L’Etiopia è una nazione plurireligiosa e plurietnica. Secondo l’Atlante De Agostini 2022 gli ortodossi sarebbero il 43% ma, secondo quanto si afferma anche da parte di esperti cattolici, raggiungerebbero il 63% e, certamente, più del 43%; i musulmani ammonterebbero al 34% (in gran parte sunniti) e i protestanti al 19,4%.
I cattolici arrivano all’1% (vicini a un milione con tredici diocesi). Vi è poi una piccola antichissima comunità ebraica (mentre molti dei suoi componenti sono ormai in Israele). Si aggiungono gli animisti (il 2-3%), i Baha’i e i “rastafariani” (non numerosi) che ritengono che la loro nazione sia la terra promessa dalla Bibbia, Axum la nuova Sion e l’ultimo imperatore sia stato il Messia degli ultimi tempi.
Etiopia stato plurireligioso e plurietnico
Le Costituzioni del Paese (del 1930, 1955 e 1995) hanno sempre affermato la libertà di culto e l’ultima la natura di stato laico, con separazione tra Chiesa e politica. Nella realtà non è così, come si vedrà in seguito.
Per quanto riguarda la composizione etnica dell’Etiopia, primeggiano (secondo i dati disponibili, discutibili) gli oromo (conosciuti come “galla” dalla storia coloniale italiana) con un 35,3%, seguiti dagli amhara con il 26,2%; seguono i somali con il 6% e i tigrini con il 5,9% e altri gruppi etnici con proporzioni numeriche inferiori.
Il premier Abiy Ahmed, insediato nel 2018, è riuscito non soltanto a far cessare la guerra con l’Eritrea (e per tale motivo ha ricevuto nel 2019 il premio Nobel) ma, nei suoi primi due anni di mandato, anche a una certa pacificazione tra i gruppi etnici. Successivamente, però, la situazione è ritornata tesa, con attentati attribuiti all’una o all’altra delle etnie. Oltre alla guerra contro i tigrini, vi sono attentati in varie regioni e lo stesso Primo Ministro incontra critiche anche tra la sua gente.
Tutto ciò va tenuto presente per comprendere l’enorme spaccatura verificatasi il 23 gennaio di quest’anno con la consacrazione da parte di tre arcivescovi oromo di ben 26 nuovi vescovi, che dovrebbero prendere il posto dei presuli della Chiesa nazionale, occupandone anche gli edifici sacri.
La tensione è altissima e, il 4 di questo febbraio, almeno 8 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza etiopi a Shashamene, per disperdere uno scontro tra le fazioni attorno alla chiesa di San Michele Arcangelo, e vi sarebbe stata un’altra ventina di vittime in altre località del Paese. Si temeva un caos per la domenica 12 febbraio, evitato per il rinvio all’ultimo minuto delle dimostrazioni di piazza e il serrato controllo delle forze dell’ordine contro ogni sommossa.
Ricordiamo che l’Etiopia è un grande Stato federale con nove stati-regione (su base etnica) e circa 115 milioni di abitanti e con una superficie che è oltre tre volte l’Italia. Il cristianesimo è documentato dal quarto secolo e si è sviluppato in collegamento con i copti d’Egitto, pur con caratteristiche proprie.
Dal 1948, di comune accordo, è stato stabilito un Patriarcato autocefalo indipendente da Alessandria che si denomina “Chiesa Tewahedo” (Chiesa dell’unità). Si distingue per la grande vita monastica e una devozione speciale alla Vergine Maria, oltre che per la tradizione artistica e la scrittura plurisecolari; vi è anche la circoncisione e il culto dell’Arca dell’Alleanza che si venera ad Axum, come la distinzione tra carni pure e impure.
Sarebbe una Chiesa pre-calcedonese, anche se usualmente si usa il termine di ortodossa, tanto più che le divergenze cristologiche del passato sono ora superate nel dialogo ecumenico. Da essa, nel 1993, si è staccata, dichiarandosi autocefala, la Chiesa ortodossa eritrea che si è dotata di un suo Patriarca; dopo le iniziali tensioni, le due Chiese vivono ora in buona comunione.
L’Eritrea si era costituita stato indipendente già nel 1974 con dure lotte, soprattutto circa i confini, stabilendo la pace soltanto nel 2018.
Dal 2020 però è scoppiato, a causa delle iniziative autonomiste del Tigré, un conflitto fratricida con grande perdita di vite umane e grave danno all’economia del paese. Molti lo denunciano come una “pulizia etnica” nei confronti della popolazione tigrina del nord e sarebbero state uccise ben 700.000 persone.
Da due mesi, il Governo di Addis Abeba ha interrotto l’assedio armato e ha accettato di avviare trattative di pace a Pretoria; vi sono speranze di raggiungere un accordo, anche se la zona del nord resta ancora occupata da forze eritree contrarie ai tigrini e qualcuno dice che ci vorranno decenni prima che questi si riconcilino effettivamente con la capitale.
Scisma del gennaio 2022
A rendere più difficile la situazione – ricordiamo che l’Etiopia (sede dell’Unione Africana) aspira a diventare la nazione centrale per l’Africa e necessita quindi di un ambiente in pace – vi è stata la notizia che Abuna Sawiros, arcivescovo ortodosso di Wolisso nell’Oromia, insieme con due altri arcivescovi ortodossi, aveva clandestinamente ordinato ben 26 nuovi vescovi, stabilendo, almeno de facto, un nuovo Patriarca (Sawiros) e un Sinodo scismatici.
Avevano approfittato della festività del Battesimo di Nostro Signore, che in Etiopia si celebra a livello nazionale con grande solennità, tanto che è considerato dall’UNESCO come cerimonia patrimonio dell’umanità.
