Il card. Walter Kasper ha compiuto 90 anni il 5 marzo scorso. Anche se ufficialmente in pensione, egli rimane uno dei cardinali tedeschi più influenti in Vaticano. In questa intervista egli traccia un bilancio e offre uno sguardo sul futuro della Chiesa. L’intervista è stata curata dall’agenzia KNA il 5 marzo scorso.
– Signor cardinale, quando ripensa ai 90 anni della sua vita, cosa l’emoziona particolarmente?
Soprattutto la gratitudine. Per il fatto che sono ancora relativamente in salute, che posso fare tutto da solo e non è una cosa scontata a questa età. E per tutto quello che mi è stato concesso di vivere in questi anni.
– Di queste esperienze fa parte anche l’epoca del concilio Vaticano II 60 anni fa. Cosa ricorda?
È stato un tempo di partenza! È stata una sorpresa totale quando abbiamo saputo dal telegiornale che Giovanni XXIII aveva indetto un concilio ecumenico. A quel tempo frequentavo l’Università di Tubinga, dove ho conseguito il dottorato e successivamente l’abilitazione.
Il Concilio suscitò un grande entusiasmo, e fu un grande momento anche per me. Esso ha cambiato tante cose. Chi afferma che la Chiesa non può essere riformata dovrebbe tener presente questo profondo cambiamento! Io l’ho vissuto. Allora uno era contento di essere cattolico. Le porte si erano aperte. All’improvviso, teologi cattolici e protestanti hanno potuto incontrarsi e discutere tra loro, cosa che prima non avveniva.
Questo scambio l’abbiamo coltivato molto bene a Tubinga; una volta al mese ci incontravamo, io, Küng, Moltmann, Jüngel, prima a cena, e poi, dopo mangiato, bevevamo qualche bicchiere di vino e discutevamo appassionatamente fino a dopo mezzanotte. È stato un momento formidabile.
– Tuttavia questo non le ha impedito, in seguito, di pronunciarsi per l’esclusione di Küng dalla facoltà di teologia.
Quelle sono state le settimane più difficili della mia carriera accademica. Avevo un rapporto di collega con lui e avevo imparato molto da lui. Ma non ero d’accordo con lui su alcuni punti cruciali. Prima della revoca della licenza d’insegnamento, la facoltà era divisa, alcuni erano contrari e protestavano, altri ritenevano giusto quel provvedimento riguardo ai contenuti. Io ero uno di loro. Ma a deciderlo sono stati altri.
Quello che non mi è piaciuto è stato il modo in cui Küng ha reagito e polemizzato pubblicamente. Si è dimostrato uno svizzero testardo.
– Tornando al Concilio, 60 anni dopo sembra che questioni oggi rilevanti non siano state affrontate allora.
Sono state affrontate questioni molto importanti, ma ovviamente non tutte. Ad esempio, il Concilio ha posto su nuovi fondamenti teologici l’interazione tra vescovi e papa, ma anche tra laici e clero. Ma non è stato chiarito come dovrebbe funzionare esattamente.
Ed è ciò che ora papa Francesco vuole chiarire con il sinodo sulla sinodalità. D’altronde, la forma sinodale si rifà alla tradizione, perché i sinodi hanno fatto parte della vita della Chiesa fin dall’inizio. Dopo il Medioevo si era un po’ offuscata, ma ora sta rivivendo in nuove modalità. Da non dimenticare che anche i laici, in particolare i detentori del potere, hanno avuto in passato una grande influenza sui sinodi.
– Quali nuovi temi si sono aggiunti? La questione delle donne, il problema dell’identità e dell’orientamento sessuale?
Il Concilio ha già detto qualcosa sulla questione della donna, in particolare per quanto riguarda la sua posizione nella società. Ma la questione delle donne all’interno della Chiesa è rimasta troppo in ombra e ora si ripresenta. Lo stesso vale per altri argomenti. Le relazioni omosessuali erano allora tabù. Tutto questo si è manifestato dopo il 1968, cioè dopo il Concilio.
– Uno che in seguito ha ripreso questi argomenti è stato il suo allievo, il teologo morale Eberhard Schockenhoff, morto nel 2020. Per il cammino sinodale in Germania è stato un pioniere su questi temi. Com’era il suo rapporto con lui?
