Perché tante “parole d’odio”?

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diritto

«Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. Pertanto, parole e azioni siano tali da aiutarci ad uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio. La parola del cristiano, invece, si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione» (papa Francesco).

Nel giugno 2022 si sono conclusi i lavori della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla vendetta istituita il 30 ottobre 2019 su iniziativa della senatrice Liliana Segre (e altri) con l’intento di proseguire idealmente i lavori dell’analoga Commissione istituita nel maggio 2016 alla Camera dei deputati per indagare sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio e che era stata intitolata a Joe Cox, la giovane rappresentante della Camera dei comuni britannica uccisa alla vigilia del referendum popolare sulla Brexit.[1]

Costituita da 25 componenti del Senato della Repubblica in ragione della consistenza dei gruppi parlamentari, la Commissione Segre aveva compiti di osservazione, studio e iniziativa per l’indirizzo e il controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche.

Nel periodo dal giugno 2021 all’aprile 2022 la Commissione si è riunita una cinquantina di volte in sede plenaria e otto volte in sede di Ufficio di Presidenza, ha svolto ottantaquattro audizioni, ha ascoltato esperti in molti e diversi campi (giuristi, economisti, linguisti, analisti sociali, studiosi della dinamica della rete, operatori della comunicazione, associazioni, istituzioni nazionali e sovranazionali, rappresentanti del Governo italiano e della Commissione europea), ha acquisito quarantotto documenti di varia natura prodotti dai soggetti auditi, depositando una pregevole Relazione finale il 28 giugno 2022.

I contenuti di quest’ultima, decisamente preziosi per la conoscenza del fenomeno di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, non pare siano stati oggetto di particolare interesse da parte degli organi di informazione.

Facendo riferimento alla suddetta relazione e ai lavori della Commissione,[2] obiettivo del presente scritto è quello di evidenziare in particolare la portata del discorso d’odio, noto, nella formula anglofona, come hate speech: tema sul quale si è concentrata molta parte del lavoro svolto dalla Commissione.

Inquietante diffusione del discorso di odio

Negli ultimi tempi assistiamo ad una crescente spirale dei fenomeni di odio, intolleranza, razzismo, antisemitismo e neofascismo, che pervadono la scena pubblica accompagnandosi sia con atti e manifestazioni di esplicito odio e persecuzione contro singoli e intere comunità, sia con una capillare diffusione attraverso vari mezzi di comunicazione e in particolare sul web.

Parole, atti, gesti e comportamenti offensivi e di disprezzo di persone o di gruppi assumono la forma di un incitamento all’odio, in particolare verso le minoranze. Si pensi solo alla diffusione tra i giovani di certi linguaggi e comportamenti riassumibili nella formula del cyberbullismo o nella derisione online di una persona per il suo aspetto fisico, ma anche ad altre forme violente di isolamento ed emarginazione di bambini o ragazzi da parte di coetanei.

Anche se non sempre perseguibili sul piano penale, i discorsi di odio costituiscono comunque un pericolo per la democrazia e la convivenza civile. È indubbio, infatti, che essi abbiano molteplici effetti negativi di varia gravità su individui, gruppi e società, creando paura e umiliazione tra coloro che sono presi di mira e scoraggiando la partecipazione al dibattito pubblico.

Rispetto ad altre fasi storiche, il contesto contemporaneo è inoltre sempre più plasmato dalla pervasività dei discorsi d’istigazione all’odio legata alla capacità di propagazione della rete. Oggi questo tema è ampiamente riconosciuto come il più urgente.[3]

Natura performativa del discorso di odio

La Relazione ricorda che un discorso di odio ha natura performativa e non meramente constatativa.

Secondo i filosofi del linguaggio «si può affermare che il discorso d’odio si struttura e si basa su enunciati che, anziché essere constatativi (e, dunque, anziché limitarsi a dire qualcosa e a dar conto di una condizione/situazione della realtà), sono performativi, poiché, attraverso l’espressione verbale, in un certo qual modo fanno qualcosa. Si tratta, infatti, di discorsi che indirettamente agiscono sulle cose e sulla realtà stessa contribuendo a incentivare e a indurre dei cambiamenti […]. Ma non è tutto, perché, oltre ad essere performativi, i discorsi d’odio sono anche intrinsecamente illocutori e, più specificatamente, sono perlocutori. Sono discorsi illocutori poiché, a differenza del mero parlare-dire (atto locutorio limitato alla pronuncia di suoni ai quali sono tradizionalmente e convenzionalmente attribuiti dei significati), i discorsi d’odio sono connotati da una forza che trascende la valenza squisitamente lessicale dei singoli vocaboli utilizzati: una forza del tutto particolare che discende dall’intenzione sottesa del parlante. Sono, inoltre, discorsi perlocutori, in quanto persuasivi e prodromici all’azione da parte di chi ascolta».[4]

Dall’odio al discorso di odio

«Per definire il discorso d’odio (hate speech) occorre partire dai diversi modi in cui può essere letto il sentimento antichissimo che chiamiamo odio e che caratterizza l’umanità dalle sue origini. Dall’omicidio di Abele ad opera di Caino in poi, la storia è costellata di storie di violenze e contese: c’è odio nell’Iliade, nella Divina Commedia, nelle tragedie di Shakespeare.

