A un anno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina (24 febbraio 2022) i rappresentanti delle Chiese ucraine hanno riaffermato la condanna verso la Russia e il sostegno al proprio paese.
Poste sull’asse dell’adesione al sentimento nazionale la più interna e identificata sembra essere la Chiesa autocefala che fa capo al metropolita Epifanio, mentre quella più consapevole del possibile pericolo nazionalista sembra essere la Chiesa greco-cattolica dell’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk.
Sull’asse della riflessione complessiva sulla guerra oggi le polarità opposte si collocano fuori del paese: la più bellicosa è la Chiesa russa, la cui dirigenza sembra incapace di prendere qualsiasi distanza dalla logica imperiale e aggressiva di Putin; la più consapevole della profonda ambiguità e insufficienza della guerra è la Chiesa cattolica con il magistero di Francesco e la maggioranza delle Chiese anglicane e protestanti.
Chiesa autocefala: vogliono distruggerci
Il metropolita Epifanio, capo della Chiesa autocefala e filo-costantinopolitana, ha scritto in un messaggio del 24 febbraio 2023: «Commemoriamo il primo anniversario della grande invasione russa, iniziata con l’obiettivo di distruggere definitivamente lo stato ucraino e la nostra stessa identità».
Un’aggressione iniziata nel 2014 con l’occupazione della Crimea e con una forma di «guerra ibrida» in cui «la tirannia del Cremlino impiega tutte le risorse a sua disposizione: truppe e diplomazia, economia e cultura, mass media e comunità religiose».
Accusa direttamente il fiancheggiamento della Chiesa non autocefala (filo-russa) del metropolita Onufrio di non prendere distanza dalla manipolazione del linguaggio religioso usato da Putin e denuncia la «posizione assolutamente vergognosa del patriarcato di Mosca, e personalmente del suo primate Cirillo (Gundyaev) che, invece di alzare la voce contro questa folle guerra, è arrivato a benedire l’aggressione e a giustificare i criminali».
Epifanio ritiene che l’ideologia del «mondo russo (Russky Mir)» vada collocata sullo stesso piano del nazismo e del bolscevismo e i suoi esponenti trattati da criminali di guerra.
La distruzione, da parte dell’armata russa, di 251 strutture religiose e di 177 chiese ortodosse testimonia della convinzione della dirigenza politico-ecclesiale russa di non considerare «cristiana» la Chiesa ortodossa in Ucraina. Sarebbero arrivati ad allestire luoghi di tortura all’interno delle chiese e di requisirne alcune come quartiere militare e deposito di bombe.
Chiesa filo-russa: due tempi, due misure
Molto più complicata la situazione della Chiesa ortodossa di Onufrio che, da un lato, ha condannato con vigore l’occupazione russa fin dall’inizio e, dall’altro, essendo storicamente legata a Mosca, fa grande fatica a conquistare un’autonomia canonica riconosciuta e a convincere l’opinione pubblica nazionale. Anche per episodi non marginali di collaborazionismo con l’aggressore.
In occasione dell’anniversario della guerra, il dipartimento delle relazioni esterne della metropolia ha ricordato l’immediata e severa condanna di Onufrio all’azione militare e alla posizione acritica di Cirillo. Identifica un primo momento (i primi mesi) in cui la Chiesa non-autocefala era considerata parte dello sforzo di resistenza e di difesa rispetto all’aggressione e un secondo momento (gli ultimi mesi) come pericolosa «quinta colonna», alleato inaffidabile e ambiguo.
È tornata la retorica contro i «preti di Mosca». Anche se «dobbiamo ammettere che certi membri della nostra Chiesa hanno commesso tali crimini (di collaborazionismo). Riteniamo che casi simili debbano essere oggetto di un’inchiesta approfondita e di un esame imparziale da parte dei tribunali».
