Intere generazioni di credenti si sono alimentate anche grazie ad esperienze legate a uomini, donne o comunità carismatiche. Che cosa succede quando tali riferimenti vengono meno sulla base di accuse di abusi sessuali e non? Che cosa resta nell’esperienza della fede personale di singoli e di comunità dopo la devastazione dello scandalo?
Il bene sperimentato non viene meno e la coscienza cristiana non è azzerata dalla costatazione dell’incoerenza dei propri maestri. Per questo ho provato a identificare i valori e i temi spirituali che possono continuare ad alimentare la testimonianza credente.
Pensando al contesto italiano, quindi ignorando figure condannate o discusse come Marcial Maciel (Legionari), Luis Figari (Sodalizio), Josef Kentenich (Schoenstatt)…, mi limito ai casi relativi alla comunità di Taizé, all’Arche (Jean Vanier), a Bose (Enzo Bianchi), al Centro Aletti (Marko Rupnik).
Sono casi molto diversi. Gli abusi hanno toccato solo tangenzialmente alcuni fratelli di Taizé; nell’Arche l’elemento settario è molto ridotto; la Comunità di Bose si avvia a un nuovo cammino senza la presenza del fondatore a cui si addebitano formalmente abusi di potere e spirituali, non altri; Rupnik è ancora al centro di un’indagine su abusi in parte prescritti e su denunce ritenute credibili da un apposito gruppo di indagine di gesuiti (cf. qui).
Inoltre, i miei appunti sono parziali e potranno trovare verifica solo quando i vari casi saranno compiutamente decantati Tralascio di riprendere le informazioni sui singoli personaggi o sui singoli eventi. Rimando al sito della comunità di Taizé per gli ultimi aggiornamenti, e invito i lettori a digitare Vanier, Bose e Rupnik sul sito di SettimanaNews per gli altri tre riferimenti.
Comunità ecumenica di Taizé
Quali sono i “guadagni” delle generazioni Taizé che, dagli anni ’70 ad oggi, hanno frequentato la comunità ecumenica fondata da Roger Schutz (1915-2005)?
L’avvio del cammino ecumenico. Non più solo nella forma dei dialoghi formali tra le Chiese (dall’inizio del ’900 e soprattutto dal 1948), ma della vita assieme, quotidiana e, per di più, in una forma come quella cenobitica, guardata con diffidenza dalla tradizione protestante a cui Schutz apparteneva.
Iniziata in solitudine nel 1940, la comunità è partita con 4 fratelli nel 1944, accogliendo prigionieri tedeschi, sbandati ed ebrei sfuggiti all’olocausto.
La “chiesa della riconciliazione” nasce sull’idea della riconciliazione dei popoli europei e del cammino ecumenico delle Chiese. Non si elabora una teologia ecumenica, ma si vive una comunità monastica accettando il rischio dei voti, in particolare del celibato (contro l’indirizzo esplicito di Lutero).
L’essere “senza teologia accademica” ha salvato la comunità da facili accuse di eterodossia. Ma è davvero senza teologia? C’è una fondamentale intuizione: Dio non può che amare, Dio è misericordia, Dio non fa distinzione di persone, Dio perdona sempre. Facile trovare vicinanze evidenti con il sola gratia protestante, ma anche con la centralità della misericordia sulla giustizia invocata da papa Francesco.
Canto e preghiera
Un secondo fondamentale guadagno è la preghiera. Intere generazioni hanno imparato a pregare a Taizé: una preghiera meditativa, a canone, con riferimenti essenziali al Vangelo e ai testi fondatori. Si prega assieme a migliaia di altri, ma in silenzio e con formulazioni brevi, adatte alle diverse lingue dei partecipanti. Il carattere meditativo, biblico e cantato si è molto diffuso in tutte le Chiese cristiane.
A Taizé la struttura della preghiera è quella del monachesimo cattolico coi tre momenti del mattino, mezzogiorno e sera. Lo sforzo è stato quella di renderla percorribile al mondo giovanile, fuori delle rigide tradizioni devote delle reciproche confessioni. Qualcosa che rispondeva a una ricerca personale con una appartenenza cristiana vera, ma, al contempo, più leggera e meno confessionalmente determinata.
Il Lezionario comprendeva all’inizio l’intera Bibbia, letta nel corso dell’anno. Poi è stato ridotto a testi più brevi, recitati nelle diverse lingue, e meditati nel canto. I salmi erano quelli della tradizione protestante-ugonotta francese, ma la struttura della preghiera era quella cattolica.
Legato alla preghiera e alla Scrittura, letta in traduzione nelle lingue correnti, c’è da subito l’importanza riconosciuta al canto. L’organo e il canto vengono dalla tradizione protestante. Ad esso si sono applicati alcuni dei musicisti conciliari più noti come Gelineau e Berthier.
Sulla tradizione bachiana si è innestata la forma a canone nella ripetizione di poche parole: magnificat, laudate omnes gentes, ubi caritas, kyrie eleison, gospodi pomilui. Poi sono arrivati altri strumenti come le chitarre, i flauti e le piccole orchestre.
Terzo fondamentale guadagno è stato il concilio e l’approccio positivo alla storia. Negli anni ’70 è esplosa la presenza dei giovani a Taizé, da tutta Europa occidentale e, dopo la caduta del muro (1989), da tutta Europa (e fuori). Una singolare ecumene generazionale che si ritrovava e si ritrova all’ombra delle aperture ecclesiali del Concilio (libertà di coscienza, ecumenismo, aggiornamento teologico, autocritica, valori civili e innovazione sociale del 1968). Una ricerca corale di Dio oltre le confessioni e dentro la secolarizzazione.