Anzitutto, sul piano psico-sociale esso può essere descritto in varie forme: come un’emozione, un sentimento, un atteggiamento o altro ancora. Secondo l’Oxford Dictionary, possiamo parlare di un intenso ed estremo sentimento di avversione, rifiuto, ripugnanza, livore, astio e malanimo verso qualcuno (singolo o gruppo). 

L’odio presenta un ampio spettro di significati, tanto che gli studi neuro-scientifici identificano con maggiore precisione le aree del nostro cervello deputate all’aggressività, rabbia o istinto di violenza, più facili da decifrare, mentre, per quanto riguarda l’odio, si preferisce ipotizzare un assemblaggio di emozioni diverse a cui concorre un insieme di reti cerebrali. Questo aiuta a capire come l’odio sia un fenomeno complesso e multidimensionale, e come sia difficile individuarlo a livello sociale o giuridico».[5]

Quanto alla definizione di discorso d’odio, la letteratura giuridica contemporanea è concorde nel definirlo come una forma di incitamento all’odio e alla discriminazione che abbia come destinatario un soggetto o un gruppo appartenente a una categoria bersaglio, o target, in virtù di colore della pelle, etnia, religione, nazionalità, disabilità, sesso, identità di genere, orientamento sessuale, condizioni personali e sociali.

Tuttavia, oggi non abbiamo, né a livello italiano e né a livello europeo o internazionale, una definizione dei discorsi di odio univoca e giuridicamente vincolante, anche a causa delle differenti sensibilità culturali e giuridiche dei vari Paesi.[6]

Discorsi d’odio e crimini d’odio

Il discorso d’odio deve essere tenuto distinto dai crimini d’odio, che sono definiti dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) come fatti penalmente rilevanti motivati da pregiudizi e intolleranza.

È evidente che, quando il discorso d’odio è perseguibile penalmente, esso rientra tra i crimini d’odio. In ogni caso, esiste un nesso tra i due fenomeni, così come tra discorso d’odio e discriminazione. Infatti, da una parte, il discorso d’odio è una forma estrema di intolleranza che, se non contrastata, può contribuire a creare un ambiente favorevole al verificarsi di crimini d’odio; dall’altra, esso segnala, il più delle volte, il radicamento di vere e proprie forme di discriminazione nei confronti dei soggetti colpiti.

Il nostro ordinamento[7] sanziona penalmente chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La disposizione non copre i profili di possibile discriminazione nei confronti di categorie di soggetti sulla base dell’orientamento sessuale, del genere e della disabilità.

Oltre alla tutela penale, esiste anche una tutela civilistica[8] che considera sanzionabili, in quanto discriminazioni, anche le molestie off line, ovvero «quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo».

Il discorso d’odio, peraltro, non va confuso con l’ingiuria, la minaccia, le molestie on line e off line, con il discorso aggressivo, o con altre fattispecie che sono meritevoli di tutela ma hanno altre motivazioni e caratteristiche e richiedono dunque un diverso tipo di trattamento culturale e giuridico.

Discorsi d’odio, libertà di espressione e tutela della dignità

Riflettere sui discorsi d’odio porta inevitabilmente a interrogarsi sia sull’interpretazione e la dimensione del diritto di libertà di espressione, sia sulla declinazione del principio di uguaglianza e di dignità.

La relazione finale della Commissione Segre, da un lato, fa rilevare che la necessità di contrastare i discorsi d’odio non deve mai scontrarsi o confliggere con la necessità di tutelare la libertà di espressione,[9] dall’altra, evidenzia l’assoluta necessità di un intervento a tutela delle categorie più deboli delle nostre società, nel rispetto scrupoloso del principio di dignità.

«All’abominio delle leggi razziali volute dal fascismo, emblema assoluto di discriminazione, i padri costituenti della nostra Repubblica risposero – si legge nella Relazione – con gli articoli della nostra Costituzione. In particolare, gli articoli 2 e 3, che incarnano i princìpi di eguaglianza, di non discriminazione, di rispetto della dignità inviolabile della persona, indicano come compito del legislatore quello di abbattere i muri della diseguaglianza e della discriminazione, di qualunque natura essa sia o da qualunque fattore essa provenga. Questo è il solco entro cui muovono i nostri lavori».

