Il PD di Elly Schlein

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In tutta sincerità, nessun sondaggista aveva previsto la vittoria di Elly Schlein alle primarie del PD.

«Anche stavolta non ci hanno visto arrivare»… è stato il commento a caldo della neo-segretaria. Frase simpatica, che si appoggia sul consueto giochetto “noi/loro”, dualismo totalmente indeterminato ma che – come hanno insegnato i 5Stelle – funziona sempre bene, per lasciare intendere a ciascuno quel che vuole e generare facili identificazioni.

“Noi” e “Loro”

“Noi” potremmo pensare, indica idealmente la squadra di Schlein, fatta attorno a lei di un gruppo di giovani colleghi in gamba, ma –nel retrobottega – composta da sponsor di lungo corso e tutt’altro che nuovi, come Franceschini, Zingaretti, Orlando e Bettini.

“Loro”, invece, indica evidentemente l’establishment democratico, identificato – a torto o a ragione – con la candidatura Bonaccini. A ragione, perché nei circoli, cioè nel partito reale, Bonaccini ha dimostrato il suo radicamento. A torto, perché la collezione di “capibastone” storici a sostegno della Schlein non le consente – nella realtà – di giocare la parte di quella che non ha rapporti con l’establishment.

Senza enfatizzare una battuta a caldo, sotto questa frase c’è comunque tanto del successo della Schlein: trasmettere il senso di novità, di irriverenza, di radicalità, contro lo status quo interno.

Una ricetta che in Italia funziona sempre e anche nel PD: il primo ad usarla con successo fu proprio l’odiatissimo – da Elly e non solo – Matteo Renzi.

Cosa ci si può aspettare ora?

Sul piano politico, è ragionevole pensare che i temi identitari della mozione Schlein saranno ora presidiati e calcati dal partito con maggiore forza rispetto al passato. Libertà civili individuali, precarietà del lavoro, migrazioni vedranno certamente un PD meno cauto, meno misurato, più pasionario.

Resta il dilemma di cosa si possa fare concretamente, dall’opposizione, su simili temi.

La risposta è semplice: poco. Tranne improbabili auto-implosioni della maggioranza di Governo – ribadiamo, improbabili – al PD si prospettano quattro anni e mezzo di pura opposizione, dove il lavoro da fare è soprattutto quello di alzare i toni, differenziarsi a piè sospinto dal Governo, attaccare chi sbaglia tra i ministri e resta isolato dal gruppo (tipo Piantedosi).

In questo tipo di opposizione “corsara”, dove serve soprattutto cavalcare le giuste battaglie mediatiche ed emotive (perché nelle istituzioni e nella realtà parlamentare ci saranno ben pochi palloni giocabili), la Schlein potrebbe trovarsi profondamente a suo agio. A conferma di una capacità mediatica e affabulatoria che tutti le riconoscono: quella di governo, adesso, anche se ci fosse, non servirebbe più di tanto.

Insomma, non è affatto sbagliato pensare che Schlein saprà esprimere proprio quel tipo di leadership “movimentista” che servirà a Roma al Partito Democratico, in questa lunga fase di opposizione.

Il problema ucraino

Più difficile per lei sarà gestire il tema ucraino. Innanzitutto, perché la guerra – al pari di altre tre o quattro questioni serie – mal si presta al lavoro “corsaro”. Su certi temi, non puoi cavartela solo con la dialettica. Con frasi tipo: «Armi per tenere l’Ucraina indipendente sì, per tenere in piedi la guerra no», recentemente pronunciata dal rientrante Bersani.

Ma c’è di più. La mozione Schlein ha in pancia, chiaramente, un sentiment meno filo-ucraino e più “pacifista” di quello finora espresso dalla segreteria Letta, risolutamente. Qui sarà difficile mediare o buttare palle in tribuna: alle prossime votazioni parlamentari sull’invio di nuove armi toccherà scegliere: sì o no.

È possibile allora che il PD di Schlein – allargato dall’ingresso di ex Articolo 1 – si spacchi nel voto, e la segretaria viva qualche difficoltà più concreta. In ogni caso, non allinearsi alla Meloni nettamente atlantista le farà gioco, soprattutto per non rompere coi M5S contiani, da sempre in difficoltà a giocare una partita troppo antirussa.

Ma il disagio delle aree più moderate del PD e la distanza dai centristi – già rilevante – finirà quasi certamente per acuirsi; mentre non è escluso che qualche segmento di mondo cattolico si ritrovi meglio in questa posizione meno “militare”.

