Discorso di Rafaella Figueredo, giovane studentessa di Teologia Fondamentale, al 250° Dies Academicus della Pontificia Università Lateranense (15 novembre 2022).
Eminenze, Eccellenze, Rettore Magnifico, egregi professori e cari colleghi:
Fate is kind. She brings, to those who love, the sweet fulfillment of their secret longing. «È gentile il destino. Porta, a coloro che amano, il dolce compimento del loro profondo e segreto desiderio».
Queste parole sono tratte dalla canzone scritta per il film Pinocchio del 1940, «When You Wish Upon A Star», diventato praticamente l’inno ufficiale della Disney. Impossibile per me non fare un riferimento alla Disney. Essendo cresciuta nel Sud della Florida, alcuni dei momenti più belli della mia infanzia li ho vissuti lì, al parco divertimenti ad Orlando. Ma c’era un posto che per me era ancora più magico, una città vera ed eterna: Roma.
Sognare
È facile sognare quando si è piccoli. L’immaginazione non ha limiti. Questa innocenza se, da un lato, può cadere nell’ingenuità e nella follia, dall’altro, apre il cuore a trascendersi in modo sincero, facendo di ogni momento un piccolo «infinito». Forse è per questo che Gesù ci insegna che per entrare nel Regno dei cieli bisogna avere il cuore da bambino. Il cuore del bambino accoglie pienamente, senza pensare alla propria inadeguatezza, alle difficoltà, perché il bambino è colui che sogna, senza freni e senza scrupoli. È questo l’atteggiamento di chi entra in un rapporto di chiamata e risposta, di grazia e di libertà.
Chi ha mai chiesto a un bambino «cosa vuoi diventare da grande?» sa che non ci sono limiti alla risposta: astronauta, cantante, ballerina, calciatore. Forse la mia risposta era ancora più anormale: teologa. Capita spesso che mi viene chiesto: «come mai hai deciso di studiare teologia?». E la mia risposta è sempre la stessa: perché è la mia vocazione. Non riesco ad immaginarmi su un’altra strada.
È per questo che sono grata che le mie strade mi abbiano portata a Roma, in particolare, alla Pontificia Università Lateranense, dove per sei anni ho coltivato il mio sogno di studiare teologia e dove ho conosciuto quelle persone, docenti e studenti, che mi aiutano a realizzarlo.
La Pontificia Università Lateranense – oppure la PUL come la chiamiamo noi – non è come le altre università. È un luogo dove lo studente non è solo una matricola ma vive l’università. Dove lo studente entra in relazione con gli altri studenti, con i docenti, perché la formazione non mira solo alla dimensione intellettuale ma a tutta la persona. Siamo un’università internazionale, caratterizzata da un’esplosione di culture, nazioni, lingue e storie personali. Tantissimi movimenti religiosi e tanti percorsi diversi. Laici e religiosi, consacrati e seminaristi.
Teologia come vocazione
Come si fa a trarre l’unità da tutta questa diversità? Quando cerco una risposta mi viene in mente il momento prima di un esame, dove tutti sono in aula o in corridoio a ripetere fino all’ultimo secondo possibile. Mi guardo intorno e penso: «siamo tutti studenti». E, quindi, è la vocazione dello studente a unirci tutti. Magari una persona esterna alla PUL potrebbe stupirsi della nostra Università: perché nelle aule di teologia troviamo persone con l’abito, altri con il colletto, altri con jeans e scarpe da ginnastica e, nonostante ciò, si sono coltivate amicizie vere e si condivide lo stesso impegno.
Qualche mese fa qualcuno mi ha chiesto: qual è il tuo sogno più grande per l’Università, in particolare per la Facoltà di Teologia? Ho sentito questa domanda come un grandissimo privilegio e un’occasione unica per dare un mio piccolo contributo. Il mio sogno è che la teologia sia vissuta come vocazione.
Noi laici che ci dedichiamo alla teologia mettiamo in evidenza un fatto importante: la teologia è una vocazione che comprende anche la vocazione particolare dell’ordinazione ma non si limita ad essa. È accessibile a tutti i credenti: seminaristi, laici, religiosi e consacrati. Questa apertura porterebbe una ricchezza unica alla facoltà di teologia perché rispecchierebbe più autenticamente la realtà della nostra Chiesa.
