C’è una luce timida che si accende in una mangiatoia situata in una campagna sperduta, lontano dal fasto di Gerusalemme, dal rumore trionfante dei palazzi del potere, dall’esteriorità del Tempio e dei suoi sacerdoti: Dio nasce ai margini, ai confini del mondo, dove tutto sembra perduto. Nella notte oscura e nella piccolezza fragile di un Bambino, Dio nasce.
Forse è per questo che il Natale del Signore ci attrae e ci affascina. Perché un bambino ci riconsegna alla nostra fragilità, alla pochezza che, a volte, stringiamo tra le mani, al desiderio di semplicità che ci pervade il cuore, alla speranza che non è tutto finito e che sempre possiamo ricominciare.
Natale, in fondo, è questo: Dio che viene e si fa vicino, perché anche nel cuore della notte, nella più sperduta delle esistenze, laddove tutto sembra senza vita, un nuovo inizio è possibile. Una nuova aurora può sbocciare. Un nuovo cammino può ricominciare. Perché Dio è con noi e non ci lascia soli.
Nasce Gesù. Laddove i percorsi della nostra vita sono talvolta faticosi;
- laddove nostri giorni sembrano tutti uguali e manca un sussulto di entusiasmo; l
- laddove ci manca la spinta interiore che ci fa battere davvero il cuore e procediamo stanchi e passivi nelle mille attività da portare avanti;
- laddove ci sentiamo respinti, giudicati, umiliati o semplicemente non riconosciuti e non amati come desideriamo;
- laddove cerchiamo anche noi un posto dove far nascere e brillare noi stessi e a volte ci scoraggiamo sotto i colpi della sfiducia;
- laddove ci impegniamo con il poco che abbiamo ma con la costanza di ogni giorno e sembra che i risultati tardino a venire e che nel mondo non cambi nulla e continuino a sbocciare le ingiustizie e il dolore di sempre;
- laddove vediamo lentamente consumarsi le riserve di speranza che tanto sono necessarie al cuore dell’uomo e alla società per non perdere di vista la meta e perseguire il sogno di una vita più umana e più bella;
proprio lì, e in altri tanti luoghi della nostra esistenza e della storia del mondo, ancora una volta nasce Gesù.
A dirci che possiamo ancora tramutare ogni lutto in festa. Che possiamo nuovamente alzare il capo e provare a cambiare. Che possiamo ricominciare sempre, perché non siamo mai più da soli: Egli è il Dio con noi, l’abbraccio di amore che ci sorregge, la luce che rischiara il cammino.
In quella notte la giovane Maria diede alla luce Gesù, «lo avvolse in fasce e lo depose nella mangiatoia». Non ci sono parole, ci sono solo gesti di cura e di attenzione per il Bambino che è nato.
Anche noi possiamo festeggiare così: avvolgiamo in fasce il Dio che viene, prendiamocene cura, esercitiamo l’arte della tenerezza; non riduciamolo al bambino di cartapesta dei nostri presepi dimenticandoci dei bambini di carne che spesso muoiono di fame sotto le bombe degli adulti (Primo Mazzolari); non deponiamolo nelle teorie, nei riti senza anima, nelle devozioni senza carne, nelle tradizioni senza vita. Accogliamolo nella Parola di vita che Egli ci rivolge. Incontriamolo nella preghiera. Avvolgiamolo in fasce, prendendoci cura di coloro che incontriamo sul cammino, specialmente dei più poveri.
E allora spunterà una nuova alba anche dalla notte oscura. E scopriremo che davvero è possibile ricominciare, ricostruire la speranza, edificare un mondo nuovo.