Francesco: desidero una Chiesa missionaria e sinodale

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Il 6 marzo 2015, in occasione dei due anni di pontificato, Francesco fece la seguente confidenza a Valentina Alazraki, giornalista vaticanista della tv messicana Televisa: «Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve: 4, 5 anni ! È come una sensazione, un po’ vaga. Magari non sarà così? Ma ho come la sensazione che il Signore mi abbia messo qui per poco tempo. Però è solo una sensazione. Perciò lascio sempre le possibilità aperte».

Gli anni del ministero petrino di Francesco sono, invece, ormai dieci. Ai miei occhi sono stati dieci anni straordinari per tanti motivi, ma in particolare per due: per il sogno di Francesco di avviare la «trasformazione missionaria della Chiesa»[1] e per la sua volontà di tradurre in prassi la sinodalità in quanto «dimensione costitutiva della Chiesa».[2]

Una Chiesa in uscita missionaria

Forse la “Chiesa in uscita missionaria” costituisce la vera novità del pontificato di Francesco. Si tratta di un “paradigma”[3] decisamente originale attorno alla quale è costruito il programma pastorale consegnato all’esortazione apostolica Evangelii gaudium dove «la riforma della Chiesa in uscita missionaria» per annunciare la gioia del Vangelo è indicata come la prima delle sette questioni sulle quali Francesco intende soffermarsi (n. 17).

Ma quali sono le specificità di una Chiesa in uscita missionaria per annunciare gioiosamente che la salvezza realizzata da Dio è per tutti (n. 113)? Dalla Evangelii gaudium è possibile farne sinteticamente emergere almeno dieci, tutte di rilevante importanza.

  1. Tutti siamo Chiesa! In primo luogo va detto che la Chiesa non è limitata ai presbiteri, ai vescovi o al Vaticano. La Chiesa sono tutti i fedeli! È popolo in cammino verso Dio (n. 111). Tutti i battezzati sono la Chiesa. Tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione implica un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati (n. 120).
  2. Più spazio alle donne. Nella Chiesa c’è bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva (n. 103). Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere (n. 104).
  3. Chiesa non autoreferenziale. La Chiesa in uscita missionaria evita la malattia spirituale dell’autoreferenzialità. Essa è una comunità di discepoli che fanno il primo passo, che prendono l’iniziativa senza paura per andare incontro ai lontani, per intercettare ai crocicchi delle strade gli esclusi, per accorciare le distanze con la gente, per abbassarsi – se necessario – fino all’umiliazione, per assumere la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo (n. 24).
  4. Gerarchia delle verità. Nella Chiesa in uscita missionaria il Vangelo è annunciato non per imporre nuovi obblighi, ma per condividere una gioia, per segnalare un orizzonte di bellezza, per offrire la partecipazione ad un banchetto desiderabile (n. 14). Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere, ma si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario (n. 35). Per raggiungere questo obiettivo è soprattutto necessario tenere in debita considerazione un criterio proposto dal concilio Vaticano II ma spesso dimenticato e trascurato: la gerarchia delle verità, che vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale (n. 36).
  5. Primato della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la parola di Dio diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale (n. 174). Lo studio della sacra Scrittura dev’essere una porta aperta a tutti i credenti. È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria (n. 175).
  6. Dimensione sociale del kerygma. La Chiesa in uscita è consapevole che la religione non deve limitarsi all’ambito privato e non esiste solo per preparare le anime per il cielo. Dio desidera la felicità dei suoi figli e delle sue figlie anche su questa terra, benché tutti siano chiamati alla pienezza eterna (n. 182). Una fede autentica, mai comoda e individualista, implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore (n. 183). Dio, in Cristo, redime non solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli esseri umani e il cuore del Vangelo rimanda ad un’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana (n. 178).
  7. Opzione per i poveri. Cristiani e comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società. Questo suppone che siano docili e attenti ad ascoltare il loro grido e soccorrerli (n. 187). C’è un segno che non deve mai mancare tra i cristiani: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via (n. 195). Occorre affermare, senza giri di parole, che esiste un vincolo inseparabile tra la fede cristiana e i poveri (n. 48). Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica (n. 198).
  8. Linguaggio chiaro. Nella Chiesa in uscita missionaria non solo si usa un linguaggio semplice, chiaro e diretto che i destinatari sono in grado di comprendere o che hanno bisogno di sentirsi dire (n. 154), ma soprattutto si usa un linguaggio positivo e attraente perché in grado di offrire speranza, di orientare verso il futuro e di liberare dalla negatività. Sarebbe buona cosa se presbiteri, diaconi e laici si riunissero periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione (n. 159).
  9. La grazia suppone la cultura. Nella Chiesa in uscita non ci si deve accontentare di una teologia da tavolino. In dialogo con altre scienze ed esperienze umane, la teologia riveste una notevole importanza per pensare come far giungere la proposta del Vangelo alla varietà dei contesti culturali e dei destinatari (n. 133). La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve (n. 115).
  10. Chiesa che benedice e vivifica. La Chiesa in uscita è la comunità che si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Per testimoniare Gesù Cristo è pronta al martirio. Però il suo sogno non è di circondarsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice (n. 24). Nella Chiesa in uscita missionaria l’identità cristiana non è né occultata (n. 79) né ostentata (n. 95), ma testimoniata in modo sempre rispettoso e gentile (n. 128). All’atteggiamento del nemico che punta il dito e condanna o del principe che guarda gli altri in modo sprezzante (n. 271) viene preferito uno stile fraterno e sororale che diventa attraente e luminoso agli occhi di tutti (n. 99), in quanto in grado di illuminare e benedire, vivificare e sollevare, guarire e liberare (n. 273).
Una Chiesa dallo stile sinodale