Importante si è rivelata l’apertura mondiale. I raduni di Taizé vennero chiamati il “concilio dei giovani” e la loro struttura ha motivato la “giornata mondiale della gioventù” cattolica (che ora si sta sperimentando anche a livello ortodosso). Ci sono oggi comunità “figlie” in Brasile, Bangladesh, Corea del Sud, Senegal, Kenya.
L’Arche o la centralità degli handicappati mentali
Che cosa resterà dopo gli scandali del fondatore, Jean Vanier? Anzitutto le istituzioni. È bene distinguere quanto può avvelenare i pozzi originari dei carismi e quanto tocca solo in parte il patrimonio spirituale delle famiglie spirituali.
Indicativa la conclusione della sintesi su Plagio e abuso: inchiesta su Thomas Philippe, Jean Vanier e l’Arche. «Se il nodo settario originale formava un micro-sistema nel cuore dell’Arche, alla luce dei fatti di abuso considerati dalla commissione, non sembra essersi esteso. Lo sviluppo rapido delle comunità e l’entrata di numerose persone con profili e motivazioni diversi, a cui si aggiungono elementi altri (come il controllo dei poteri pubblici e la presenza di professionisti esterni) spiegano la diffusione limitata del nodo settario e la sua consunzione dentro l’Arche».
Il punto di svolta nella vita di Jean avvenne nel 1963, con la sua prima visita a un’istituzione per persone con disabilità intellettive. Il loro profondo «grido di relazione» ha toccato il suo cuore. La sua risposta fu semplice: compra una casa e invita alcune persone con disabilità intellettiva a venire a vivere con lui.
Questo fu l’inizio de L’Arche. Fede e Luce seguirono alcuni anni dopo, fondati con Marie-Hélène Mathieu. Trasportate da un’ondata di entusiasmo, entrambe le comunità si diffusero in tutto il mondo. Oggi L’Arche ha 154 comunità in 38 paesi; Fede e Luce ne ha 1.500 in 83 paesi; comunità in cui le persone con e senza disabilità intellettiva possono trovare un luogo di appartenenza, mangiare allo stesso tavolo di fratellanza, condividere la vita insieme.
In secondo luogo, resterà l’intuizione: gli handicappati mentali sono maestri di tenerezza. L’Arche ha cambiato il modo di comprendere le persone con disabilità intellettuali e cosa significhi essere veramente umani. Nelle comunità le persone con disabilità intellettive sono fonte di vita per tutti, agenti di cambiamento nella società.
Il sogno dell’Arche è una rivoluzione della tenerezza, rendere la società più compassionevole, più inclusiva. Il cuore presiede alla cura degli altri, abbattendo le barriere della divisione che separa le persone, desiderando un mondo in cui ognuno è considerato unico e prezioso.
L’Arche è un dono da offrire al mondo, un segno che è possibile vivere in comunità dove l’handicap mentale non è una minaccia.
Comunità monastica di Bose
Vi sono alcuni guadagni non rinunciabili nella vicenda di Bose che si possono sintetizzare con: Vangelo, monachesimo, liturgia, ecumenismo, rapporto con il mondo. «Fratello, sorella, uno solo deve essere il fine per cui scegli di vivere in questa comunità: vivere radicalmente l’Evangelo. L’Evangelo sarà la regola assoluta e suprema. Tu sei entrato in comunità per seguire Gesù. La tua vita dunque si ispirerà e si conformerà alla vita di Gesù descritta e predicata nell’Evangelo».
Le affermazioni della Regola (1971, n. 3) giustificano l’attenzione alla Scrittura, la pratica della lectio divina, la larga influenza anche sui cammini di rinnovamento nel laicato più vicino. Nessun rinnovamento canonico o normativa può oscurare questa fondamentale intuizione.
Il monachesimo di Bose fa forza non tanto sui voti (che vengono tuttavia praticati) quanto sul binomio “vita comune – celibato per il Regno di Dio”. Il rimando più insistito non è alla tradizione occidentale, quella benedettina, quando alle radici orientali, in particolare Basilio e Pacomio.
«La vita di comunione è essenziale per i cristiani. Senza comunione, non c’è Chiesa. Ma questa esigenza per te diventa radicale. Tu fai vita comune con dei fratelli e delle sorelle, vivi con loro nella stessa casa, sei solidale con loro nello stesso ministero, con loro tu formi una cellula del corpo di Cristo» (n. 12).
Nella vita comunitaria un ruolo particolare lo ha il lavoro che può essere sia materiale (orto, agricoltura, materiali) sia intellettuale (edizioni, conferenze, insegnamento).
Il richiamo alle sorelle mi permette di citare l’intervista del nuovo priore, Sabino Chialà, a SettimanaNews: «Di per sé già l’attuale statuto non fa alcuna discriminazione fra uomini e donne. Ad esempio, una sorella può essere eletta priora, tanto quanto un fratello. Tuttavia, ci stiamo interrogando sul nostro vissuto reale di mezzo secolo di convivenza, e sul ruolo effettivo che le sorelle hanno avuto nella nostra vicenda».
Liturgia ecumenica
La revisione in atto sulla liturgia comunitaria parte da una lunga pratica fissata nella Preghiera dei giorni che prevede tre momenti comuni essenziali (mattino, mezzogiorno e sera) con la lettura quasi completa dell’Antico e del Nuovo Testamento e un ampio uso dei testi dei Padri della Chiesa. Un “sistema” liturgico che vive nella tradizione occidentale, ma con una sensibilità per i padri orientali come per scritti anche più recenti (non tutti cristiani) particolarmente ispiranti.
