Il 16 marzo scorso è morto a Trieste lo psichiatra Franco Rotelli. Il collega Luigi Benevelli ne ricorda la figura col seguente contributo. Rotelli è autore dei fondamentali volumi: Per la normalità. Taccuino di uno psichiatra, ed. Asterios, 1999; Quale psichiatria? Taccuino e lezioni, Edizioni alpha beta, Verlag, Merano,2021.
Franco Rotelli è lo psichiatra che ha raccolto il testimone di Franco Basaglia alla guida del nuovo lavoro della Salute Mentale, facendo della città giuliana una città che cura, cioè un’esperienza di riferimento a livello internazionale.
A Trieste, Rotelli creò i Centri di Salute Mentale aperti e operativi 24 ore su 24, tutti i giorni della settimana, dando vita alle prime esperienze di “impresa sociale” che hanno posto al centro delle attività non l’oggetto malattia, bensì il soggetto umano sofferente: uno ad uno, ciascuno con le sue difficoltà di vita quotidiana, ma anche con i suoi sogni e abilità, le sue risorse, la sua famiglia e le sue relazioni sociali, lottando contro ogni pregiudizio.
Ho avuto la ricchezza di conoscere personalmente Franco nell’immediato post-sessantotto, a Castiglione delle Stiviere, agli esordi del suo lavoro di medico psichiatra assegnato ad una sezione maschile del locale manicomio criminale, “ospitante” pericolosi assassini, mafiosi, stupratori, truffatori, rei folli.
Ricordo che Franco rimaneva ore, a lungo, nel suo reparto. Non se ne andava via la mattina, subito dopo una frettolosa visita, come era di prassi da parte dei molti colleghi anziani: quelli se ne stavano un po’ nello stanzino del capo-reparto per apprendere le “novità” della notte e della giornata e facevano magari un veloce giro nel soggiorno dei pazienti-detenuti, ben scortati da robusti infermieri.
Ricordo che le regole prescrivevano che i “malati” non potessero avvicinarsi al dottore; al massimo potevano “chiedere visita”, ossia un incontro che di solito si risolveva in una relazione sui sintomi, sul loro andamento e sulle “cure” da seguire; il tutto sempre alla presenza del personale di custodia.
La lacerazione radicale delle regole della quotidianità manicomiale avvenne quando, in orario di servizio, Franco prese la decisione di fermarsi a mangiare nel suo reparto, seduto a tavola con gli internati, col loro stesso menù: molti infermieri, imbarazzati, senza ordini, non sapevano più dove stare, cosa fare, come muoversi, perché, per disciplina e per rispetto, non potevano contestare o rifiutare i metodi del medico, mentre erano tenuti a proteggerlo dal contatto fisico con persone ritenute “naturalmente” violente.
Primari e colleghi, con molti infermieri, inorridirono di fronte ad un comportamento che metteva repentinamente in discussione prassi di lavoro, stereotipi, modi di rapportarsi con gli internati consolidati “da sempre”. Franco si era messo a trattare questi pazienti, finalmente, come persone umane, con cui si poteva sedere a mangiare, parlare, ragionare dei modi di migliorare la qualità della vita quotidiana, anche là dentro. Era dura. Eppure, accadde.
Franco Rotelli non ha portato proclami, ma gesti semplici di cordialità, alla portata e nella disponibilità di tutti – operatori e pazienti – anche di chi non aveva avuto la fortuna di ricevere educazione e cultura. Per tutta la vita non ha mai smesso di lavorare, con coerenza, per il riscatto e la dignità delle persone “segnate” da così tristi sorti di vita: con coraggio, severità, determinazione, lucida intelligenza, generosità.
Quelle scene – colte un tempo nell’Ospedale Psichiatrico di Castiglione – sono rimaste impresse nei miei occhi per tutta la durata della mia carriera professionale, insieme allo stile personale dell’uomo Franco Rotelli.