Se quello della sinodalità è un cammino non nuovo, avendolo la Chiesa seguito all’inizio della sua storia per poi smarrirlo,[4] è indubbio che il pontificato di Francesco rappresenti «un passo avanti nella tradizione ecclesiologica cattolica sulla sinodalità» e sia «un momento di sviluppo rispetto al modo in cui il magistero pontificio ha affrontato (o evitato) la questione, dal Vaticano II fino a Benedetto XVI».[5] Si può, anzi, affermare che Francesco sia senza ombra di dubbio «il papa della sinodalità».[6]

Che cosa, allora, si deve intendere per “sinodalità” – concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica[7] – e che cosa caratterizza una Chiesa dallo stile sinodale? Anche in questo caso alla domanda si può rispondere richiamando parte dell’ormai ricco magistero di Francesco.

  1. Sinodalità: natura, forma e stile della Chiesa. Lungi dall’essere un capitolo di un trattato di ecclesiologia, e tanto meno una moda, uno slogan o il nuovo termine da usare o da strumentalizzare negli incontri ecclesiali, la sinodalità esprime la natura, la forma e lo stile della Chiesa:[8] è la cartella clinica che ne descrive lo stato di salute.[9] Camminare insieme – cioè vivere con stile sinodale – è la cifra che permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio, condizione per seguire il Signore Gesù ed essere servi della vita in questo nostro tempo ferito.[10]
  2. Nella Chiesa la sinodalità è vissuta a servizio della missione. La sinodalità trova la sua sorgente e il suo scopo ultimo nella missione: nasce dalla missione ed è orientata alla missione. Condividere la missione, infatti, avvicina pastori e laici, crea comunione di intenti, manifesta la complementarietà dei diversi carismi e perciò suscita in tutti il desiderio di camminare insieme. Sinodalità significa evitare i binari paralleli che non si incontrano mai: il clero separato dai laici, i consacrati separati dal clero e dai fedeli, la fede intellettuale di alcune élitesseparata dalla fede popolare, la Curia romana separata dalle Chiese particolari, i vescovi separati dai preti, i giovani separati dagli anziani, i coniugi e le famiglie poco coinvolti nella vita delle comunità, i movimenti carismatici separati dalle parrocchie, e così via.[11]
  3. Tutti dobbiamo essere artigiani di sinodalità. In quanto dimensione costitutiva della Chiesa e cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio,[12] tutti, nel ruolo che ognuno ha nella Chiesa, siamo chiamati a costruirla[13] non occasionalmente ma strutturalmente,[14] promuovendola a tutti i livelli.[15] Tutti dobbiamo essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità.[16] Nel cammino che deve portare alla sinodalizzazione di tutte le realtà ecclesiali nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte.[17]
  4. Sinodalità: in ascolto di ogni Chiesa e di ogni popolo. Una Chiesa sinodale si chiede con sincerità: Come stiamo con l’ascolto? Come va l’udito del nostro cuore? Permettiamo alle persone di esprimersi, di camminare nella fede, anche se hanno percorsi di vita difficili, di contribuire alla vita della comunità senza essere ostacolate, rifiutate o giudicate? Quello dell’ascolto è un esercizio lento e forse faticoso: si tratta, infatti, di imparare ad ascoltarci a vicenda – vescovi, preti, religiosi e laici, tutti, tutti i battezzati –, evitando risposte artificiali e superficiali, risposte prêt-à-porter. Lo Spirito ci chiede di metterci in ascolto delle domande, degli affanni, delle speranze di ogni Chiesa, di ogni popolo e nazione. E anche in ascolto del mondo, delle sfide e dei cambiamenti che ci mette davanti. Non insonorizziamo il cuore e non blindiamoci dentro le nostre certezze.[18]
  5. La Chiesa sinodale si mette in ascolto anche di chi non è dei nostri. La Chiesa sinodale avverte l’esigenza di sintonizzarsi anche con coloro che ne sono alla periferia, con le persone che vagano senza meta, da sole, con il proprio disincanto, con la delusione di un cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso,[19] con chi confessa Cristo senza essere dei nostri, con chi vive la fatica di una ricerca religiosa, con i tiepidi,[20] con coloro che hanno un atteggiamento di dissenso nei confronti degli insegnamenti della Chiesa, con i c.d. “lontani” che non vanno tenuti a distanza, persino con le persone che possono essere criticate per i loro errori, perché tutti hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto.[21]