«La preghiera sarà anzitutto comunitaria: essa avviene negli uffici del mattino, di mezzogiorno e della sera. In essa tu ascolterai la Parola, loderai il tuo Signore e pregherai per gli uomini con i fratelli… L’ufficio è dunque un sacrificio di lode, di adorazione, di filiale obbedienza a Dio solo. In esso tu prolunghi e partecipi alla preghiera di Gesù al Padre» (Regola n. 35).
Decisivo nell’identità di Bose è l’ecumenismo. «La comunità non è confessionale, ma è fatta di membri che appartengono alle diverse confessioni cristiane. Ogni membro deve trovare nella comunità lo spazio per la sua confessione di fede e l’accettazione della sua spiritualità» (Regola n. 44).
Ancora Chialà su La Lettura (Corriere della sera, 26 giugno 2022): «La nostra comunità rimane formata da cristiani di diverse Chiese. È una scelta irrinunciabile. Non una scelta strategica, ma un’esigenza di vita. Il mio ecumenismo comincia la mattina quando mi alzo e davanti a me c’è la cella di un pastore protestante. È la prima persona che vedo la mattina».
I convegni internazionali sulle spiritualità d’Oriente e di Occidente sono già ripresi.
Dopo aver parlato del lavoro, la Regola dice: «Per questo non fuggirai dal mondo e dagli uomini, ma vivrai come loro, più o meno socializzato come le condizioni di richiederanno» (n. 24).
Nei confronti del mondo di tutti vi è una simpatia che la distanza dello stile di vita non rimuove, anzi enfatizza. A Bose hanno trovato casa molti intellettuali, artisti e ricercatori. Da questo punto di vista, non c’è nulla di più lontano dalla “fuga mundi”, dal disprezzo delle fatiche e delle ricerche degli uomini.
Molta parte della simpatia che Bose ha ricevuto (e, spero, riceverà) nasce dalla cordialità con cui ha condiviso le ricerche anche più innovative dello spirito contemporaneo.
Centro Aletti
Cosa resterà del Centro Aletti e dell’opera di Rupnik? Difficile dirlo, ma alcuni valori vanno sottolineati.
Anzitutto il rapporto con l’Est e la cultura orientale. «La nostra scelta di vita consacrata – si dice in un testo interno – era legata alla visione che p. Rupnik aveva della testimonianza dei cristiani nel mondo attuale, era legata alla sua sapienza nella missione che cominciavamo a vedere fiorire nell’amicizia con i cristiani delle Chiese dell’Est Europa».
La presenza del card. Tomàš Špidlík con la sua competenza sulla teologia orientale e l’insegnamento di alcuni gesuiti al Pontificio Istituto Orientale hanno imposto una rinnovata attenzione all’altro “polmone” della Chiesa.
L’iniziale attenzione a centinaia di intellettuali e teologi orientali ha alimentato e stabilizzato una riflessione teologica che ha diffusi stilemi oggi comuni come la “divinoumanità”, la bellezza spirituale, la Sofia (sofianità), l’intelligenza spirituale del sentimento, la “tuttaunità”, la “divizzazione” ecc. L’amicizia con E. Clément, il più grande teologo ortodosso della seconda metà del ’900, ne è stato il sigillo.
Damnatio memoriae?
In secondo luogo, il tema dell’arte, trascinata dalla mosaistica di p. Rupnik. Essa si è ritagliata uno spazio nel rinnovamento complessivo dell’arte liturgica e ha rappresentato una delle risposte dell’arte visiva capace di ridare alle immagini “devote” l’intenzionalità vitale delle icone.
Le opere dell’artista sloveno sono distribuite in 150 edifici in una trentina di paesi e in luoghi di grande impatto come il Vaticano, i santuari più celebri (Lourdes. Fatima, Aparecida), luoghi rilevanti del cattolicesimo attuale (Cracovia, Washington).
Lo stilema orientale, la rinuncia consapevole alla prospettiva, la convivenza fra citazioni dell’iconografia e i “segni” della modernità, il prevalente ricorso al mosaico con la necessità di pietre originali e l’aggiunta della foglia d’oro, sono tutte finalizzate ad esprimere una teologia consapevole del moderno e radicalmente critica dello stesso.
Dopo lo scandalo, si è sviluppato il dibattito sulla conservazione o meno delle opere e sul “veleno” che in esse si trasmette dai comportamenti dell’artista.
In relazione al pittore francese Luis Ribes (e ad altri, come i musicisti André Gouzez e Winfried Pilz), si insiste per la rimozione delle opere e il silenzio sui canti. Ma, nel caso francese, le vittime si possono facilmente riconoscere nelle figure, nel caso di Rupnik, credo meno immediatamente.
La sofferenza condivisibile delle vittime può giustificare una damnatio memoriae generalizzata? Personalmente ritengo (come ipotesi) che l’opera artistica abbia, in qualche maniera, vita a sé stessa e che la dimensione morale del facitore non ne determini il valore.
Teologia e fede
In terzo luogo resta la teologia. Grazie all’editrice Lipa, sono arrivati sul mercato centinaia di volumi di non piccolo peso culturale. Basta ricordare alcuni nomi: Špidlík, Clément, Taft, Soloviev, Bulgakov, Brock, Evdokimov, Truhlar, Zizioulas. Fino alle opere, più recentemente edite, di Schmeman. I testi di Rupnik e delle consacrate dal centro Aletti meritano considerazione.