Negli Stati Uniti, come in tante altre Nazioni, non è una rarità vedere i laici che si iscrivono alla facoltà di Teologia, e spesso la maggioranza degli studenti sono appunto laici. Forse, per favorire una maggiore apertura della facoltà di Teologia ai laici, bisognerebbe chiedersi: quale può essere il nostro contributo? Dove possiamo metterci al servizio? E cosa vuol dire avere una vocazione per la teologia?
Laica e femminile
Papa Francesco in un discorso ai membri della Commissione Teologica Internazionale nel 2014 disse che «il teologo è, innanzitutto, un credente che ascolta la Parola del Dio vivente, e l’accoglie nel cuore e nella mente. Ma deve mettersi anche umilmente in ascolto di “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”, attraverso le diverse manifestazioni della fede vissuta, del popolo di Dio… Insieme al popolo di Dio, il teologo apre gli occhi e le orecchie ai segni dei tempi».
Poi, il Santo Padre si sofferma sulla maggiore presenza delle donne nella Commissione dicendo che questa presenza «invita a riflettere sul ruolo che le donne possono e devono avere nel campo della teologia. Infatti, cito, «la Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini… Così, in virtù del loro genio femminile, le teologhe possono rilevare, per il beneficio di tutti, certi aspetti inesplorati dell’insondabile mistero di Cristo «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza». Il papa invita dunque a «trarre il migliore profitto da questo apporto specifico delle donne all’intelligenza della fede».
Il mio sogno è vedere l’Università del papa come portatrice di un nuovo modo di intendere la facoltà di teologia in particolare e la vita universitaria in generale, che testimoni veramente la diversità, senza dimenticarsi dell’unità alla quale siamo stati chiamati. Che sia un luogo dove si possano coltivare i sogni. Che porti agli innamorati della teologia, come nel mio caso, il dolce compimento del loro profondo e segreto desiderio.
Rafaella Figueredo è attualmente iscritta al primo anno del Biennio di specializzazione in Teologia Fondamentale, che costituisce il secondo grado accademico del percorso di studi canonici per la Facoltà di Teologia. Il percorso che ha scelto richiama la necessità di una teologia che si metta in dialogo con il mondo, senza trincerarsi dietro angusti circoli accademici. La teologia può così «uscire» da un discorso autoreferenziale ed essere significativa per tutti (cf. qui su SettimanaNews), abilitata dal Vangelo a prendere il largo e a mettersi in strada per curare le ferite dell’umanità sofferente che, tante volte, vive senza un orizzonte di senso e di vita.
Questa vocazione di una teologia «intrinsecamente aperta», appartiene in modo specifico alla Teologia Fondamentale che si colloca in una condizione liminare e di confine, preoccupata di mettersi in ascolto – come Paolo ad Atene – delle domande dell’uomo del nostro tempo per rendere credibilmente ragione della speranza, di quel motivo dotato di senso che fa della fede il centro e la forma della vita di ogni cristiano.
La teologia fondamentale alla PUL si ispira ad un modello «kerigmatico-kairologico» (cf. qui su SettimanaNews) che, da un lato, riflette speculativamente sul fondamento della fede, ovvero la rivelazione di Dio nel suo compimento escatologico in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, che effonde la pienezza dello Spirito Santo, considerata in tutta la sua ampiezza nella storia della salvezza. Dall’altro, si preoccupa di tradurre credibilmente e di rendere efficacemente tale rivelazione la «stella di orientamento dell’uomo» culturalmente collocato in contesti, con una particolare attenzione alla riflessione sull’esperienza religiosa nella post-modernità, che è indagata teologicamente e filosoficamente anche nelle sue espressioni artistiche.
Ci auguriamo che le parole di chi si cimenta con l’inizio del percorso possano essere di sprono agli «indecisi», che si sono «appassionati» del Logos di Dio ma ancora vacillano perché un tale studio sembra troppo «esotico» a un mondo fatto di utilità, convenzioni e apparenze. Eppure il Figlio di Dio si è fatto estremamente comprensibile, forse addirittura «scandalosamente» per un Dio onnipotente, diventando «trasparente e visibile» nelle parole e nella carne del Figlio Gesù. E a tutti coloro che sono già in cammino sulla via della teologia, che le parole della giovane neofita possano ricordare la bellezza e la gioia di essere chiamati, e che il viaggio non è che la risposta al Maestro che ci vuole con sé (Marco Staffolani, assistente di Teologia fondamentale, PUL).