Lasciata la RDC con i suoi problemi, le sue ferite ma anche con tanta speranza, Francesco atterra a Juba, Sud Sudan, altro paese in cerca di giustizia e, soprattutto, di pace. Paese con problemi simili a quelli della RDC, ma con elementi diversi e situazioni critiche esistenti da lunga data come le guerre interminabili, un’indipendenza troppo giovane per non essere preda di una guerra civile, sfollati esterni ed interni, poveri fino alla fame…
Il papa, il moderatore della Chiesa di Scozia e l’arcivescovo di Canterbury (pellegrinaggio ecumenico di pace) hanno richiamato i politici a riprendere il dialogo per un piano di pace. Le promesse di un impegno in questo senso sono parse deluse. Sembra infatti che Il cammino si sia fermato.
Nell’aprile 2019, a Roma, papa Francesco aveva compiuto un gesto inaspettato, baciando i piedi dei leader politici per implorare la pace. Si era avviato un processo con la firma di un documento, ma tutto si è arenato. Ora le Chiese cristiane dicono: «Basta! Ora tocca a voi!».
Oggi anche i due grandi gruppi etnici si trovano ulteriormente frantumati. Questo messaggio di unità ecumenica si unisce al lavoro di ricucitura delle divisioni operato dalle diverse congregazioni religiose riunite in un gruppo di lavoro chiamato “Solidarietà per il Sudan”.
Tutto il lavoro delle Chiese è volto a coinvolgere e a formare il popolo e le autorità del paese in un processo di sviluppo e di pacificazione. “Solidarietà per il Sudan”, infatti, mira non solo alla formazione dei catechisti, ma anche alla formazione per l’educazione, per la sanità e per il sostegno dell’agricoltura.
L’ecumenismo è apparso un elemento trasversale. L’unità di intenti e di azione delle tre Chiese è simbolo, ma anche prova della possibilità di unità e di pace dell’intero Sudan.
Il pontefice ha pure spiegato il significato della parola Repubblica, che è l’interesse del bene comune, come risposta alla corruzione di coloro che sono responsabili di questo bene.
A differenza del popolo della RDC, apparso molto gioioso, la gente sudanese, a detta di qualche osservatore, è sembrata stanca, quasi triste. Questo trova una spiegazione nella lunghezza della guerra in Sudan e in un evidente immobilismo delle autorità politiche che hanno scoraggiato anche le istituzioni internazionali impegnate nel processo di pace.
Le Chiese non vogliono abbandonare la speranza e propongono il loro ecumenismo come chiave di soluzione del problema. I tre rappresentanti delle Chiese cristiane lo hanno ribadito nella conferenza stampa tenutasi durante il viaggio di ritorno. Qui va sottolineata la scelta molto intelligente di papa Francesco che ha voluto coinvolgere i due rappresentanti nella conferenza stampa.
In essa viene sottolineato e condannato ancora una volta lo sfruttamento dell’Africa attraverso quel colonialismo che il pontefice aveva definito “economico”. Lo si deve abbandonare per rispetto alla dignità degli africani. E, per la stessa dignità, si deve smettere di vendere armi.
Ma questo non basta. L’arcivescovo di Canterbury aggiunge che è necessario un cambiamento del cuore, se si vuole realizzare una trasmissione pacifica del potere.
Il reiterato appello alle autorità civili a mettersi in marcia nel processo di pace sembra quasi una mossa a tenaglia per metterle alle strette. Le Chiese non possono continuare a sostituire il governo in settori importanti come l’educazione e la sanità. Bisogna che le autorità civili si assumano la loro responsabilità. Le Chiese ci saranno, ma come collaboratrici.
Papa Francesco ha affermato che abbandonare il processo iniziato tre anni fa porterebbe all’autodistruzione del paese.