Nel suo libro Rivoluzione idrogeno, uscito nel 2020, Marco Alverà si propone di «contribuire al dibattito sulla lotta ai cambiamenti climatici con una prospettiva costruttiva e ottimista, sottolineando il ruolo dell’idrogeno per il futuro del pianeta».
L’autore è un manager che ha lavorato per oltre vent’anni nelle più importanti aziende energetiche italiane: Enel, Eni, Snam; è amministratore non esecutivo di S&P Global, membro della Clean Hydrogen Alliance della Commissione europea, membro dei consigli generale e direttivo della Fondazione Cini di Venezia, presidente di Gas Naturally (gas rinnovabile in Europa), visiting fellow della Oxford University, vice-presidente di Fondazione Snam, co-fondatore della Fondazione Kenta Alverà. Nel giugno del 2022 è passato, sempre in qualità di amministratore delegato, da Snam a Tree Energy Solutions, azienda tedesca specializzata nelle tecnologie per l’idrogeno.
Cambiamento climatico
Il punto di partenza del libro è l’analisi del cambiamento climatico, fenomeno che stiamo vivendo in modo sempre più pesante, con le sue conseguenze drammatiche: frequenti ondate di calore, siccità, uragani, inondazioni, scioglimento dei ghiacci, aumento del livello dei mari, perdita di biodiversità, carestie, migrazioni, guerre.
Gli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change hanno accertato che la causa di tutto ciò risiede nella nostra società, che continua a immettere in atmosfera quantità crescenti di gas serra che producono un rilevante aumento termico: la temperatura media terrestre è cresciuta di oltre 1°C dall’inizio dell’era industriale, mentre la soglia di 2°C è considerata il punto di non ritorno del cambiamento climatico. Per rimanere sotto questa soglia dobbiamo puntare a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni entro pochi anni: possiamo immettere in atmosfera al massimo altri 700 miliardi di tonnellate di CO2, mentre oggi immettiamo annualmente circa 42 miliardi di CO2, dei quali 33 miliardi solo per esigenze energetiche.
La situazione è grave: occorre agire, e subito. Ma come? La prima idea, praticabile già da adesso, è quella di cambiare il nostro stile di vita, cercando di ridurre i consumi e gli sprechi a cui siamo abituati: meno viaggi con mezzi a motore, meno cibo buttato, meno acqua sciupata, meno acquisti non necessari, meno consumo di carne, meno consumo di suolo.
Dov’è possibile si può incoraggiare il lavoro da casa, come ci ha insegnato il lockdown dovuto al Covid. Ma soprattutto occorre un impegno collettivo per salvaguardare la nostra “casa comune” in un orizzonte di sostenibilità e di solidarietà anche sul piano finanziario, per garantire un futuro alle nuove generazioni e prospettive per le popolazioni più povere. A questo proposito si veda l’enciclica Laudato sì di Papa Francesco, si considerino gli accordi di Parigi del 2015 e gli obiettivi di Agenda 2030: hanno indicato un cammino da intraprendere insieme per salvare l’ecosistema.
L’Unione Europea ha risposto positivamente nel 2019 con il Green New Deal che prevede la neutralità climatica (zero emissioni) entro il 2050, ma le cose non vanno così altrove, come risulta dall’esito della COP26 di Glasgow nel 2021. Inoltre, le guerre in corso, in particolare quella tra Russia e Ucraina, peggiorano la situazione. Teniamo anche conto che la popolazione mondiale raggiungerà quasi 10 miliardi di individui nel 2050, il 70% dei quali vivrà nelle città.
Sistema energetico: idrogeno
A livello strutturale occorre cambiare radicalmente il nostro sistema energetico e accelerare la transizione dalle fonti fossili (carbone, petrolio, gas naturale) a quelle rinnovabili. Al momento si punta soprattutto sul fotovoltaico e sull’eolico che trasformano direttamente in energia elettrica l’energia solare e quella del vento: tra le fonti rinnovabili sono quelle che hanno fatto registrare la migliore crescita negli ultimi 20 anni, affiancandosi o superando l’idroelettrico.