Anche in questo caso si discute dell’influenza negli scritti di eventuali deviazioni degli autori. Come ha scritto Giovanni Salmeri su SettimananNws: «Potrebbe anche essere che, oltre le inevitabili schegge evangeliche, anche il complesso del discorso teologico fosse corretto e buono. Riconoscere questo significa inevitabilmente sottoporre a critica il frequente discorso contemporaneo che fa della teologia una variabile della fede personale. A me pare che un aspetto tipico (e a suo modo irrinunciabile) nella tradizione latina è proprio aver sganciato le due cose, aver inteso cioè l’esercizio teologico come un compito intellettuale importante sì, legato oggettivamente ai contenuti della fede cristiana sì, prezioso per la comunità cristiana sì, ma anche non necessariamente connesso alla vita di fede personale. Ciò significa che il discorso teologico va valutato per i suoi meriti interni, concettuali, e che né un discorso sbagliato debba di per sé portare a una squalifica morale di chi lo propone, né un discorso giusto o anche brillante debba di per sé portare alla canonizzazione in vita di chi lo ha elaborato. Sfortunatamente (o fortunatamente) si tratta di livelli diversi. È possibile quindi che la teologia di p. Rupnik sia eccellente, indipendentemente da come egli abbia vissuto».
È vero che Rupnik criticava la teologia accademica occidentale e quindi partecipava della convinzione che fede e teologia fossero strettamente legate, è però anche vero che nei suoi testi, a mia conoscenza, non c’è nulla che giustifichi o alluda a giustificazioni di comportamenti morali violenti. Diversamente da quanto accade nella teologia dei fratelli Philippe (Thomas e Marie-Dominique) in cui una pretesa esperienza originaria (la “notte delle nozze”) favoriva un’interpretazione del Vangelo di Giovanni, ad esempio, come introduzione a un amore “di amicizia” profondamente scorretto.
Vita comune
Un quarto guadagno è la vita comune nel Centro Aletti. Come si legge nel già citato documento interno: «Il Centro Aletti è formato da un’équipe di tre comunità: i gesuiti (Comunità della Santissima Trinità); le sorelle (Comunità della divino-umanità); i preti (Fraternità dei santi Cirillo e Metodio). Queste persone insieme animano la missione: accoglienza, edizioni, opere d’arte, insegnamento, esercizi spirituali, conferenze».
«La visione di p. Rupnik era di una comunità di un piccolo gruppo, fondato sull’amicizia, fatta di persone che hanno una vita spirituale ordinata. Se si è pochi, si può essere sempre aperti alle novità che ogni situazione richiede. Proprio il p. Kolvenbach ci aveva consigliato di non scrivere regole, ma di ascoltare lo Spirito e di rispondere volta per volta con libertà».
«Ciò che si vuole infangare o distruggere o abbattere è l’opera del Centro Aletti dove si testimonia che uomini e donne, sposati e celibi, cattolici e ortodossi di varie provenienze possono vivere insieme secondo il Vangelo di Gesù. Questo stile di vita presuppone una vita spirituale, una teologia con radici profonde e un amore autentico per la Chiesa».
Sono sufficienti gli abusi registrati per buttare a mare tutto questo? Forse il limite è piuttosto quello della mancanza di dialettica interna che, nel momento critico, si possa configurare come autorità alternativa e coerente per continuare il percorso. Ma è troppo presto per dirlo.
I mosaici di Rupnik sulla facciata della Basilica di Lourdes raffigurano i misteri della gioia, che richiamano le catechesi di Giovanni Paolo II sulla relazione, sul corpo, sulla responsabilità etc…molto innovative per l’epoca. Del mosaico di Rupnik, conserverò il ladro discepolo che ha raffigurato sulla facciata, e che mi farà pensare al ladro chi estorce la sessualità dell’altro/a usando il suo potere e una falsa dottrina mistico-sessuale.
Quanta tristezza nel leggere questo articolo! Non riesco a capire se si tratta di informazioni ascoltate in giro e buttate così su di un tavolo, raccolte in un titolo che non dice verità o riflessioni teologiche.
…poi mi chiedo: a quale scopo?? Perchè?? Ma questa è la stampa cattolica??
Ma davvero crediamo che ci può essere verità senza amore e sopratutto amore senza verità??
Noto commenti molto forti. Mi pare che venga messo in pratica il metodo di San Paolo : “esaminata ogni cosa, tenete ciò che è buono”.
Grazie per la riflessione molto equilibrata e ponderata che di fatto non mette sullo stesso piano i “personaggi” in questione in quanto sono molto chiare e distinte le storie che vengono analizzate. Piuttosto c’è un fil rouge che le lega: il danno che è stato fatto al cammino ecumenico
Come altre persone che hanno condiviso i loro pensieri desidero fare alcune considerazioni.
Ho sentito parlare delle comunità che sono state menzionate e, con poca onestà intellettuale, allineate sotto il titolo “Abusi: cosa resta dopo il crollo dei miti”.
Siamo sinceri… quando compare un articolo sugli abusi, la stragrande maggioranza li pensa nell’ordine della sessualità, spesso indotta e dalla malafede e da un messaggio subliminale che l’articolista vuole (per audience) suscitare in chi lo legge. Dicevo di aver sentito parlare di queste comunità, ma di non conoscerle eccezion fatta per la Comunità di Bose che ho molto frequentato e per la quale ho un debito di riconoscenza per aver aiutato il mio cammino di fede a prendere consapevolezza, passione per le Scritture, per le amicizie e i rapporti di fraternità che sono nati.