  6. La sinodalità è allergica ai pensieri completi e chiusi. Non c’è niente di più pericoloso per la sinodalità del pensare che abbiamo già capito tutto, che abbiamo già compreso tutto, che controlliamo già tutto. In realtà, quando uno crede di sapere tutto, il dono dello Spirito non può essere ricevuto. Il cammino va fatto andando: il che significa che una retta interpretazione degli insegnamenti conciliari implica reimparare a camminare insieme al momento di affrontare le sfide e i problemi pastorali e sociali propri del cambiamento di epoca che caratterizza il momento storico che viviamo. Dico reimparare perché, per camminare insieme, è sempre importante mantenere il pensiero incompleto.[22]
  7. La sinodalità ci aiuta a comprendere più adeguatamente il ministero gerarchico. La sinodalità ci offre la cornice interpretativa più adeguata a comprendere il “ministero gerarchico”. Dimensione sinodale e dimensione “gerarchica” della Chiesa non solo non si oppongono, ma si compongono come le due facce della stessa medaglia. Grazie alla sinodalità, nessuno all’interno della Chiesa può essere elevato al di sopra degli altri. Al contrario, proprio in virtù della sinodalità, nella Chiesa è necessario che qualcuno si abbassi per mettersi al servizio dei fratelli e delle sorelle lungo il cammino.[23] Il servizio dell’autorità va esercitato sempre in stile sinodale, rispettando il diritto proprio e le mediazioni che esso prevede, per evitare sia l’autoritarismo, sia i privilegi, sia il lasciar fare; favorendo un clima di ascolto, di rispetto per l’altro, di dialogo, di partecipazione e di condivisione.[24]
  8. Nella Chiesa sinodale le diversità non vanno cancellate. In una Chiesa sinodale le diversità vengono espresse e smussate fino a raggiungere un’armonia, che non richiede di cancellare i bemolle delle distinzioni. Così accade nella musica: con sette diverse note musicali, e i loro alti e bassi, si crea una sinfonia maggiore che riesce ad armonizzare le particolarità di ciascuna. Qui sta la sua bellezza: l’armonia che ne risulta può essere complessa, ricca e inattesa.[25]. Una Chiesa sempre più sinodale cammina unita nell’armonia delle diversità, in cui tutti, partecipando attivamente, hanno un loro apporto da dare.[26]
  9. Nella Chiesa sinodale parrocchie e diocesi clericali non dovrebbero esistere. La constatazione che oggi più del 60 per cento delle parrocchie non hanno il consiglio per gli affari economici e il consiglio pastorale induce a ritenere che quella parrocchia e quella diocesi è guidata con uno spirito clericale, soltanto dal prete, che non attua quella sinodalità parrocchiale, quella sinodalità diocesana, che non è una novità di papa Francesco.[27] Dispiace quando, in una parrocchia, l’unica cosa che fanno i fedeli è vedere quello che dice il parroco e quando il parroco smette di essere pastore per essere capo. Questo è puro clericalismo,[28] il corrispettivo della mancanza di sinodalità nella Chiesa.
  10. Vieni, Spirito Santo. Senza lo Spirito Santo non c’è sinodalità.[29] Lo Spirito fa nuove tutte le cose e ci libera dalla mondanità, dalle nostre chiusure, dai nostri schemi pastorali ripetitivi, dalla paura e dall’invecchiamento interiore. Lo Spirito, che abita in noi, ci rende coraggiosi per portare il Vangelo a tutti, in modo sempre nuovo. Noi cristiani non possiamo accontentarci di essere illuminati e infiammati dallo Spirito, arricchiti dei suoi doni, senza sentirci chiamati a comunicare questo fuoco, a testimoniare le meraviglie di Dio (At2,11) nella nostra vita, con la qualità dei nostri incontri, del nostro ascolto e del nostro amore fraterno.[30] E allora non ci resta che invocare con insistenza il dono dello Spirito: Vieni, Spirito Santo. Tu che susciti lingue nuove e metti sulle labbra parole di vita, preservaci dal diventare una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire. Vieni tra noi, perché nell’esperienza sinodale non ci lasciamo sopraffare dal disincanto, non annacquiamo la profezia, non finiamo per ridurre tutto a discussioni sterili. Vieni, Spirito Santo d’amore, apri i nostri cuori all’ascolto. Vieni, Spirito di santità, rinnova il santo Popolo fedele di Dio. Vieni, Spirito creatore, fai nuova la faccia della terra. Amen.[31]