Costituiscono un attentato contro la libertà religiosa i tentativi di cambiare ad essa il nome (mettendo in questione tutte le sue proprietà) e proponendo leggi che ne impediscono la vita e l’attività. «È molto censurabile constatare che oggi alcune denominazioni cristiane, approfittando della situazione, hanno già cominciato a dividersi le nostre chiese e i nostri santuari nella capitale come nelle regioni».
La decisione conciliare del maggio 2022 ha reso totalmente indipendente la Chiesa ortodossa non autocefala rispetto al patriarcato di Mosca, «senza oltrepassare i limiti dei canoni della Chiesa, ma dissociandosi da quanti sostengono la guerra contro il nostro popolo». Disponibili a contribuire a «restaurare l’unità della Chiesa ortodossa».
Difesa non richiesta
La posizione della Chiesa di Onufrio è resa più difficile dal «patronato» che da Mosca gli viene riservato. La dirigenza ortodossa russa considera tutte le scelte di autonomia della Chiesa non-autocefala ucraina come comprensibili e provvisori effetti dell’emergenza politica e il loro rovesciamento facilmente recuperabile nel momento della pace. È arrivata a prendere voce in sua difesa al Consiglio di sicurezza dell’ONU, ignorando il dissenso esplicito del metropolita Onufrio.
Mosca identifica con disinvoltura le pressioni amministrative e politiche sulla Chiesa ucraina filo-russa come equiparabili alle persecuzioni naziste e a quelle dei rivoluzionari comunisti. Il passaggio al calendario “gregoriano” dei greco-cattolici e al viciniore calendario “giuliano corretto” da parte degli autocefali è indicato dal responsabile dei rapporto del patriarcato di Mosca con i media, V.R. Legoida, come parte rilevante della colpevole distanza da Mosca. Egli arriva a denunciare la cecità dell’Occidente davanti alla persecuzione, ignorando che Cirillo ha definito l’Occidente come il luogo del male e della decadenza.
Su queste posizioni si colloca anche un gruppo di ortodossi statunitensi che imputano ai gerarchi ortodossi in Occidente un colpevole silenzio rispetto alla «persecuzione» in atto in Ucraina verso la Chiesa non-autocefala o filo-russa.
Greco-cattolici: resistere, combattere, pregare
L’arcivescovo maggiore, Sviatoslav Shevchuk, responsabile dei greco-cattolici, ha detto il 24 febbraio:
«L’anno che abbiamo lasciato alle spalle è stato un anno di dolore, lacrime e sangue, un anno di lotta, un anno di grande coraggio e resilienza dei figli e delle figlie della nostra patria. Ma, allo stesso tempo, è stato un anno di grande fede e di speranza che il Signore Dio non ci ha abbandonato, che il Signore Dio è con noi, che Lui, nostro Signore e salvatore, è e sarà la fonte e la garanzia della nostra vita e della nostra vittoria».
«L’Ucraina resiste, l’Ucraina combatte, l’Ucraina prega». Registra il consenso internazionale sull’Ucraina e sottolinea che «la Russia ha già perso. L’occupante russo non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che si era prefissato un anno fa». Ma si preoccupa anche del futuro, della necessità di «guarire le ferite della guerra, le ferite che ognuno di noi porta nell’anima, nel cuore, sul corpo».
Il legame con Roma e con il papato ha impedito una deriva nazionalistica della Chiesa cattolica locale, aiutando la sua collocazione per l’auspicabile futuro di pace.
Avvicinamenti millimetrici
La guerra ha radicalizzato la distanza fra le due Chiese ortodosse (autocefala e filo-russa). Vanno quindi registrati con favore i primi timidi tentativi di dialogo fra i due presbitèri: un primo, propiziato da Olena Bogdan, ex presidente del servizio statale circa le fedi, e un secondo, a metà febbraio, in cui i rappresentanti delle due Chiese si sono confrontati e parlati direttamente.
Unanimi nella condanna dell’aggressione russa «ci sforzeremo di raggiungere l’unificazione di tutti gli ucraini ortodossi in una Chiesa ortodossa ucraina conciliare e autocefala, riconosciuta dall’intera comunità cristiana dell’Ortodossia. Ci rendiamo conto che la strada non sarà facile, ma è nostro dovere avviare questo processo».