Fratel Enzo Bianchi, il cui carisma – che ora qualcuno della chiesa vorrebbe minare – è persona impetuosa ma buona, che dice pane al pane, vino al vino. La sua passione per il Vangelo è palese e la sa trasmettere per la chiarezza del linguaggio che arriva anche alle persone “semplici”. Come un altro lettore ha commentato è “profeta del post Concilio”… ahimè cosa insegna il primo testamento al riguardo!!! Una cosa che mi ha suscitato sempre meraviglia nella faccenda di Bose è come mai persone di così alto livello intellettuale non siano state in grado di mettere in pratica il “suggerimento” che si trova in Mt 20.
All’autore dell’articolo suggerisco di non fare di ogni erba un fascio
Una riflessione pacata e precisa, senza condanne né assoluzioni frettolose. Un ottimo spunto per iniziare a riflettere su una vicenda sulla quale la stampa ha assunto una posizione a volte anche voyeuristica a volte anche giustizialista. Grazie
Vorrei riflettere proprio a partire da Gesù, che viene spesso nominato come ne “la Chiesa di Gesù Cristo” nel primo intervento di Renata Patti. Da 50 anni in comunità di base studiamo il Vangelo di Gesù, la sua buona notizia, ed è chiaro che Gesù non ha fondato una sua chiesa né aveva intenzione di farlo. Praticava e predicava una politica delle relazioni che nel suo immaginario era fondata sulla paternità amorosa di Dio, diretta a ogni persona invitata a vivere con amore, declinato nelle varie forme della condivisione, solidarietà, rispetto, cura per gli ultimi e le ultime… Poi i preti (semplifica) hanno cavalcato la cristologia di Paolo e hanno a poco a poco tirato su la Chiesa a loro immagine e somiglianza, strumentalizzando Gesù per autorizzare il proprio dominio sul mondo, sui corpi e sulle coscienze. Hanno costruito una gerarchia che sostiene ogni altra… Invece Gesù diceva “vedete come i potenti del mondo dominano… TRA VOI NON SIA COSÌ”. Ecco perché quella che conosciamo, la “ierocrazia” cattolica non può essere definita “Chiesa di Gesù”. Dobbiamo andare oltre le religioni per imparare una autentica spiritualità umana, costruita sui valori della “politica prima” che ci hanno insegnato le donne del femminismo.
Purtroppo Marcione è il vostro maestro: Nuovo testamento si, vecchio no; Vangeli si, Paolo no; Gesù con i poveri si, Gesù che ammonisce sul matrimonio no. Dobbiamo andare oltre le religioni? Si, per fare compere al supermarket del soggettivismo. Mi fido molto più delle Scritture e dei padri che non dei venti di dottrina sessantottini.
Note a margine dell’articolo di L. Prezzi su Settimananews “Abusi: cosa resta dopo il crollo dei miti”.
1. Si fa fatica a leggere fino in fondo l’articolo de quo senza provare un senso di indignazione. Si stenta a credere che venga redatto e pubblicato da un presbitero e direttore di un portale cattolico, la cui missione dovrebbe essere quella di contribuire a formare in ambito ecclesiale un’opinione pubblica matura, consapevole, rispettosa delle persone e della dignità dell’altro.
2. E’ scritto nella Mishnah che “per tre cose il mondo si conserva: per la giustizia, per la verità e per la pace” (Mishnah, ‘Avot I,18). Altri rabbini hanno precisato che queste tre cose in realtà sono una cosa sola: la giustizia. Infatti, fondandosi la giustizia sulla verità, ne discende la pace. L’articolo de quo si appalesa contrario a questi tre “pilastri” del mondo.
2.1. In primo luogo, è in radice ingiusto, in quanto in un grande calderone unifica, dento la categoria asseritamente onnicomprensiva degli “abusi”, vicende e persone caratterizzate da infinita differenza qualitativa: è arduo per qualsiasi persona ragionevole ed in buona fede comprendere cosa abbia a che fare un profeta del post Concilio, come Enzo Bianchi, con le vicende criminali citate nell’articolo. Scrisse Don Milani che “non c’è peggior ingiustizia che far parti uguali fra disuguali”. Egli interpretò così in modo corretto il principio dell’uguaglianza stabilito dall’art. 3 della Costituzione, il quale implica sempre un giudizio di relazione: fatti e situazioni diverse postulano valutazioni diverse e distinti trattamenti.
2.2. L’articolo è inoltre contrario alla verità, perché, come evidenziato anche da altri commenti, il decreto di espulsione adottato nei confronti di Enzo Bianchi (a mio sommesso avviso, contrario ai valori evangelici, ai princìpi costituzionali ed al diritto naturale) non ha fatto alcuna menzione dei presunti “abusi di potere e spirituali” asseritamente a lui “formalmente” addebitati, e quindi da considerarsi inesistenti (quod non est in actis, non est in mundo).
2.3. Infine è un articolo non di pace, ma di guerra, forse influenzato dal martellante clima di bellicismo irrazionale, che caratterizza questi tristi tempi.
Perseverando nella linea adottata ab initio dal portale e dal suo direttore nell’interpretazione della vicenda di Bose ( linea, che si auspicava trovasse con il tempo un revirement rispettoso delle persone e di una tragedia, che ha colpito l’unica Chiesa di Gesù Cristo), l’articolo, lungi dall’auspicare il dialogo fra i fratelli e le sorelle e dal pregare per la riconciliazione nel nome del Signore, alimenta solchi e divisioni: il suo autore contrappone il fondatore al “nuovo cammino” intrapreso dalla Comunità di Bose con l’elezione del nuovo Priore.
