Davanti all’incessante acuirsi del fenomeno degli sbarchi, la destra al governo, che aveva aspramente criticato quello precedente per la sua incapacità di fermarli, si sta trovando in un’evidente difficoltà. Sta emergendo con chiarezza che il problema non era l’inettitudine (o addirittura della colpevole complicità) della Lamorgese, come Matteo Salvini aveva continuato a ripetere.
Tutta colpa degli «scafisti»?
Non dipendeva neppure dalle navi delle ONG – così spesso tirate in ballo come causa fondamentale delle partenze verso l’Italia (ma che in realtà operavano poco più dell’11% dei salvataggi) – , tant’è vero che la crisi più grave verificatasi sul fronte migratorio, quella del naufragio di Cutro, è esplosa proprio dopo che il nuovo «decreto sicurezza» ne aveva in buona parte neutralizzato l’attività.
È in questo contesto che le accuse si sono ormai polarizzate sul ruolo degli scafisti, sui quali sono state scaricate dal ministro Piantedosi e dalla stessa Meloni anche le colpe dell’ultima tragedia che ha così profondamente scosso l’opinione pubblica del nostro paese. Sono questi «trafficanti di carne umana» – si continua a ripetere –, non il governo, ad avere sulla coscienza le settanta vittime annegate nelle acque della Calabria.
Sarebbe dunque ora di finirla con «squallide polemiche» (come le ha definite Salvini), per lasciar lavorare in pace il governo che, come dimostra il consiglio dei ministri svoltosi proprio a Cutro, sta già efficacemente fronteggiando il problema con opportuni inasprimenti delle pene nei confronti degli scafisti.
Una versione tranquillizzante, che probabilmente convincerà buona parte degli italiani, ma che presenta qualche falla su cui è il caso di soffermarci.
Il naufragio di Cutro
La prima falla è relativa alla dinamica dei fatti nel naufragio di Cutro. Quali che siano le colpe degli «scafisti», esse non spiegano il comportamento dei soccorsi italiani.
La maggior parte degli osservatori concorda sul fatto che la vera domanda è perché mai incontro al barcone siano stati inviati due mezzi della Guardia di Finanza, del tutto inadeguati ad affrontare il mare grosso, nella logica di un’operazione di difesa delle frontiere, e non delle motovedette della Guardia costiera, giudicate «inaffondabili», nella prospettiva di un’operazione SAR di salvataggio.
La risposta del ministro e di tutto il governo, secondo cui la responsabilità è di Frontex, che non avrebbe segnalato lo stato di pericolo, è chiaramente insostenibile, perché le pessime condizioni del mare – confermate dal fatto che i mezzi della Guardia di Finanza avevano dovuto rientrare in porto – erano evidenti. E allora?
In ogni caso, sostenere che la colpa è degli scafisti, che peraltro hanno rischiato la vita come gli altri in questo naufragio, è solo un modo per cercare di distrarre l’attenzione della gente da quell’interrogativo, finora senza risposta, eludendo il vero problema, che proprio questa ostinata strategia diversiva fa sospettare sia politico.
Capire meglio chi sono gli «scafisti»
La seconda falla della versione che si limita a criminalizzare gli scafisti è la genericità della categoria «scafisti». Spesso sono stati individuati come tali coloro che, di fatto, si trovano al timone delle barche e dei gommoni che portano i migranti sulle nostre coste. La lotta contro questi soggetti è già in corso da diversi anni – dal 2013 ben 2.500 persone sono state arrestate su questa base –, ma con esiti praticamente nulli.
Nella migliore delle ipotesi, infatti, si colpiscono solo dei «pesci piccoli», semplici esecutori di ordini impartiti dai veri responsabili, che non si avventurano certo per mare guidando personalmente i viaggi che hanno organizzato.
Di più: c’è il grave rischio di punire col carcere persone che sono anche loro delle vittime, costrette dai «capi» a pilotare il gommone o la barca come condizione per lasciarli partire. Quando addirittura non si tratta di semplici passeggeri che hanno preso in mano la guida del mezzo solo occasionalmente, nel tentativo di non farlo naufragare. E, a volte, si tratta di ragazzi minorenni, come nel caso di uno di quelli arrestati all’indomani del naufragio di Cutro.
Alla base del «traffico di esseri umani» non sono certo queste persone, le uniche che la nostra giustizia riesce a raggiungere, bensì le organizzazioni criminali che operano nelle basi di partenza, in Libia o in Turchia. E a questi – spesso fortemente collusi con le autorità locali – la «stretta sugli scafisti» decisa dal governo non fa neppure il solletico. Saranno altri disgraziati a pagare con pene più dure, come hanno pagato colpe non loro (o comunque solo marginalmente loro) quelli che li hanno preceduti, con lo stesso risultato ottenuto finora.
Gli scafisti ci sono perché ci sono i migranti
Ma è la terza falla del teorema che indica nella «lotta agli scafisti» la soluzione del problema delle migrazioni a risultare la più grave. Basta riflettere un poco per rendersi conto che non sono gli scafisti a creare le migrazioni dei clandestini, ma le migrazioni dei clandestini a creare gli scafisti.
