Abbiamo tutti in mente la voce di papa Francesco quando pronuncia in italiano la parola “PACE”. Quella “c” insistita, quasi una consonante doppia, come un’eco non voluta ma capace di evidenziare quel termine su tutti gli altri.
Parola pronunciata e ascoltata tante volte, sempre di più negli ultimi mesi di guerra in Ucraina. In ogni discorso più e meno ufficiale quando, comunque, la sua emozione trapela e si manifesta anche apertamente.
Donne a Milano
Come un contrappunto a questa nota ho avvertito quella del silenzio che – sempre in difesa della pace – hanno messo in atto un gruppo di donne milanesi. Dallo scorso 6 aprile ogni giovedì pomeriggio, dalle 18.30 alle 19, un piccolo gruppo femminile si ritrova in via Mercanti, a pochi passi dal Duomo per un momento di “silenzio collettivo” in difesa della pace.
L’iniziativa ha una breve storia e dice il desiderio di pace fortemente sentito e condiviso. In occasione della marcia per la pace svoltasi a Milano lo scorso 27 febbraio Ileana e altre sorelle, aderenti all’Ordine laico femminile della Sororità (cf. qui) utilizzano un vecchio lenzuolo bianco della nonna e vi cuciono con stoffe e nastri colorati queste parole “DONNE PER L’ABOLIZIONE DI OGNI GUERRA. OLTRE IL PATRIARCATO.
Con altre donne matura la scelta di scendere in piazza per ribadire il proprio dissenso di fronte agli orrori del conflitto. Questa volta sostano in silenzio in piazza Duomo con il loro lenzuolo dalla scritta multicolore.
È’ il 25 marzo: una data importante per il calendario liturgico della chiesa cattolica ovvero la ricorrenza dell’Annunciazione a Maria e il giorno in cui papa Francesco consacra all’Immacolato Cuore di Maria la Russia e l’Ucraina.
Ma anche non credenti aderiscono e dopo un esplicito invito della Questura milanese la sede di questa manifestazione si sposta in piazza Mercanti, centrale crocevia cittadino. Alcuni passanti si fermano incuriositi e si informano, altri ignorano o affrettano il passo.
Nei mesi si aggiungono alcune associazioni femminili e uomini (“maschi non animosi”, come li chiamava Ivana Ceresa, fondatrice dell’Ordine della Sororità, recuperando una definizione della teologa psicoanalista tedesca Hanna Wolff) credenti di fedi varie e non credenti. Si espongono cartelli bianchi con la parola PACE scritta in più lingue, e compare un altro striscione: “SIAMO DONNE CHE INVITANO DONNE E UOMINI A UNIRSI A NOI IN UN SILENZIO PER LA PACE”.
Carla, presente fin dalla prima ora, è l’unica che parla e spiega anche ai numerosi stranieri interessati. Mi mostra alcune immagini di questo gruppo che nel tempo prende sempre più consapevolezza di sé e così può nutrire le coscienze di altri.
Nelle foto si individuano soprattutto donne, con abbigliamenti leggeri per la calura milanese e pesantissimi, quelli di queste ultime settimane in cui pioggia e freddo hanno messo a dura prova l’iniziativa, mai sospesa. Il gruppo è eterogeneo non numeroso ma tenace e si augura che in altre città il silenzio collettivo si propaghi.
Il silenzio
Ma perché il silenzio? Un’alternativa al vociare mediatico? L’esibizione critica della tradizionale richiesta di tacere alle donne (“tu stai zitta!”)? L’espressione di un’impotenza provocatoria di fronte ai grandi della terra che hanno sempre ignorato o marginalizzato la richiesta femminile di riporre le armi che uccidono figli e figlie?
La reazione istintiva di chi vuol uscire di casa perché le immagini e le documentazioni televisive di morti e distruzioni provocano la domanda alla propria coscienza: “E io che cosa posso fare?” La scelta di un silenzio esibito convince.
Certo è smisurata la distanza tra questo spazio pubblico con uno sparuto gruppo di persone e i luoghi segreti e privati in cui vengono prese decisioni per negoziati o per strategie militari. Sappiamo quanto un’aggressione armata non possa essere fermata né con parole né con meri silenzi. E che le guerre di liberazione da oppressori hanno richiesto l’ausilio di armi e di eserciti.
È anche noto quanto i sit-in siano fuori moda oggi in Italia dove i salotti mediatici sembrano prevalere spesso zittendo (guarda caso!) altre voci prive di microfoni. Tuttavia, questa minuta manifestazione (di cui però stampa e social hanno parlato e continuano a parlare) è per molti l’occasione di una sosta riflessiva, almeno mentale (in silenzio…), tra sé e sé.
Donne per la pace
Più volte le donne hanno scritto e parlato in difesa della pace soprattutto nel secolo scorso drammaticamente segnato da due conflitti mondiali e tante altre guerre.
Tra queste voci ricordiamo quella di Simon Weil che si ribellò alla catastrofe dell’occupazione nazista dell’Europa con le sue “armi” di insegnante, intellettuale e anche operaia alla Renault.
In un bel libro dedicato a lei e ad altre scrittrici controcorrente del 900 (NADIA FUSINI, Hannah e le altre, Einaudi 2013) l’autrice la ricorda mentre – alla vigilia della Seconda guerra mondiale, nel 1939 – visitava a Ginevra la mostra dei capolavori del Museo del Prado scampati alle bombe lanciate su Madrid dalla legione Condor grazie agli sforzi di più musei europei e al Metropolitan di New York.
Tra le opere una serie di disegni di Goya intitolata ai Disastri della guerra con orribili scene di stupri, massacri e sepolture risalenti all’occupazione napoleonica della Spagna tra il 1803 e il 1814 e che troppo assomigliano a quelle che vediamo ogni giorno sui nostri teleschermi.
Di fronte a quelle immagini la giovane donna (era nata nel 1909 e sarebbe morta solo quattro anni dopo) rafforza la sua tesi espressa nel titolo del celebre saggio Iliade, il poema della forza scritto tra il 1936 e 39 dove definisce la forza “ciò che rende chi le sia sottomesso una cosa”. La forza annichilisce, rende cose gli esseri umani privandoli di vera identità.
Le donne e gli uomini che interpretano l’annichilimento perpetrato dalla guerra tacendo per mezz’ora in una Milano sempre di fretta, in realtà parlano, anzi urlano il loro sdegno e in modi diversi pregano quel Dio che “farà cessare le guerre sino ai confini della terrà, romperà gli archi e spezzerà le lance e brucerà con il fuoco gli scudi “ (Salmo 46,10).
Rimandando alla voce “pace” che papa Francesco non si stanca di pronunciare.
Condivido pienamente il contenuto dell’articolo e apprezzo molto la buona volontà di queste donne che manifestano in silenzio il loro
“NO” alla guerra. Non credo però che possa essere sufficiente, poiché non si vedono nell’ambito sociale dei miglioramenti e le forze politiche condizionate dai poteri oligarchici non mostrano una reale volontà di porre fine ai conflitti mondiali. Per questo ritengo che oltre a manifestare il nostro dissenso alle mostruosità che stanno accadendo si debba sensibilizzare la popolazione soprattutto le persone che non hanno ancora capito che stiamo vivendo un periodo storico estremamente pericoloso si parla di un radicale cambiamento mondiale… Si parla addirittura di un transumanesimo… Non per questo dobbiamo perdere la speranza e poiché sono credente cattolica e praticante spero ardentemente in un intervento divino.