Ma l’energia elettrica da rinnovabili non basta per soddisfare il nostro fabbisogno energetico: occorrono soluzioni complementari soprattutto per decarbonizzare il trasporto pesante (terrestre, navale e aereo), l’industria, il riscaldamento e il raffrescamento. Occorre un piano energetico che sia risolutivo, competitivo e globale, impegnando non solo la UE e i paesi occidentali, ma anche i paesi orientali e quelli in via di sviluppo, in primis la Cina, l’India e la Russia. In questo piano può giocare un ruolo determinante l’idrogeno.
L’idrogeno è l’elemento più leggero e più abbondante nell’universo. L’idrogeno molto raramente si trova da solo, bensì combinato con molti elementi, per esempio con l’ossigeno nell’acqua H2O, con il cloro nell’acido cloridrico HCl, col carbonio nel metano CH4 ecc. L’idrogeno può essere prodotto per elettrolisi tramite elettrolizzatori, fornendo all’acqua energia elettrica (magari ottenuta da fonti rinnovabili), separando così l’idrogeno dall’ossigeno: 2H2O + elettricità → 2H2 + O2. L’idrogeno prodotto può essere così stoccato e utilizzato, al bisogno, mediante una cella a combustibile che fornisce energia con una reazione di sintesi dell’acqua.
L’idrogeno non è una fonte energetica primaria perché non lo si trova isolato, ma bisogna appunto produrlo; è un vettore energetico che consente di immagazzinare grandi quantità di energia, superando i limiti delle fonti rinnovabili elettriche legati all’intermittenza della fornitura di energia primaria dal sole e dal vento. L’idrogeno è virtualmente inesauribile, non è inquinante e non è climalterante (zero emissioni), non contiene carbonio. Gli idrocarburi, invece, contengono carbonio in alte percentuali e idrogeno in piccola misura, inquinano e favoriscono il cambiamento climatico, come dalla seguente tabella riportata a pag. 53 del libro.
contenuto in carbonio | contenuto in idrogeno | emissioni di CO2 (kg/MWh) | |
carbone | fino al 90% | 5% | 900 |
petrolio | 84-87% | 11-13% | 565 |
gas naturale | 75% | 25% | 365 |
idrogeno | 0 | 100% | 0 |
Tipi di idrogeno
Parlando di idrogeno bisogna distinguere tra idrogeno grigio, che si ottiene tramite combustione di idrocarburi; idrogeno blu, ricavabile grazie alla cattura e al sequestro della CO2; idrogeno verde, che viene prodotto con l’impiego di energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili.
L’attenzione è rivolta soprattutto all’idrogeno verde che, in tandem con le fonti rinnovabili elettriche (soprattutto eolico e fotovoltaico), può segnare una svolta decisiva nel processo di transizione ecologica. L’idrogeno è facilmente trasportabile usando le infrastrutture già esistenti per il gas e favorisce lo sviluppo delle rinnovabili verso la decarbonizzazione.
Può essere stoccato per molto tempo e conservato, in forma gassosa o liquida, in serbatoi e in bombole a moderata o ad alta pressione. È possibile immagazzinare idrogeno anche nei metalli e in altri materiali.
L’idrogeno è utilizzabile nelle industrie, in particolare in quelle ad alta intensità energetica (acciaierie, siderurgia, manifattura, cemento), dove si richiedono temperature fino a 1600°C, che difficilmente sarebbero raggiungibili col solo uso delle rinnovabili elettriche.
Se in Europa si volesse decarbonizzare il riscaldamento e il raffrescamento degli edifici col solo uso delle rinnovabili elettriche (eolico e fotovoltaico) occorrerebbe accumulare l’energia solare disponibile nei mesi estivi con batterie per un costo di 500 trilioni di dollari. Né potrebbero bastare i bacini montani per accumulare l’acqua anche tramite pompaggio.
Peraltro, la siccità che colpisce oggi molte parti del mondo, Europa compresa, rende più difficoltoso l’uso dell’idroelettrico per impieghi più ampi di quelli attuali. Anche in questo settore l’idrogeno, con la sua alta densità energetica, può essere la soluzione: lo si accumula nella stagione estiva usando elettricità da rinnovabili e lo si utilizza quando serve per riscaldare o anche per raffrescare.