Eravamo amici. Ogni volta che veniva a Roma, c’era un vivace scambio di idee. Non siamo sempre stati d’accordo su tutto. Ma il rapporto è continuato ed è diventato molto solido. Ho letto molto del suo libro postumo sull’etica sessuale. Lì c’è già un chiaro ripensamento, ma il mio allievo non è andato così lontano come ora sta andando il Cammino Sinodale. Si è trattato di aperture, ma sempre basate sulla Bibbia e sulla Tradizione. È ciò che manca adesso, soprattutto per dare un buon fondamento teologico al Cammino Sinodale.
– Siamo al Cammino Sinodale. Cosa ne pensa? Dove ci conduce?
Temo che attualmente si nutrano delle illusioni. Penso che sia pressoché impossibile che le risoluzioni del Cammino Sinodale possano essere attuate nella Chiesa universale. Naturalmente ci sono persone anche in altri paesi che la pensano allo stesso modo. Ma sono ben lontane dal costituire una maggioranza. Ciò vale per l’ordinazione delle donne, per esempio. O per l’idea di cogestione democratica nella guida della Chiesa. La Chiesa non è una democrazia! Gran parte di questo argomento in particolare non è stato pensato teologicamente o in termini di Tradizione. La Chiesa non può essere reinventata.
– Altri vescovi e cardinali ora mettono in guardia da uno scisma. Lo teme anche lei?
Il Cammino Sinodale sottolinea ripetutamente di non volere alcuno scisma, e io lo credo. Ma si può anche incappare in uno scisma. Un po’ come le grandi potenze sono incappate nella prima guerra mondiale, anche se nessuno la voleva davvero. Bisogna considerare attentamente questo fatto. Anche in Germania le domande che vengono da altre Conferenze episcopali vanno prese sul serio e non bisogna dare per scontato di conoscere già la verità. Questo atteggiamento rende impopolari i tedeschi all’estero. Se incontro dei cardinali qui a Roma, scuotono la testa quando si parla dei tedeschi. Allora provo a spiegare alcune cose.
– Una settimana dopo il suo novantesimo compleanno, ricorre il decimo anniversario dell’elezione di papa Francesco. Presumo che lei fosse dalla sua parte in quel momento. Se ne è mai pentito?
Io sto dalla parte di papa Francesco. Ciò non significa che trovi giusta ogni parola che dice o trovi giusto ogni atto che compie. Ma, una volta eletto un papa, vale per lui il principio di lealtà, soprattutto nella Curia, altrimenti non funziona. Adesso non lo vedo così spesso come una volta, ma, quando mi chiama, gli do dei consigli se me li chiede.
Francesco è sotto pressione da due parti: ci sono i conservatori, che hanno rifiutato il suo stile fin dall’inizio, e ora ci sono critiche anche da parte dell’Occidente, per esempio in Germania, dove spingono per le riforme. Egli è un uomo del Sud, ha problemi completamente diversi che sono importanti per lui, questo deve essere chiaro. Ciò che ha messo in movimento richiederà un altro pontificato o due prima che sia pienamente attuato. Spero che dopo di lui venga qualcuno che attui questi impulsi secondo la sua sensibilità.
– Alcuni riformatori credono che il cambiamento sia la migliore risposta alla crisi epocale della Chiesa di questo tempo. Lei di che parere è?
La Chiesa vive una crisi molto profonda. Non vederlo sarebbe una follia. E la causa non è solo lo scandalo degli abusi. La crisi è molto più ampia e profonda. Riguarda l’intero mondo occidentale. La Chiesa si trova in uno sconvolgimento epocale. Non si può semplicemente continuare come prima, questo è fuori discussione.
Ma come sarà nel dettaglio il futuro della Chiesa, nessuno di noi lo sa. Tutto quello che so è che, se non avessi vissuto l’avventura del Concilio, difficilmente avrei potuto sopportare questa crisi. Ma credo che dare le risposte sia ora compito di una nuova generazione nella Chiesa.
Testimonianza di una saggezza concreta ma sempre aperta al futruro. Da meditare.