Ancora. «La risposta più forte che la politica possa dare contro i discorsi d’istigazione all’odio è, in primo luogo, attuare la Costituzione, promuovere leggi d’inclusione, che estendano diritti sociali e civili, che sono tutt’uno e si rafforzano vicendevolmente. C’è un nesso tra malessere sociale e utilizzo dei discorsi d’odio che va affrontato».

Un più adeguato bilanciamento nella tutela dei diritti, tra libertà di espressione e rispetto della dignità inviolabile della persona umana, «riguarda da vicino il terreno delle questioni economiche, della coesione sociale, della tenuta civile e democratica delle nostre società. È stato segnalato, durante i lavori dell’indagine, come gli studi più recenti abbiano proposto di inquadrare i discorsi d’odio non solo come una lesione della dignità della persona offesa ma anzitutto come una limitazione della sua libertà di espressione. La vittima di istigazione all’odio, infatti, è impossibilitata ad esprimere sé stessa. In quest’ottica, contrastare i discorsi di istigazione all’odio significa innanzitutto tutelare la libertà di espressione del soggetto debole aggredito nei confronti dell’abuso di libertà di espressione del soggetto che compie l’aggressione. Una prospettiva, quest’ultima, che pone tutta la discussione nell’alveo della libertà d’espressione».

I diritti non sono mai assoluti. In ogni diritto, infatti, è insito il concetto di limite.[10] Nessun diritto umano permette di ledere la dignità di altri esseri umani. La dignità umana è il principio alla base di tutti i diritti fondamentali e quindi anche della libertà di espressione. L’istigazione all’odio non ha nulla a che fare con la libertà di espressione: anzi, ne è la negazione.

Anche la Corte Europea dei Diritti dell’uomo afferma che la libertà di parola, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposta, ai sensi dell’art. 10, par. 2 Cedu, «alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui».[11]

I discorsi d’odio, dunque, si possono e si devono punire perché ledono l’uguaglianza e la dignità umana, minano la dialettica democratica, creano paura e umiliazione tra coloro che sono presi di mira, costituiscono una minaccia per la coesione sociale, costituiscono, oggi più che mai, un inedito strumento di diseguaglianza e di ingiustizia.

Urgente acquisire una definizione giuridica dei discorsi di odio

Un’importante risultanza dei lavori dell’indagine è la richiesta al Parlamento di un intervento normativo urgente che permetta, in attesa che si compia il processo definitorio a un livello istituzionale superiore, di acquisire una definizione giuridica vincolante di discorsi d’odio nel nostro ordinamento, per distinguere con certezza dove finiscono il diritto alla critica e la libertà di manifestazione del pensiero e dove inizia l’odio insopportabile e illegale. Senza dimenticare la necessità di aggiornare e rivedere gli strumenti già esistenti, a cominciare dalla legge Mancino,[12] pensata in un’epoca in cui il problema dell’istigazione all’odio in rete non esisteva.

Nel frattempo, è necessaria una forte e condivisa iniziativa politica e legislativa, intorno ad alcune misure dirimenti che possono essere introdotte per contrastare la diffusione dei discorsi d’odio.

In primo luogo, servono strumenti per garantire un’adeguata conoscenza del fenomeno. La scarsità dei dati che riguardano i discorsi d’odio comporta la necessità di una raccolta dati più mirata sui crimini d’odio e sugli incidenti e che sia prevista per legge l’obbligatorietà della rilevazione delle principali forme di discriminazione con continuità da parte dell’Istituto nazionale di statistica, per consentire il monitoraggio dei fenomeni, ripetendo ogni tre anni l’indagine sulle discriminazioni condotta nel 2011 dall’ISTAT e prevedendo al suo interno una serie di quesiti specifici sui crimini d’odio.

Sono necessarie norme a maggiore tutela delle vittime di discorsi d’odio, a partire dal garantire lo strumento del patrocinio a spese dello Stato – previsto nei procedimenti civili e penali che vertono sui diritti della persona e in tema di crimini e di illeciti legati all’odio – a prescindere dai requisiti reddituali.

Alla luce di tutto questo, come emerso con evidenza dalle risultanze dei lavori dell’indagine, la Commissione ritiene necessario e urgente che il Parlamento italiano introduca strumenti normativi specifici relativi all’odio online e alla regolazione della rete. «In assenza di un intervento pubblico – si legge nella Relazione – rimane solo lo strapotere di soggetti privati che finiscono per stabilire chi può dire cosa sulle loro piattaforme».

Conclusione: una filastrocca di Gianni Rodari

Per concludere, un’istruttiva filastrocca di Gianni Rodari, diventata famosa specialmente nella versione musicata e cantata da Sergio Endrigo:[13]

Abbiamo parole per vendere,
parole per comprare,
parole per fare parole.
Andiamo a cercare insieme
le parole per pensare.
Abbiamo parole per fingere,
parole per ferire,
parole per fare il solletico.
Andiamo a cercare insieme,
le parole per amare.
Abbiamo parole per piangere,
parole per tacere,
parole per fare rumore.
Andiamo a cercare insieme
le parole per parlare.