Un partito destinato a spaccarsi?

Tensioni interne sulla guerra, o su altri temi, come quelli eticamente rilevanti, potrebbero ora fare implodere il PD? Molti l’hanno sostenuto ma, contrariamente a quanto paventato da varie parti, nessuna scissione sembra realmente profilarsi. Almeno, non sotto forma di spaccatura organizzata.

In primo luogo, perché all’opposizione non tocca l’onere della proposta, per cui su certi temi “delicati” si discuterà un po’ in casa, ma non dovrebbero profilarsi dicotomie esplosive. Potrà capitare qualche tensione, come dicevamo sull’Ucraina, quando toccherà votare con o contro il Governo. Ma difficilmente questo porterà a scissioni: il PD è abituato a reggere dosi elevate di pluralismo interno; difficilmente – contro le attese di parte dei suoi sostenitori – la Schlein trasformerà il partito “in una caserma”, come si suol dire.

Ma c’è di più. Tantissimi leader interni e capicorrente già sostenitori di Bonaccini si sono affrettati a manifestare alla vincitrice la loro stima e il loro sostegno, in modo assai poco condizionato. Azione, questa, sicuramente indice di correttezza istituzionale e politica, ma che per molti è andata ben al di là dei rituali auguri di buon lavoro o delle congratulazioni, con classico invito ad essere «la segretaria di tutti». Per molti c’è stato un trasporto che sapeva assai di rapido riallineamento. Ben lungi da voglie di scissioni e spaccature. E anche solo di guerre interne.

Ovviamente, tutto questo non vuol dire che gli “schleiniani” della prima ora non faranno valere la voce della loro primogenitura… Secondo una tradizione tipica del PD, i “perdenti congresso” iniziano a pagare pegno gradualmente, senza scossoni, semplicemente venendo emarginati mano a mano, da un rinnovo di segreteria all’altro, ad ogni nuova lista di candidati, ad ogni nuova nomina, ad ogni nuova scadenza di mandato… Con calma, questo spoil system si realizzerà, come sempre. Ma riallinearsi e sorridere alla segretaria che non hai votato può aiutare a limitare i danni.

I pochissimi leader in fuga

Pochissimi, dunque, sono i leader che hanno dichiarato apertamente di non potersi più riconoscere nel PD a guida Schlein. Francamente, sono soprattutto ex leader. È il caso di Beppe Fioroni, tra i primi ad annunciare l’abbandono di un PD che, comunque, l’aveva da tempo marginalizzato. Altri seguiranno a livelli periferici, con qualche cambiamento di gruppo atteso nei consigli comunali e regionali, direzione Centro. Ma, nel complesso, non un terremoto.

Tra le vere “punte” attuali del PD, l’unico attendista, che non si è iscritto al partito del riallineamento sulla vincitrice, appare Giorgio Gori. Il sindaco di Bergamo, del resto, è tra i pochissimi che oggi potrebbero esprimere una vera e credibile leadership “moderata” tra i Democratici. Specie se Bonaccini dovesse “rientrare nei ranghi”, accettando la presidenza del Partito o firmando altre forme di armistizio con la Schlein e i suoi capicorrente.

Qualche tensione in più potrebbe accadere, nei prossimi mesi e anni, quando dovessero cominciare a saltare teste, specie nei livelli regionali e comunali. Allora, qualche “silurato” potrebbe rispondere abbandonando il partito con il proprio seguito, più o meno ampio. Un caso De Luca, ad esempio, si profila in Campania.

Anche il rientro ufficiale di Speranza e Bersani – per quanto scontato e ormai già avvenuto – potrebbe suscitare qualche tensione nel PD, specie nelle aree meno di sinistra radicale. Ma anche qui, molto dipenderà dalla Schlein e dai leader del suo entourage. Se sapranno essere “istituzionali”, non vendicativi e non “ingordi” all’interno del partito, le tensioni non saliranno al punto da determinare scissioni organizzate. Al massimo, appunto, assisteremo ad una serie di abbandoni, verso altri lidi politici.

Ma l’elettorato?

Altro discorso, l’elettorato. Seguirà in massa la Schlein o la scissione, che non avverrà tra i leader, avverrà invece nelle prossime urne?

È fuori discussione e persino ovvio il fatto che il PD di Elly Schlein potrà recuperare a sinistra e dall’area di chi non ha votato alle ultime politiche, e probabilmente anche sottrarre voti ai M5S, specie al sud. Ma, contemporaneamente, perderà elettori al centro: qui, chi ascolta le persone, ha già captato questa tendenza.