Suggeriscono alcuni passi iniziali: collaborare a livello di parrocchie e comunità territoriali nei progetti culturali ed educativi cristiani; promuovere la partecipazione e il servizio congiunto di rappresentanti delle due Chiese in eventi locali e nazionali; la preghiera comune soprattutto in occasione della sepoltura dei soldati; lo sforzo per superare gli attuali ostacoli per arrivare alla piena comunione eucaristica. Si suggerisce, inoltre, di creare un gruppo di lavoro congiunto con vescovi e teologi delle due Chiese per un processo di unificazione.
L’appello sottolinea, inoltre, l’importanza della mediazione attiva dei rappresentanti dell’ortodossia mondiale, in particolare del patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
I due poli: Francesco e Cirillo
Sull’asse della riflessione complessiva sulla guerra le polarità più evidenti sono esterne all’Ucraina: da un lato, papa Francesco, “troppo” esposto nel superare ogni giustificazione alla guerra; dall’altro, il patriarca Cirillo, prigioniero di una logica bellica assai poco evangelica.
Sulla posizione attuale del magistero pontificio basta rileggersi il n. 258 di Fratelli tutti che chiude così:
«Dunque, non possiamo più pensare alla guerra come soluzione dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”».
La ripetuta difficoltà di rendere chiara la sua posizione in ordine alla guerra non nasce da una distanza rispetto ai diritti del popolo ucraino quanto dall’“evidenza” morale ed evangelica di un “tramonto” della legittimità della guerra che pur contrasta con i dati di fatto, con la crescita spropositata degli armamenti e degli investimenti in merito, con la crescita abnorme di domanda di sicurezza dei paesi vicini alla Russia, con la necessità di mantenere una lucidità critica rispetto ai contendenti, con la crisi dell’ONU e della diplomazia multilaterale, con la prevalenza della forza sul diritto. Sullo sfondo, inquietante, dello scontro per l’egemonia fra USA e Cina, rispetto a cui una sconfitta della Russia potrebbe paradossalmente moderare le spinte bellicose degli apparati militari delle due superpotenze attuali.
Nei testi di Francesco si respira Vangelo, mentre in quelli di Cirillo si percepisce l’odore sgradevole di un servilismo alle logiche di potere. Il sostegno alla politica imperiale di Putin, la benedizione delle armi contro i civili, l’affermazione della corrispondenza della morte in guerra al martirio, la denuncia di ogni posizione favorevole alla pace, suonano come premessa all’identificazione dell’invasione dell’Ucraina come «una lotta per la conservazione della fede, una lotta per il futuro di tutta l’umanità, nientemeno che per la vita del mondo» (intervista del 7 gennaio al canale Russia 1).
Manca solo il disprezzo per la “sub-umanità” dei nemici per arrivare al fondo. E, tutto questo, violando una precisa indicazione del magistero conciliare russo che, nel documento I fondamenti della concezione sociale del 2000, affermava al capitolo terzo (n. 8) l’impossibilità per la Chiesa di condividere un’eventuale guerra di aggressione esterna.
Il 23 febbraio 2023, in occasione della «giornata per i difensori della patria», Cirillo conferma la sua posizione:
«Le nostre forze armate oggi difendono la patria. Sappiamo che ci sono grandi forze che hanno sfidato la nostra patria, e questo richiede sia alle forze armate russe che all’intero popolo di comprendere chiaramente che solo insieme tutti noi possiamo garantire la vera libertà e indipendenza della Russia». Sottolineando l’identificazione fra stato e Chiesa: «ci rendiamo conto di avere obiettivi comuni e compiti comuni. L’interazione con la nostra gente e le nostre autorità dovrebbe essere rafforzata ancora di più con un’attenzione speciale al nutrimento spirituale del nostro esercito».