Fu una sorpresa generale. Il giorno dopo, il Patriarca legittimo, Abuna Mathias, ha indetto un Sinodo di emergenza con la partecipazione di tutti i vescovi ortodossi della sua Chiesa scomunicando Sawiros e i nuovi vescovi da lui consacrati.
Uno di loro, in seguito alla scomunica, si è pentito ed è rientrato nella Chiesa madre. Gli altri continuano a reclamare le sedi dei vescovi legittimi, che li giudicano scismatici.
Sembra che i “ribelli” abbiano la simpatia e l’appoggio del Governo dello stato federale dell’Oromia. Il premier dell’Etiopia, eletto nel partito degli oromi, invece di tacere sulle questioni ecclesiali, dopo aver invitato i membri del suo Governo a non intromettersi nella questione, asserì che vi erano “verità” da tutte e due le parti.
Tale dichiarazione pubblica sollevò le proteste del Santo Sinodo, che lo accusò di avere una visione “fuorviante”, aggiungendo che i separatisti, in realtà, non erano che un gruppo «illegittimo e assetato di potere».
Va ricordato che lo stesso Primo Ministro si professa “pentecostale” (è nato da un padre musulmano e da una madre cristiana ortodossa) e, generalmente, non ostenta la sua fede cristiana.
La ribellione, quindi, ha una tinta politica, tanto è vero (secondo le informazioni avute dall’Etiopia) che gli scismatici sono accompagnati da soldati armati in tutti i loro movimenti, mentre i vescovi legittimamente insediati vengono impediti di raggiungere la loro sede.
Il motivo principale della ribellione, infatti, non è religioso o teologico ma etnico-linguistico, anche se qualcuno accusa l’arcivescovo Sawiros di voler diventare patriarca; nel giugno scorso, si era candidato a tale funzione durante il Sinodo nazionale, ma la votazione lo relegò al terzo posto con pochi voti, mentre fu riconfermato Mathias, il quale regge la Chiesa Tewahedo da un decennio.
Gli oromo, da parte loro, accusavano il Sinodo legittimo di non aver usato la loro lingua per le celebrazioni religiose e per la predicazione. Altri rigettano tale accusa, perché la Chiesa Ortodossa ha consacrato diversi monaci oromo e ha tradotto anche il messale e gli altri libri religiosi in lingua oromo. Ma persisteva e persiste la rivendicazione degli oromo di una loro autonomia, e anzi preminenza, dato che il loro è il gruppo etnico maggioritario. E qui è opportuno riferirsi anche alla storia sia pur recente.
Rapporti stato-chiesa e situazione attuale
Spodestato l’imperatore Haile Selassiè nel 1974, il regime comunista di Mengestu Hailemariam, dopo aver massacrato 60 ministri ortodossi, mise in prigione il patriarca Teofilos per insediare un patriarca di sua scelta, Teklehaimanot.
I tigrini condussero una battaglia contro il regime comunista e presero il potere nel 1991; il patriarca Merqorewos, che era succeduto ai Teklehaimanot, fu “consigliato” dal nuovo regime di ritirarsi, per lasciare il posto a un patriarca di origine tigrina, Paulos. Però il patriarca Merqorewos non entrò nel silenzio di un monastero, ma si recò in America con diversi vescovi simpatizzanti e formò là un Sinodo in esilio, sostenendo che era ancora lui il patriarca legittimo dell’Etiopia.
Arrivato il Primo Ministro attuale, Abiy Ahmed Ali, in breve tempo riuscì a mettere pace fra i due Sinodi. Pure il successore del Patriarca Paulos, Abuna Mathias, è di estrazione tigrina ma il Primo Ministro finora non ha voluto toccarlo, anche se tutti concordano che il suo regime ha sempre desiderato di avere un patriarca oromo, dal momento che il governo attuale è di estrazione oromo, tanto più che il capo della Chiesa, Mathias, lo ha accusato di aver perpetrato un “genocidio” nel Tigré.
Ora, in seguito al tentato scisma del gennaio scorso e visto il comportamento del governo federale, la Chiesa ortodossa ha deciso di organizzare una grande protesta a livello nazionale per domenica 12 febbraio. Il governo ha denunciato come molto pericolosa una tale iniziativa, ma la Chiesa gli ha dato due giorni per rispondere alle due richieste.
Il Primo Ministro, venerdì 10 febbraio, ha ricevuto una delegazione della Chiesa legittima con il patriarca, invitando il Sinodo a trovare una soluzione dialogata. Il patriarca si è detto disposto a una riconciliazione concordata, ma senza alcuna imposizione del governo negli affari interni della Chiesa. Questa, d’altra parte, è ricorsa anche alle vie giudiziarie e la Corte ha bloccato la presa di possesso di alcune chiese da parte del clero separatista.
In tale contingenza, la manifestazione del 12 febbraio è stata sospesa e rinviata a una data da stabilire. Tuttavia, ad Addis Abeba, la giornata è stata molto tesa, e la gente era invitata a non uscire per le strade. In varie chiese i fedeli della Chiesa nazionale sono rimasti presenti anche la notte, nel timore di qualche colpo di mano degli scismatici.
Ogni divisione provoca sofferenza, pensando al Signore Gesù che ha pregato perché tutti i suoi discepoli siano uno, guardando al modello dell’unità trinitaria; quindi, è dovere di ogni credente in Cristo pregare perché si ricomponga anche tale scissione.
D’altra parte, tra i cristiani di Etiopia vi è anche l’impressione (più o meno documentata) che i tre vescovi che si sono avventurati a creare lo scisma siano strumentalizzati (coscienti o meno) come pedine in mano ai politici, che desiderano sminuire l’influsso della Chiesa ortodossa nel paese e in particolare in Oromia, dove già prevalgono i musulmani e i protestanti.