Nella mangiatoia mancano le parole, alberga solo lo stupore. Il dolce canto notturno che si leva dall’aspra periferia della Galilea non è abitato da rumori e parole, ma è un incanto di stupore che mette nel cuore dei pastori il desiderio di mettersi in cammino, di andare a vedere cosa sta accadendo e qual è il motivo di tanta gioia.
E questi umili personaggi del tempo, dopo aver imbracciato il coraggio di lasciare il gregge per andare a vedere un bambino, diventano l’icona del credente: solo i piccoli, gli umili, coloro che lasciano le proprie sicurezze per aver sperimentato una indicibile gioia, possono mettersi in movimento e andare incontro al Signore, riconoscendolo come Dio della vita.
Giungendo alla grotta, essi trovano la scena più semplice e più disarmante del Vangelo: «trovarono Maria, Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16). Un quadro di bellezza stupefacente che ci mostra l’umanità di Dio: un Dio di carne, totalmente immerso nella storia, che non disdegna l’odore acre di una stalla e che si affida alle tenere braccia di una madre che lo accoglie.
Ecco, allora, come la solennità di Maria, Madre di Dio, ci parla di un nuovo anno che si apre, di un tempo che siamo chiamati a riempire di novità, di una storia che è ancora da costruire, di una speranza che siamo chiamati ancora una volta ad accendere: imparare ad essere umani, per generare vita attorno a noi.
Il Dio umano si affida alle umane braccia di Maria che dolcemente se ne prende cura. E la Madre ci insegna che la vita accade, fiorisce e si moltiplica laddove ci sono gesti di tenerezza e di cura, braccia aperte per accogliere, carezze che incoraggiano.
Maria ci insegna questa tenerezza di Madre per dire anche a noi che la nostra umanità ha bisogno di questo: della tenerezza di chi sa fermarsi, di chi sa accendere lumini di speranza, di chi sa asciugare una lacrima, di chi sa accogliere l’altro tra le braccia.
La vita fiorisce solo con gesti di cura materna, quando facciamo crollare dentro di noi i muri dell’egoismo e abbattiamo nella nostra società ciò che ci separa e che ci arma gli uni contro gli altri.
Maria ci fa vedere i dettagli spesso invisibili dell’amore, da cui la vita fiorisce: tenere fra le braccia il bambino, adagiarlo nella mangiatoia, accogliere i pastori, lodare Dio per le meraviglie che ha compiuto, custodire nel cuore lo stupore di quei giorni.
Non siamo chiamati anche noi a recuperare questa semplicità bambina e la cura dei piccoli gesti di amore che curano la nostra vita, la società e il mondo dalle ferite del male, dell’arroganza, della violenza e dell’egoismo?
Impariamolo da Maria, Madre di Dio e tenera Madre nostra. Impariamo da lei, donna innamorata, a far fiorire la vita attorno a noi, con le parole, con i gesti, con le scelte del nostro quotidiano.
E, mentre ancora sperimentiamo troppo spesso lo spegnersi delle lanterne della speranza, a Maria chiediamo ancora di poter sperimentare la gioia inattesa della visita di Dio nella nostra vita.