Questi ultimi non fanno altro che approfittare cinicamente della disperazione di uomini e donne che non hanno altro mezzo per fuggire da situazioni drammatiche se non affidarsi a dei delinquenti, che però promettono loro di farli arrivare – sia pure a rischio della vita – in un posto come l’Italia, dove staranno sicuramente meglio che in patria.
Checché ne pensi il ministro Piantedosi, nessun senso di responsabilità personale può dissuadere dalla fuga da paesi come l’Afghanistan o la Siria o la Libia dove, al di là dell’aspetto strettamente economico, i diritti sono sistematicamente calpestati e non c’è futuro. «Riscattare» questi paesi dall’interno è molto al di là delle possibilità dei loro abitanti.
Ma, in tempi brevi, appare impossibile anche un serio aiuto dall’esterno. Lo slogan, così spesso ripetuto, «aiutiamoli a casa loro», è solo un alibi vuoto di contenuto quando si tratta di regimi politici fanatici o in crisi profonda. Perciò, non si può stigmatizzare chi cerca in tutti i modi di andare via per salvare se stesso e dare una speranza ai propri figli.
L’alternativa agli scafisti è quella che i nostri governi stanno perseguendo da anni – già a partire da quello Gentiloni –, facendo degli accordi che blocchino i migranti con la forza prima della loro partenza. È la linea della Meloni, che ha appena rinnovato un accordo del genere col governo libico fornendo cinque motovedette alla sua Guardia costiera a questo scopo.
Il risultato è stata la nascita di centri di detenzione che sono dei veri e propri campi di concentramento e che tutti gli organismi internazionali (ONU, Consiglio d’Europa) denunziano per la loro invivibilità.
A parte il fatto che il sistema non funziona, perché le organizzazioni criminali in realtà hanno sempre continuato a gestire le partenze (sembra con la complicità della stessa Guardia costiera libica), ma davvero sarebbe auspicabile, da parte di chi si appella all’etica per condannare i disumani «viaggi della morte», neutralizzare gli scafisti costringendo uomini, donne, bambini in queste condizioni altrettanto disumane?
Ci sarebbe un modo – uno solo – di eliminare il problema. Basterebbe rendere legale l’arrivo in Italia e in Europa. Perché mai persone, come i poveri naufraghi di Cutro, disposte a pagare 8.000 euro per viaggiare stipate nella stiva di un barcone fatiscente, rischiando la vita, non hanno scelto la via molto più economica, agevole e sicura di un normale viaggio in aereo? Per il semplice motivo che la nostra legislazione impedisce loro di trasferirsi nel nostro paese legalmente.
Da qui la necessità di arrivarci clandestinamente con l’aiuto di organizzazioni criminali. Diventando addirittura, a propria volta, dei criminali, dopo che il governo Berlusconi nel 2009 ha introdotto il reato di ingresso e soggiorno illegale.
Insomma, gli scafisti sono dei mostri, ma a creare questi mostri siamo noi.
Uno scontro tra ricchi e poveri
Il nostro governo continua ad insistere che questa situazione potrà risolversi solo con la collaborazione dell’UE. Non certo per «bonificare» l’Afghanistan o la Siria o la Libia, aiutando la gente a vivere meglio. Questo supera di gran lunga le possibilità dei governi europei, che non ci provano neppure. La collaborazione internazionale dovrebbe servire, piuttosto, a rafforzare la «difesa delle frontiere» che la destra si propone da sempre. E in questo effettivamente l’Europa, ultimamente, sembra intenzionata a dare una mano all’Italia, anzi a sposarne la linea.
In una lettera inviata alla fine di gennaio a tutti i capi di Stato e di governo dell’UE, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è sembrata intenzionata a imprimere una svolta in questo senso, virando verso la strada dell’intransigenza. La numero uno dell’Esecutivo europeo apre sostanzialmente alla possibilità di utilizzare i fondi del bilancio dell’Unione per costruire barriere e muri anti migranti. Un cambiamento di rotta, visto che, poco più di un anno fa, la stessa Bruxelles aveva escluso questa possibilità.
Già adesso in Ungheria esiste un muro di filo spinato alto quattro metri, voluto da Viktor Orban nel 2015, che si estende per 175 chilometri al confine con la Serbia. L’esempio è stato presto seguito anche da Slovenia, Austria e Macedonia. Successivamente, anche la Bulgaria ha predisposto quasi 176 chilometri di recinzione di filo spinato lungo il confine con la Turchia.
La von der Leyen propone anche di potenziare il sostegno a Tunisia, Egitto e Libia, fornendo a questi Stati più motovedette per monitorare le acque territoriali e riportare a terra i profughi intercettati.
L’alternativa alle organizzazioni che controllano i flussi migratori, insomma, sono sul fronte marittimo i campi di concentramento, sulla terraferma i muri.
Il mantra della «stretta sugli scafisti» serve a nascondere questo movimento di chiusura delle società del benessere nei confronti di quelle della miseria e della disperazione. La previsione di Samuel Huntington, nel 1996, secondo cui il futuro sarebbe stato caratterizzato da uno «scontro delle civiltà», che avrebbe coinvolto le grandi identità culturali e religiose (prime fra tutte quella cristiana e quella islamica), si sta rivelando infondata.