[1] La Relazione finale della Commissione “Jo Fox” è stata approvata il 6 luglio 2017.

[2] Tutti reperibili nel sito web del Senato della Repubblica.

[3] Nel corso dell’audizione del 16 dicembre 2021, il prof. Luca De Biase, coordinatore del Gruppo di lavoro sull’odio online (istituito dal Governo in carica nel gennaio 2020) e direttore del Media ecology research network di Reimagine-Europe di Bruxelles, ha parlato di “gigantesca valanga” di discorsi d’odio online e ha segnalato che, secondo Facebook, «ogni giorno si bloccano e si cancellano 300.000 messaggi d’odio, cioè 26 milioni al trimestre» e che «questi numeri corrispondono al 97% del totale», aggiungendo però che studi assolutamente fondati e credibili affermano che «questi 26 milioni di massaggi d’odio a trimestre in realtà rappresentano non il 97% ma solo il 5% del totale».

[4] Maria Novella Campagnoli, Social media e information disorder: questioni di ecologia comunicativa in Rete (Parte seconda – L’hate speech), in Dirittifondamentali.it – Fascicolo 2/2020, pagg. 1607-1608.

[5] Milena Santerini, Hate speech, linguaggio d’odio, in Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Le cose nuove del XXI secolo (rivista trimestrale on line curata dal Centro di Ateneo di dottrina sociale della Chiesa ed edita da Vita e Pensiero, la casa editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), Fascicolo 2021, 2 – Aprile-Giugno 2021.

[6] Ai fini della Raccomandazione CM/Rec(2022)16 del Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa sulla lotta contro l’incitamento all’odio adottata il 20 maggio 2022, per “incitamento all’odio” si intende qualsiasi tipo di espressione che inciti, promuova, diffonda o giustifichi la violenza, l’odio o la discriminazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone o la denigri a causa delle sue caratteristiche o status personali reali o attribuiti, come la “razza”, colore, lingua, religione, nazionalità, origine nazionale o etnica, età, disabilità, sesso, identità di genere e orientamento sessuale. La Raccomandazione di politica generale n. 15 dell’8 dicembre 2015 della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) del Consiglio d’Europa per discorso d’odio intende «il fatto di fomentare, promuovere o incoraggiare, sotto qualsiasi forma, la denigrazione, l’odio o la diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo, nonché il fatto di sottoporre a soprusi, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce una persona o un gruppo e la giustificazione di tutte queste forme o espressioni di odio testé citate, sulla base della “razza”, del colore della pelle, dell’ascendenza, dell’origine nazionale o etnica, dell’età, dell’handicap, della lingua, della religione o delle convinzioni, del sesso, del genere, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e di altre caratteristiche o stato personale».

[7] Articolo 604-bis del codice penale.

[8] Prevista al comma 3 dell’articolo 2 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215.

[9] Tutelata dall’art. 21 della Costituzione italiana che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero e dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dellì’uomo.

[10] Come ebbe a dichiarare la Corte costituzionale nella sua prima sentenza (la n° 1 del 5 giugno 1956 depositata il 14 giugno 1956): “il concetto di limite è insito nel concetto di diritto e […] nell’ambito dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere nell’ordinata convivenza civile”.

[11] È quanto emerge dall’audizione in data 20 luglio 2021 di Marialisa D’Amico, prof.ssa ordinaria di Diritto costituzionale presso l’Università di Milano. “In numerosi casi, in cui i ricorrenti lamentavano la lesione della propria libertà di parola a causa di normative nazionali volte a reprime i discorsi d’odio, la Corte Edu non ha riscontrato la violazione dell’art. 10 CEDU, ritenendo al contrario necessario “sanzionare e prevenire la diffusione di espressioni che incitano, promuovono, giustificano l’odio fondato sull’intolleranza”, purché tali restrizioni siano “proporzionate allo scopo perseguito” (Erbakan v. Turkey14), tanto è vero che “le leggi volte a contrastare il linguaggio dell’odio e a reprimere atti ispirati dal razzismo e dalla xenofobia, rappresentano – in una società democratica – una limitazione legittima della libertà di espressione in favore della tutela necessaria della reputazione degli individui e delle libertà fondamentali” (cfr. Corte Edu Gündüz v. Turquie15; Feret v. Belgium16)”.

[12] Legge 25 giugno 1993 n. 205.

[13] La filastrocca è riportata al capitolo II, intitolato Parole per ferire, della citata Relazione finale della Commissione parlamentare “Jo Fox” sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio.

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