bene identificati.
L’invito dei vescovi è quello di vegliare per impedire una balcanizzazione del Paese, già tentata nei primi anni di questo secolo, e di assumere le proprie responsabilità, a cominciare dal governo congolese. Questo deve assicurare al cittadino il diritto più elementare alla vita, e al Paese la sua integrità territoriale. Per questo i vescovi affermano: «L’impegno per la guerra si impone e deve essere effettivo. Quindi occorrerebbe ridurre imperativamente lo stile di vita delle nostre istituzioni e dei nostri dirigenti per rinforzare i nostri mezzi di difesa, modernizzare ed equipaggiare di conseguenza il nostro esercito e motivare adeguatamente le nostre forze di sicurezza».
Personalmente, vedo questa proposta positiva nella sua prima parte, dove si menziona lo stile di vita delle autorità, ma negativa nel rafforzamento dell’esercito in armi. Mi chiedo come si pagheranno, se arriveranno, e chi realmente le userà. Ma la domanda più pertinente è un’altra: davvero non ci sono più possibilità di dialogo? Possibile che non ci siano personalità credibili, capaci di sedersi attorno a un tavolo e cercare la pace? E ancora: nella già critica formazione scolastica, trova posto un’educazione alla pace? Ci sono iniziative concrete e di larga partecipazione per un’autonomia alimentare?
Visti gli scarsi risultati fino ad oggi ottenuti, i vescovi suggeriscono di ampliare il quadro anche fuori delle affinità politiche per trovare nuove strategie di difesa della nazione. Nel contempo affermano la necessità di una giustizia che sancisca la colpevolezza di tanti responsabili di crimini atroci, sia autoctoni sia stranieri, e la necessità di intervenire per alleviare le sofferenze dei migranti interni.
Anche gli esponenti politici dell’opposizione devono partecipare a quest’opera di salvezza.
Le forze armate (FARDC) vanno ringraziate per il loro impegno, nonostante la precarietà delle loro condizioni di vita e di lavoro, ma proprio per questo devono essere portate all’altezza delle esigenze della situazione.
«La compiacenza della comunità internazionale verso le multinazionali e i Paesi predatori delle nostre ricchezze naturali, investe la grave responsabilità di questa stessa comunità che, nella sua duplicità, mantiene un atteggiamento ambiguo».
Oltre tutti gli interessi materiali, anzi, prima di questi, non si deve dimenticare un intero popolo che soffre e muore.
Ma tutti i cittadini sono chiamati a vegliare sul Paese, a cercare strategie pacifiche che possano far cambiare la situazione, soprattutto che possano salvaguardare l’integrità territoriale della RDC.
Infine, i vescovi porgono l’invito a digiunare, a pregare e ad aiutare coloro che hanno dovuto abbandonare i propri villaggi per sfuggire alla morte, e un appuntamento – la domenica 4 dicembre – per una marcia pacifica.