Come se un “nuovo cammino” potesse mai fare tabula rasa del passato, delle esperienze di una comunione di vita fondata sulla fraternità e sulla sororità evangeliche.
Come se il futuro non implicasse la rammemorazione delle origini.
Come se “un nuovo cammino” per tutti noi miseri umani, “aspiranti al cristianesimo” (come diceva Kierkegaard), non postulasse l’imperitura obbedienza al comando del Signore: “ut unum sint” (Giov. 17,11).
Ed ancora: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” ( Mt. 5,23).
Roberto Savino, Bari
Come al solito si parla di poche mele marce, in un contesto globalmente positivo! Perché buttare il bambino con l’acqua sporca, sembra sostenere questo articolo, come tanti altri in difesa della chiesa istituzionale e delle vari istituzioni ad essa collegate. Ma ci rendiamo conto che è mancato e manca il sostegno delle “chiesa istituzione” alla vittime? In questo contributo non c’è un volto, un nome che ci faccia pensare in concreto ai “sommersi” dalla prepotenza dei capi… manca la bambina col capottino rosso di “Schindler’s List”, senza quel volto non c’è ne ci sarà mai resurrezione né per la chiesa né per le istituzioni ad essa collegate.
Un articolo che riapre alla speranza. Non mi pare che l’autore abbia cercato di fare confronti tra i casi, ma ha colto l’opera di Dio che passa attraverso la debolezza e il peccato, del resto la bibbia lo racconta continuamente: come cammina la storia della salvezza? E i grandi protagonisti della storia della Chiesa del passato? Tanti grandi fondatori di monasteri e altro… Credo che dopo una generazione le persone saranno dimenticate, le opere, spesso continuano a vivere e a fare del bene alla Chiesa. Forse bisogna imparare a non scandalizzarci e ad avere un occhio spirituale per leggere la presenza di Dio che passa. Certamente questi protagonisti non si glorieranno, umiiati dallo scandalo offerto potranno solo dire: non gardare a me che sono peccatore, il che per tutti è invito a deporre la pietra.
Non risulta che Rupnick si sia pubblicamente pentito, né scusato. Voi avete sentito una sola parola di dispiacere per tutto questo scandalo da parte di Rupnick? “Non si glorieranno”. E chi lo dice? Invece, finora, apparentemente si gloriano di essere considerati dei “grandi artisti” e come tali “al di sopra del bene e del male”. E per di più con protettori in alta sede. In una botte di ferro. Il superuomo di Nietzsche in salsa ecclesiastica o per essere più terra terra il Marchese del Grillo… perché io so’ io e voi nun siete un cxxxo!
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BIBLE
Méditation biblique : réveiller les consciences
Véronique Margron analyse une des lectures de ce mercredi des Cendres : un extrait du Livre de Joël, qui lui permet de revenir sur les récents rapports concernant les scandales autour des frères Philippe et Vanier.
Véronique Margron
Publié le 17/02/2023 à 09h11, mis à jour le 17/02/2023 à 09h11 • Lecture 4 min.
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Mercredi 22 février, mercredi des Cendres, on lira quatre textes.
Première lecture Livre de Joël (Jl 2, 12-18).
Psaume 50.
Deuxième lecture Deuxième lettre aux Corinthiens (2 Co 5, 20-6, 2).
L’Évangile selon saint Matthieu (Mt 6,1-6.16-18).
Joël 2, 12-18
Et maintenant – oracle du Seigneur – revenez à moi de tout votre cœur, dans le jeûne, les larmes et le deuil !
Déchirez vos cœurs et non pas vos vêtements, et revenez au Seigneur votre Dieu, car il est tendre et miséricordieux, lent à la colère et plein d’amour, renonçant au châtiment.
Qui sait ? Il pourrait revenir, il pourrait renoncer au châtiment, et laisser derrière lui sa bénédiction : alors, vous pourrez présenter offrandes et libations au Seigneur votre Dieu.
Sonnez du cor dans Sion : prescrivez un jeûne sacré, annoncez une fête solennelle, réunissez le peuple, tenez une assemblée sainte, rassemblez les anciens, réunissez petits enfants et nourrissons ! Que le jeune époux sorte de sa maison, que la jeune mariée quitte sa chambre !
Entre le portail et l’autel, les prêtres, serviteurs du Seigneur, iront pleurer et diront : « Pitié, Seigneur, pour ton peuple, n’expose pas ceux qui t’appartiennent à l’insulte et aux moqueries des païens ! Faudra-t-il qu’on dise : “Où donc est leur Dieu ?” »
Et le Seigneur s’est ému en faveur de son pays, il a eu pitié de son peuple.
L’ennemi du dedans
Les paroles de Joël prennent une force particulière : « Dans les larmes et le deuil déchirez vos cœurs. » Que faire d’autre en ces temps (j’écris ces lignes alors que nous venons de recevoir les rapports sur les frères Philippe et Jean Vanier) que déchirer nos cœurs, d’espérer que le Seigneur revienne ? Joël parle sans doute vers le Ve siècle avant notre ère.
Le pays de Juda est affligé d’une famine et par des sauterelles. Aujourd’hui, la longue série sans fin des révélations, nécessaires, d’abus et de crimes ressemble bien à une invasion de sauterelles détruisant tout sur son passage et secouant la terre. Tremblement de la terre de la foi avec des questions abyssales sur l’usage perverti de la parole du Dieu qui sauve. Terre première et primordiale de la dignité intrinsèque violée par ces prédateurs. Des criquets venus non du dehors, mais du dedans.