Ma oggi l’elettorato non si può ridurre allo schema lineare “destra-sinistra”. La segmentazione del voto dipende da tanti temi e fattori, sempre più complessi e sempre più dipendenti da emotività e comunicazione. Per cui occorrerebbe affidarsi ad analisi più politologiche e sociologiche, per cogliere le tendenze future del consenso PD a guida Schlein.

I sondaggi – per quello che valgono – hanno registrato tutti una crescita del voto PD nell’immediatezza del cambio di segreteria: un fenomeno abbastanza scontato, cui però non corrisponde –almeno nelle prime apparenze – una vera crescita dell’area di opposizione. Insomma, è soprattutto un “travaso” dai M5S.

Analisi più approfondite del voto alla primarie, come quella svolta dalla Società Italiana di Scienza Politica (qui) dimostrano che l’elettorato della Schlein non è sociologicamente agli antipodi di quello di Bonaccini. Anzi. Un poco più giovane, ma poco davvero. Un poco più femminile. Un poco più “ZTL”, come si dice oggi. Non composto, soprattutto, di new entries: per lei come per Bonaccini è arrivato soprattutto un voto di habitués delle primarie. Del resto, il mezzo milione circa di voti raccolti ai gazebo da Schlein ricalca la stessa identica cifra assoluta che sostenne nel 2017 Orlando ed Emiliano o nel 2013 Cuperlo: insomma, la conferma di quanto vale l’area “sinistra” del PD, più che un avvento di nuovi consensi.

Dunque, nulla che lasci pensare a un cambio di fisionomia complessiva del futuro elettorato PD. L’unica differenza apprezzabile è proprio quella “sinistra-centro”: tra i votanti di Schlein alle primarie il 56% si sente di sinistra (contro il 37% di Bonaccini) e solo il 6% di centro (contro il 17% del presidente dell’Emilia-Romagna).

Insomma, come confermano alcune domande di controllo, la Schlein ha saputo muovere un voto “valoriale” di sinistra, e qui sta forse proprio il segreto del suo successo. Elettori che, per di più, non prevedono con certezza di votare PD in futuro: il 7% degli elettori di Schlein – anzi – dichiara che non pensa di votare PD alle prossime politiche (contro il 2% di Bonaccini).

Insomma, se la Schlein saprà riportare in alto il consenso del PD dipenderà tutto da lei, da quello che farà e dirà, da come saprà muovere in futuro l’emotività dell’elettorato italiano. Ma, ad oggi, dati disponibili alla mano, al netto di qualche “rientro”, la sua elezione non sembra determinare di per sé alcun cambio di passo radicale nel consenso e nella base sociale democratica.

Che prospettive per il PD a guida Schlein?

In definitiva, tutto dobbiamo aspettarci meno che un PD che si sgretola, o che si rinnova radicalmente. Ci sarà una parziale risalita nei sondaggi, ma i trend di lungo periodo sono tutti da costruire. Il partito, infatti, recupererò voto a sinistra, ma perdendolo al centro, con un gioco che rischia di essere a somma zero, se non per il partito, sicuramente per la coalizione.

Schlein dovrà essere bravissima perché, mentre attorno a lei si è condensata un’attesa al ritorno di una sinistra valoriale “pura”, senza un dialogo coi M5S (che sono forse sinistra, e forse anche no) e soprattutto con Calenda e Renzi la possibilità di tenere alcune regioni e vincere future elezioni si assottiglia molto. Sarà un dilemma non facile per lei e su cui si gioca molto del suo futuro.

Certo, è presto per ragionare di ritorno al governo nazionale. Mancano 4 anni alle prossime politiche e questa forse è la notizia migliore per la Schlein: c’è tempo per costruire un futuro diverso, avendone le capacità.

Ma, al tempo stesso, l’anno prossimo, nel 2024, si vota in quasi la metà dei Comuni (di cui una trentina di capoluoghi), in 5 regioni e soprattutto per Bruxelles. Se il voto per il Parlamento Europeo – da sempre più libero ed emotivo – può essere una grandissima opportunità per la Schlein, è anche vero che – inevitabilmente – sarà anche la sua prima vera prova del fuoco. Unita alla necessità di trovare accordi politici complessi per città e regioni, la scadenza del 2024 ci dirà molto di più su cosa davvero è successo o è cambiato nel PD, lo scorso 26 febbraio.

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2 Commenti

  1. Pietro 9 marzo 2023
  2. Tobia 7 marzo 2023

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