Il vero scontro, ormai, è tra i ricchi e i poveri del pianeta. Molti dei migranti respinti alle nostre frontiere sono cristiani come i cattolici del bergamasco che votano Lega. Non è un problema di religione, ma di difesa del proprio sistema di vita, che si crede minacciato da questi «nuovi barbari».
È in questa prospettiva più ampia che va visto anche il problema degli scafisti. Certo, esecrare il cinismo spietato di questi criminali è più che giusto. Ma puntare l’attenzione esclusivamente su di essi fa tornare alla memoria la storia di quell’uomo che, quando gli si indicò la luna, si limitò a guardare il dito che gliela indicava.
- Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 10 marzo 2023.
Il problema dei migranti e’ completamente frainteso: non si tratta solo del passaggio in mare ,ma della sorte delle persone arrivate . L’ esperienza di chiunque dice che queste persone una volta sbarcate sono lasciate a loro stesse: nessuna integrazione, gruppi di sbandati per le strade, altri schiavizzati a basso costo. Certo gli scafisti sono “parte ” del problema in quanto lucrano sulla pelle dei migranti. Ma che dire di chi lucra sulla pelle dei migranti qui in Italia? Che dire delle varie coop , anche sedicenti cattoliche, che fanno affari ” business” coi migranti , come disse un famoso mafioso per cui i migranti erano una manna meglio della droga Se facessimo barcare tutti ,chi poi se ne occuperebbe DISINTERESSATAMENTE ? Le anime belle cattocomuniste hanno a cuore solo gli sbarchi. Poi che per esempio dei minori sbarcati si perdano le tracce perla maggioranza dei casi non sembra allarmare nessuno .
La pregherei di non fare generalizzazioni offensive. Mio fratello lavora molto seriamente in una casa che accoglie minorenni arrivati suo barconi senza genitori. È un lavoro difficile e che creerà cittadini italiani integrati attraverso un percorso scolastico per porta ad un lavoro serio. Rispettiamo le persone che lavorano seriamente invece di sparare sul sistema che aiuta l’integrazione.
Lei abita a Milano ? E’ mai passato accanto alla Stazione Centrale? Non ha mai visto immigrati di ogni tipo vagare e consolare per la città completamente persi e smarriti, ha mai visto dove dormono, in 20 in una stanza, sa che la malavita organizzata lì sfrutta come schiavi? E questa la chiama accoglienza? Non si ricorda di Buzzi di Mafia Capitale che disse che con i migranti ci facevano affari d’ oro meglio che con la droga? Non sa della vicenda e della condanna della moglie di Suhamoto, deputato OD, che teneva gli immigranti in condizioni subumane mentre accumulava per sé un tesoretto? Tutte questi fatti non fanno aprire gli occhi? Allora continui a vivere in un mondo di illusioni dove basta dire “inclusione” per averla magicamente realizzata.
Le migrazioni sono fenomeni storici di enorme portata. Impossibili da “risolvere”. Ma questo non può esimere gli stati europei e L’UE dal predisporre una politica tesa alla gestione ordinata dei flussi. In tale politica devono entrare i corridoi umanitari, una previsione di migrazione economica e di ricongiungimento parentale sensata, piani di accoglienza ed integrazione ben finanziati ed implementati. Ma a tali misure vanno aggiunte anche quelle repressive contro l’immigrazione clandestina ed i trafficanti di uomini e quelle della cooperazione allo sviluppo soprattutto nel Magreb e nell’Africa sub-sahariana. Quanto al soccorso in mare, si tratta di qualcosa di doveroso e non condizionabile a nulla. ONG e stati dovrebbero essere concordi e razionali nella sua gestione. Vale a dire che in una situazione come quella che vive il Mediterraneo non basta più appellarsi al diritto Internazionale circa il “più vicino porto sicuro”. Occorre piuttosto un equa ripartizione dell’onere economico ed organizzativo dell’accoglienza come del salvataggio.
Su Cutro lascerei fare alla Magistratura. Fin troppi si sono prodotti in analisi poco più che giornalistiche sul tema. Occorre una ricostruzione seria ed approfondita dei fatti. Solo così potremo capire chi porta sulla coscienza quei morti: se qualche funzionario, il governo in carica da solo o in concorso con quelli precedenti (ad eccezione di quello Letta che – sempre dopo una tragedia – istituì Mare Nostrum).
Per fortuna la magistratura ha aperyo un’ inchiesta che rispondera’ agli interrogativi sollevati dall’ articolista e scopriremo se le risposte che si e’ dato sono quelle giuste.
Visto che la barca era partita da Smirne ci sarebbero altre domande da farsi.
Certo e’ che le navi famose delle ONG, che hanno la missione di ricerca e salvataggio in mare, sono sparite dai media e forse anche dal mare ,anche dal Mediterraneo , nelle ultime settimane. Come giustificano gli aiuti in moneta che ricevono , se non fanno quello per cui sono state costituite ed aiutate?