A lire aussi : L’enquête historique qui démêle avec précision l’affaire des frères Philippe
Rappelons-nous : « Vos solennités, je les déteste, elles me sont un fardeau, je suis las de les supporter. Quand vous étendez les mains, je me voile les yeux, vous avez beau multiplier les prières, je n’écoute pas : vos mains sont pleines de sang. Lavez-vous, purifiez-vous. Ôtez de ma vue vos actions mauvaises, cessez de faire le mal. Apprenez à faire le bien, cherchez la justice » (Isaïe 1, 14-17).
Ouvrir les yeux
Déchirer son cœur comme les anciens déchiraient leurs vêtements en signe de deuil, de détresse, d’accablement et chercher la justice, apprendre à faire le bien… enfin. Le cœur : non l’émotion mais le siège de la volonté et du jugement. La volonté de tant de notables de l’Église, de chacun de nous peut-être, s’est trouvée anéantie, détournée, voire mise au service du mauvais secret : là où la parole est interdite, comme une pierre sur l’âme.
Quant au discernement, la longue tradition de l’Église à travers la sagesse apprise de la fréquentation des Écritures, de la capacité à scruter les temps comme à approcher les âmes s’est avérée être en faillite quasi complète. Pire même, participer de la dissimulation.
Oui, il faut sonner du cor, convoquer l’assemblée, réveiller les consciences. Les 40 jours de carême n’y suffiront pas. « Revenir au Seigneur », c’est peut-être prendre connaissance de ces rapports, décrypter le système qui a rendu possible ces sectes au cœur de l’Église. Ouvrir les yeux sur le mal commis, les vies brisées, les espérances piétinées. Le faire pour qu’adviennent un peu de vérité et de justice.
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Les païens dont parle Joël ne sont pas loin. Ce sont ceux qui ont prétendu être de Dieu et ont trahi par leur conduite assassine le peuple des enfants, des femmes et des hommes qui cherchaient le Dieu doux et humble de cœur à travers eux. De ces païens, je suis aussi quand moi-même je minimise, relativise et renvoie tout cela à Mathusalem. Bref je ne peux alors concevoir les porosités de toutes ces dérives aujourd’hui. Et pourtant.
« Où donc est leur Dieu ? » Notre Dieu est là où se trouvent ces vies plongées dans des abîmes. Là où se tient le peuple qui cherche le droit et la justice, qui se risque à de la vérité et au courage de l’action. Tel est un chemin de carême. Nous pouvons croire alors que le Seigneur s’émouvra en notre faveur et nous prendra en pitié, tous. Là est l’espérance.
Véronique Margron
Prieure provinciale des Dominicaines de la Présentation et présidente de la Conférence des religieuses et religieux de France, elle enseigne à la faculté de théologie d’Angers. Elle a notamment publié l’Échec traversé (DDB), Fidélité-infidélité. Question vive (Cerf) et Un moment de vérité (Albin Michel).
https://twitter.com/Ludo_Eugenio/status/1626843130879176707?t=LtviiDdV0JXx_mpd-7jPrQ&s=08
Ora che sia una bella riflessione questo minestrone in cui si fa un mischietto di posizioni estremamente diverse…. Enzo Bianchi non ha commesso né gli abusi di Rupnik bìné quelli Jean Vanier e citare Chialà come se fosse il salvatore dei doni buoni di Bose mi sembra solo perché vi sta simpatico e vi rilascia interviste è un’eresia ma settimana news fa spesso di queste operazioni sporche come dire … si vede la pagliuzza nell’occhio del vicino ma non si vede la trave nel proprio
Mescolare Bose con gli abusi citati, mi sembra una idea pessima
Perche’ in questo articolo si scrive che il fondatore di Bose e’ stato allontanato per abusi di potere e spirituali? Il Decreto che’ e’ stato pubblicato afferma che l’ allontanamento temporaneo e’ dovuto a grave interferenza con il GOVERNO del legittimo Priore. E’ lapalissiano che NON SI TRATTA DI ABUSI DI POTERE E SPIRITUALI.
Perche’ questa mancanza di verifica delle notizie da parte dell’ autore dell’ articolo e da parte del blog?
Forse bisognerebbe conoscere la realtà da dentro per poter parlare in e di verità…
Gli abusi di potere, di coscienza, sessuali, finanziari sono abusi senza se e senza ma. L’arte è arte a prescindere da chi la faccia. Un esempio: nessuno pensa di togliere le tele del Caravaggio dalle chiese o dai musei, ma Caravaggio è stato un assassino a Roma. Il futuro ci dirà se le opere di Rupnik sono arte che rimarrà oppure se le sue opere non valgono da essere mantenute
E’ una riflessione che condivido (e forse, pure attendevo). Grazie
Mi sorprende moltissimo
A mio avvisoo si tratta di “orrimismi indebiti” e cito Martini.
Forse Lei non conosce chi ha subito l’ EMPRISE né gli abusi perpetrati in nome della “grazia di stato” cioè “in nome di Dio” che questa brava gente del “tutti in uno” di questo articolo che Lei attendeva … questi e quelle sono Vittime sopravvissute che hanno avuto la vita rovinata… un esempio che conosco sulla mia pelle è degno di essere reso noto puntualizzando che la Lubich è Serva di Dio con processo di beatificazione e canonizzazione già arrivato in fase Vaticana. Le potrei anche ricordare il suo articolo lucido su il VENERDI de LA REPUBBLICA … ma deve averlo scordato e mi dispiace che la lucidità dei Gesuiti diventa opaca a seconda delle convenienze.