Occorre però un adattamento (costoso) delle caldaie e dei bruciatori nelle case e della rete di distribuzione usata per il gas. Una soluzione intermedia, già sperimentata in Italia con successo, è quella di miscelare al 10% l’idrogeno con il gas naturale, usando le infrastrutture esistenti (blending). Un’esperienza di uso domestico dell’idrogeno, attiva già da 50 anni, è fornita dalla città di Leeds nel Regno Unito.
I trasporti sono responsabili per circa il 25% delle emissioni globali di CO2. L’idrogeno verde, con zero emissioni, può darci una mano per puntare verso una mobilità pulita e sostenibile con aerei, navi, camion, autobus e altri mezzi, comprese le automobili. Un mezzo di trasporto con cella a combustibile a idrogeno ha un rendimento di circa il 65%, molto più alto di quello ottenibile con motori termici (a combustione interna) che si aggira intorno al 25%.
Un vantaggio del mezzo a idrogeno rispetto a quello elettrico è che non necessita di batteria: come si sa la batteria è pesante, dà un’autonomia limitata e richiede un notevole tempo di ricarica. Già si progettano navi e aerei a idrogeno liquido. Perché il trasporto a idrogeno possa decollare, bisogna sviluppare le infrastrutture necessarie, in particolare le stazioni di rifornimento per i veicoli su strada.
Approvigionamento energetico
Per potersi diffondere, l’idrogeno può utilizzare la rete di trasmissione del gas naturale che può fornire 5 volte più energia della rete elettrica, è più flessibile e più efficiente. L’idrogeno (verde) consente di connettere la rete del gas con quella elettrica.
Il piano power to gas di Snam denominato PPWS (put the panels where it is sunny) prevede l’installazione di parchi solari sul suolo del Sahara (basterebbe rivestire di pannelli fotovoltaici solo lo 0,8% della superficie desertica) per ottenere dal sole, in modo molto più efficiente che in Europa, l’energia elettrica necessaria per ottenere grandi quantità di gas che, convogliato attraverso i gasdotti già esistenti, potrebbe giungere nel nostro continente per le applicazioni desiderate.
I gasdotti del Mediterraneo hanno la potenzialità di trasportare idrogeno anche al 100%, con alcune opportune modifiche. Altri piani power to gas potranno decollare nel mare del Nord, dove abbonda l’energia eolica, e in Bassa Sassonia.
La UE dipende dall’estero per l’approvigionamento energetico. Lo sviluppo dell’idrogeno e delle rinnovabili ridurrebbe questa dipendenza, favorendo l’abbassamento delle tensioni geopolitiche e la lotta ai cambiamenti climatici. Il mercato globale dell’idrogeno potrà crescere grazie alla cooperazione internazionale e potrà ridurre gli squilibri tra paesi ricchi e paesi poveri.
Ma per lo sviluppo di un’economia di questo tipo, il costo dell’idrogeno verde dovrà scendere fino al cosiddetto tipping point o punto di svolta di 2 $/kg che lo renda competitivo. Per raggiungere questo obiettivo occorre aumentare la ricerca e ridurre drasticamente il costo degli elettrolizzatori, con grandi investimenti.
Le rinnovabili elettriche sono divenute competitive intorno al 2020, quando i loro costi, in un decennio, sono passati da 360 $/MWh a 45 $/MWh per il fotovoltaico e da 800 $/MWh a 45 $/MWh per l’eolico. Potrebbe capitare una cosa analoga per l’idrogeno. Si è notato che, al raddoppiare della capacità complessiva installata degli impianti per l’idrogeno, si registra una diminuzione dei costi del 15% (learning rate). Intorno al 2030 per gli impianti a idrogeno verde si dovrebbe raggiungere una potenza complessiva di 50 GW, utile per raggiungere il tipping point dei 2 $/kg che lo renda competitivo.
Perché avvenga la transizione energetica verso le fonti rinnovabili veicolate dall’idrogeno occorre un deciso impegno da parte dei governi in sinergia con la società civile.
Bibliografia
Alverà Marco (2020). Rivoluzione idrogeno. Milano. Mondadori.
Alverà Marco (2019). Generation H. Milano. Mondadori Electa.
Rifkin Jeremy (2003). Economia all’idrogeno. Milano. Mondadori.