Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno cambiato i nostri stili di vita: la dimensione onlife descrive una condizione umana in cui i confini della realtà sono dilatati dagli spazi informazionali della rete.
La nostra autonomia tecnologica, però, è l’altra faccia di una dipendenza. Siamo diventati consumatori e produttori di immagini e di informazioni, accomunati, d’altra parte, dal destino di essere, tutti quanti, oggetto di una quotidiana classificazione, che monitora ogni nostra pur minima attività, trasformandoci in una invisibile merce di scambio, che alimenta il processo economico che ci fa godere della presunta gratuità della rete.
Il pericolo dell’altrove
Su questi temi è intervenuto a Padova Adriano Pessina (ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) nella prolusione “Intelligenza artificiale e condizione umana. Questioni aperte”, che ha tenuto al Dies academicus con il quale, l’8 marzo 2023, la Facoltà teologica del Triveneto ha inaugurato il diciottesimo anno di attività.
«Ogni delega tecnologica – ha affermato – è una delega a qualcuno che si trova altrove e segna una nuova forma di sottile e pervasiva eteronomia».
Il dibattito sulle fake news e sulla post-verità «ci ha fatto capire di essere molto più creduli di quanto avremmo immaginato nell’epoca della pretesa emancipazione culturale da ogni forma di autorità e potere».
L’altrove, appunto, è stato il filo conduttore del ragionamento: «La nostra esperienza umana è sempre più condizionata dall’irrompere nella nostra vita di ciò che è altrove. La continua presenza di ciò che è assente è, oramai, la cifra della silenziosa trasformazione del nostro vivere».
Il tempo della pandemia è stato un acceleratore delle nuove pratiche tecnologiche: i social e le piattaforme come Zoom o Teams hanno permesso di superare le barriere spazio-temporali; il Metaverso ora segna la stagione della simulazione sensoriale, visiva, uditiva e in parte tattile in un ambiente virtuale tridimensionale.
Questa nuova presenza di ciò che è altrove, ma che condiziona la nostra storia personale, configura quel “luogo improprio” che è l’ambiente digitale: «Un luogo in cui apparire e far apparire, governato da software che espongono e ci espongono, in una sequenza senza tempo di rappresentazioni, immagini e suoni, in cui tutto è reversibile».
Il mondo informazionale
È importante capire non soltanto che cosa noi facciamo con le nuove tecnologie, ma che cosa esse fanno di noi.
Pessina ha citato Luciano Floridi, secondo cui l’onlife sta si fatto profilando una nuova concezione dell’umano, sintetizzata nel neologismo Inforg, che fonde le parole informazione e organismo. «Non si tratta, come viene teorizzato da post e transumanisti, – ha spiegato Pessina – di modificare il corpo umano, ma di iniziare a pensare l’uomo come un “ente informazionale” che – come tale – agisce, opera e si sviluppa, attraverso il mondo informazionale che egli stesso sta generando con l’intelligenza artificiale. La rete, in questo senso, dovrebbe diventare un nuovo spazio da abitare, in cui imparare a crescere, sviluppare e coltivare la propria umanità».
Una prospettiva antropologica che sembra trovare eco anche in tutti i vari progetti di umanizzazione della rete. In fondo – si pensa – un Inforg nella rete è, per così dire, a casa propria. «Se ci accetta questa prospettiva, come cambierà, allora, il nostro rapporto con i luoghi e i tempi della vita empirica? Come si trasformeranno le relazioni umane sostituite dalle connessioni tecnologiche? Non sono domande alle quali si possa rispondere, a mio avviso, in modo univoco – ha sostenuto Pessina –, ma restano domande decisive».
Nell’ultima parte della prolusione, il docente della Cattolica ha proposto una digressione teologico-filosofica che, accogliendo e sviluppando le proposte di Floridi, è giunta ad affermare che ciò che si sta oggi profilando, o meglio consolidando, è una nuova era storica, che Pessina definisce della disincarnazione dell’esperienza umana.
«Sotto certi aspetti – ha detto – l’intelligenza artificiale sembra costituire la rivincita del platonismo, di quella concezione antropologica cioè che considera il corpo come prigione di un’anima che aspira a essere altrove ed è, in fondo, insoddisfatta del luogo in cui si trova».
Le nuove tecnologie sono forse l’esempio più evidente del trascendimento dei limiti spazio-temporali; nell’infosfera siamo di fronte a un uomo disincarnato che ha superato la soglia del luogo e del tempo per esprimere sé stesso nello spazio del digitale, in compagnia di un’ipotetica intelligenza artificiale.
Non c’è esperienza umana senza carne
La storia dell’Occidente, però, è segnata da uno spartiacque: il prima e il dopo la nascita di Cristo, che, di fatto, ha misurato tutta la storia dell’umanità. «Lo spartiacque storico è anche uno spartiacque filosofico – ha affermato Pessina –, perché segna, teoricamente più che praticamente, la fine di quell’impero platonico che diffidava della carne, considerata prigione di un’anima spirituale che ambiva a ben altra collocazione».
E di lì, in seguito, a cascata, cambia per sempre la considerazione dell’essere umano, «non più solo creatura ma egli stesso “figlio” del Dio che ora poteva essere chiamato Padre. E la carne malata cessava di essere maledizione e colpa, per diventare luogo dell’amore, della cura, della partecipazione, della presenza di Dio».
E persino l’altrove della vita, che Platone sognava come luogo dell’anima, si apre alla resurrezione dei corpi, a indicare un’unitarietà dell’umano che permetteva di pensare lo spirito come forma stessa della corporeità individuale. «Se la storia dell’Occidente può essere letta lungo questi crinali, l’affermazione della Presenza della Trascendenza nella storia, che è tesi propria dell’Incarnazione, si offre, però, come riconciliazione tra immanenza e trascendenza, cambiando radicalmente la prospettiva: il senso ultimo dell’esistere e dell’essere non è altrove e il qui e ora non è la prigione storica dell’umano».
Il nesso con il digitale «sta nel fatto che l’epoca contemporanea reintroduce, senza grande clamore e senza alcuna pretesa filosofica, un’immagine disincarnata dell’umano e della sua esperienza esistenziale».
Per privare di significato lo spirito, è sufficiente trasformare l’uomo in una generica macchina informazionale che si connette e si relaziona con tutto senza implicare lo scoglio della sostanza individuale, della soggettività personale. «In fondo, oggi, essere cultori della differenza ontologica dell’uomo, della sua eccedenza spirituale, della sua differenza con ogni macchina, richiede di rivendicare il valore della corporeità, perché l’unicum dell’individuo non sussiste senza carne. Ed è dentro la carne, infatti, che generiamo ed è dentro un grembo carnale che prendiamo forma».
Non c’è esperienza umana senza carne: nessun vivente può abitare uno spazio digitale.
«Questa digressione, ovviamente, non legittima alcuna condanna teologica o filosofica della tecnologia, ma impone un ridimensionamento delle sue promesse e delle sue funzioni. Cercare nella rete ciò che non possiamo trovare nella realtà e viceversa, modulare la realtà in funzione della rete e delle nuove tecnologie – ha concluso –, comporta decisamente una perdita di realismo. Ma anche una perdita di carne e di incanto, e forse, di umanità».