Scriveva Michel de Certau, gesuita francese: «ogni incontro con l’altro è un colpo alle nostre certezze».
È quindi un cammino pericoloso quello che ci propone Eraldo Affinati sulle tracce di don Lorenzo Milani.
Le strade
L’uomo del futuro è un viaggio in soggettiva nei luoghi di don Lorenzo, a quasi cinquant’anni dalla sua morte. Percorsi che lo conducono dall’ateismo al seminario, dall’agiatezza alla povertà.
Un viaggio nella sua inquietudine che mina la nostra tranquillità, quella delle paci drogate che vanno rotte, come diceva padre Turoldo, altro profeta del nostro tempo.
Anche la forma narrativa scelta dall’autore è coraggiosa e affascinante: una seconda persona che innesca un dialogo interiore nel quale gli incontri sono altrettante svolte.
Non emerge nessun reducismo nella ricerca di Eraldo Affinati, i percorsi invece tessono una tela che definisce una possibile pedagogia rivoluzionaria, in un momento in cui s’impone di immaginare un futuro che riscopra il singolo, la persona di fronte alla quale tutto dovrebbe annullarsi.
Un umanesimo radicale che individua nella cultura uno strumento di emancipazione e di integrazione.
La scuola
E la scuola occupa un ruolo centrale in questo processo; una scuola destinata al fallimento perché invitata a educare individui che divengano più grandi di lei e che da lei si distacchino schernendola.
«Sarà un giorno glorioso quando si rinuncerà a conoscere i segreti del figliolo, felici che sia vivo e ribelle», scriveva don Lorenzo che considerava povertà la mancanza di parole indispensabili per esistere.
Insegnare agli ultimi significa quindi raddrizzare delle esistenze; per un prete poi, secondo don Lorenzo, è partecipare all’opera creatrice, fantasiosa e sorprendente di Dio.
Per il priore mettere i poveri in condizioni di esprimersi significa permettere lo svelamento di un tesoro inestimabile che Dio nasconde nel cuore degli indifesi, degli umili, degli “scarti”.
Come sempre accade, chi stappa certe bottiglie pensando di fare un’opera buona, si ritrova sanamente spiazzato: «Io ho insegnato loro a esprimersi, loro mi hanno insegnato a vivere».
Il mondo
Il viaggio di Affinati si allarga poi al mondo, forse suggestionato da una frase di Ernesto Balducci che scrive dopo l’ultima lettura di Lettera a una professoressa: «Barbiana non è in Mugello, ma in Africa, nel Medio Oriente, è una comunità musulmana, è nell’America Latina».
Lo scrittore, come immagini che si formano durante il suo peregrinare, ci parla delle tante barbiane incontrate: dal Gambia al «fondo dell’ex Berlino Est»; ci racconta del commovente colloquio con Sharif, un vecchio imam marocchino cieco, e con i suoi scolari; ci porta per le strade di Pechino, di Benares, di Città del Messico dove indimenticabile è l’incontro con Ramiro, giovane prete che si occupa dei difficili meninos de rua; ci offre il toccante racconto dell’obiettore Ivan a Volgograd, e quello con Okamoto, sopravvissuto di Hiroshima.
Particolare il percorso che porta lo scrittore a New York, alla ricerca dei suoi antenati, ciociari pazzi sbarcati a Ellis Island in cerca di un sogno. Viene subito in mente un grande tema del nostro tempo, che interroga fino in fondo ognuno di noi: i migranti.
Come arginare le parole di don Lorenzo che ancora ci provocano? «Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso io non ho patria e rivendico il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri».
In un certo modo agghiacciante l’ultimo capitolo del libro, intitolato «I miei preti», dedicato alla ricerca di una sede a Roma per la Penny Wirton, la scuola (gratuita) di lingua italiana per immigrati di cui si occupa Affinati.
Un’odissea che conduce inutilmente lo scrittore di parrocchia in parrocchia, tutte troppo impegnate nel catechismo, in corsi di inglese, yoga, e chi più ne ha più ne metta, ma non hanno spazio per ospitare una scuola scomoda, forse mal frequentata. Lo scrittore arriva, ultima spiaggia, al centro di Roma dove don Francesco, che ha come guide don Mazzolari e don Milani, apre la porta.
Lo strabismo dei profeti
Don Lorenzo osserva il mondo con lo strabismo dei profeti: un occhio al cielo, l’altro quaggiù sulla terra, perché il cristianesimo crede in un Dio che si compromette con la storia dell’uomo. Il priore intuisce anni prima del Concilio Vaticano II come la pratica cristiana si avvii a essere un costume lontano dall’essenza del cristianesimo.
Capisce chiaramente ciò che oggi papa Francesco più volte ribadisce: la Chiesa ha bisogno di forme nuove, di linguaggi nuovi per agire in modo lungimirante rispetto ai processi storici, allontanandosi da quella religione civile legata al potere che opprime i poveri anziché liberarli.
Il libro di Affinati non ci regala il profilo di un santino da onorare, ma il pensiero di un uomo che continua a essere scomodo, una spina nel fianco, con cui fare i conti. Un uomo del futuro.
Eraldo Affinati, L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani, Mondadori, Milano 2016, pp. 177, € 18,00.