Mi lasci affermare con grandissimo dolore che LA MENZOGNA È ARRIVATA AI VERTICI dell’Istituzione che non ha più il diritto di chiamarsi Chiesa. LA CHIESA di Gesù Cristo, il Verbo di Dio è del tutto offuscata dalla corruzione e dalla menzogna di gente di chiesa che non è “di Dio” come si proclama. Martini ripeterebbe il capitolo 2 del libro le ali della libertà che titola : L’IRA DI DIO … Lo avrà certamente in biblioteca … non attenda TROPPO ad andare a rileggerlo …è di una attualità schiacciante.
http://oref.it/index.php?lang=IT§ion=NEWS&news=20230222
Ritengo anch’io che le tesi di questo articolo siano molto discutibili, in primis nel mettere sullo stesso piano situazioni radicalmente diverse. Va inoltre precisato che dalla lettura del Decreto su Bose reso pubblico dal sito Silere, Enzo Bianchi non ha ricevuto nessuna accusa formale di abuso, e nel Decreto il termine “abuso” non è presente. Perché un sito cattolico come questo continua a diffondere falsità e calunnie? Che interesse ha?
Tendo a dissentire fortemente in diversi punti. Bisogna distinguere tra associazioni fondate da un autore di violenza, come i Legionari o il Sodalizio, e associazioni in cui uno o più membri sono diventati e diventano autori di violenza. E naturalmente le associazioni che attirano certi psicopatici a causa della loro ideologia e/o struttura. Le prime devono essere sciolte e bandite senza se e senza ma, perché sono impregnate di ideologia violenta e ogni riga degli scritti è intrisa di violenza e abuso. Nel caso di Rupnik, la sua “arte” contiene immagini di abusi. La sua “arte” è anche e proprio un’arte abusiva.
Condivido appieno !!! Un po’ di Discernimento per favore… di confusione ce n’è abbastanza.
Chi ha riletto queste riflessioni abbia il coraggio di rettificare dopo aver riflettuto più a lungo. È un articolo chiedo scusa “osceno”…
Buongiorno Bernhard Rasche,
desidero chiedervi a quale opera particolare vi riferite quando affermate che la “sua arte contiene immagini di abusi”.
Se c’è un mosaico particolare di tale genere, vi chiederei di segnalarlo, per favore, e permettermi di misurare la qualità del vostro giudizio su un oggetto partioclare e verificabile.
Grazie
Non conosco nessuna delle sue foto. Ma nelle interviste alle sue vittime, diverse donne hanno riferito di essere state ritratte in alcune foto. Queste possono essere lette nel giornale di riferimento.
Grazie, una riflessione coraggiosa e aperta.
Anche i seguaci dei vari guru indiani, i seguaci di Osho, possono avere avuto delle esperienze positive. Ci sono persone che pensano di essere state “guarite” da guaritori ciarlatani che hanno imposto loro le mani… Anche gli adepti dei maghi e delle fattucchiere o dei vari esoteristi possono fare esperienze soggettivamente positive e addirittura entusiasmanti. Ma questo non significa nulla. Il Demonio è il padre della menzogna. Là dove vi è inganno, seduzione, sfruttamento delle proprie capacità carismatiche c’è un’orribile puzza di male. Anche per chi crede di aver avuto esperienze idilliache. Si tratta di ILLUSIONE. Già la Chiesa delle origini mise in guardia i fedeli da questo: dall’essere ingannati e illusi da falsi profeti e falsi maestro spirituali.
Sì, sono d’accordo, però resta che ai tempi di Gesù o nel periodo brevemente successivo la nuova fede cristiana si proponeva come uno dei tanti culti o movimenti. Pertanto per i coevi, oppure per coloro che li hanno strettamente seguiti, si poneva lo stesso problema che oggi chiunque si potrebbe porre di fronte a qualcosa di nuovo che si affaccia: ciarlataneria o vera emanazione divina? E’ oggettivamente complicato essere completamente certi che si sia nell’una o nell’altra situazione. Poi è evidente che il tempo ha dimostrato con la banale persistenza la natura divina dell’uno, il Cristo, e la natura fraudolenta delle altre; nel subito, tuttavia, sarei più prudente. Mi metto dalla parte di chi aveva un lecito dubbio trovandosi di fronte qualcuno al quale potevano credere o non potevano credere.
Sono ipotesi di cui discutere. Come minimo, però, il Centro Aletti dovrebbe prendere esplicitamente le distanze dal suo fondatore, dare riconoscimento alle vittime, smettere di usare lo “stile Rupnik” e di diffondere le sue omelie e le sue opere; in segno penitenziale, se non per imposizione giuridica. Ma sono tutte cose che – vedendo il sito del Centro – non sono nemmeno lontanamente iniziate; e neppure risulta un comunicato sul caso: al punto che si può pensare che il Centro ritenga ancora il suo fondatore non colpevole (vari commenti social di adepti lo sostengono). Ma poi, più in generale: tutti i movimenti dei casi citati, sia pure in modi diversi, hanno costruito se stessi proprio sulla personalità del fondatore, hanno identificato il proprio carisma (il Centro Aletti persino l’immagine visiva) con le idee teologiche ed ecclesiali dell’iniziatore, ne hanno elevato le parole a dettato “sacro” e le hanno amplificate come interpretazione autentica di se stessi… E adesso si dice che, caduto il fondatore, il “guadagno” rimane? Almeno non sia una conclusione scontata.
Grazie, una bellissima riflessione che ci riscatta dalla tristezza accumulata in questi ultimi anni.