 [1] È il titolo del capitolo primo dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Nell’enciclica Laudato si’ Francesco afferma di aver scritto l’esortazione apostolica Evangelii gaudium rivolgendosi «ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere» (LS n. 3).

[2] Francesco, Discorso per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015).

[3] Evangelii gaudium  n. 15.

[4] Francesco, Messaggio in occasione della Plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina (26 maggio 2022).

[5] Massimo Faggioli, Il cantiere aperto della sinodalità, Il Regno attualità n. 8/2019, pag. 245.

[6] Come scrive Nathalie Becquart nell’Introduzione del volume Camminare insieme – Parole e riflessioni sulla sinodalità, che contiene gran parte del magistero di Francesco sul tema della sinodalità (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2022).

[7] Francesco, Discorso per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015).

[8] Francesco, Discorso ai fedeli della diocesi di Roma (18 settembre 2021).

[9] Francesco, Discorso ai vescovi italiani (20 maggio 2019).

[10] Francesco, Saluto all’apertura dei lavori della 70ma Assemblea generale della Cei (22 maggio 2017).

[11] Francesco, Discorso ai partecipanti al convegno promosso dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita (18 febbraio 2023.

[12] Francesco, Discorso per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015).

[13] Ibid.

[14] Francesco, Momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale (9 ottobre 2021).

[15] Francesco, Discorso ai partecipanti della plenaria della Congregazione per la dottrina della fede (29 gennaio 2016).

[16] Francesco, Messaggio per la Quaresima 2023 (25 gennaio 2023).

[17] Christus vivit n. 206.

[18] Francesco, Omelia in occasione della celebrazione eucaristica per l’apertura del sinodo sulla sinodalità (10 ottobre 2021).

[19] Francesco, Discorso all’episcopato brasiliano (27 luglio 2013).

[20] Francesco, Discorso ai vescovi, sacerdoti, religiosi/se, seminaristi e catechisti tenuto a Bratislava (13 settembre 2021).

[21] Evangelii gaudium n. 236.

[22] Francesco, Messaggio in occasione della Plenaria della Pontificia commissione per l’America Latina (26 maggio 2022).

[23] Francesco, Discorso per commemorare il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015).

[24] Francesco, Discorso (consegnato) ai partecipanti all’Assemblea dell’Unione dei Superiori Generali-U.S.G. (26 novembre 2022).

[25] Papa Francesco in conversazione con Austen Ivereigh, Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, Piemme Editore, Milano 2020, pag. 93.

[26] Francesco, Messaggio per la 59ª giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (8 maggio 2022).

[27] Francesco, Discorso all’Unione Internazionale Superiore Generali (12 maggio 2016).

[28] Francesco, Videomessaggio al card. Mario Aurelio Poli, arcivescovo di Buenos Aires (27 ottobre 2018).

[29] Francesco, Discorso ai membri della Commissione teologica internazionale (29 novembre 2019).

[30] Francesco, Discorso ai partecipanti alle giornate pastorali delle comunità cattoliche francofone (14 ottobre 2022)

[31] Francesco, Momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale (9 ottobre 2021).

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