Gli abusi e la Chiesa cattolica

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Don Francesco Strazzari, redattore di SettimanaNews, ha coordinato la pubblicazione del testo “Il dolore della Chiesa di fronte agli abusi” firmato dal vescovo emerito di Nanterre, Gérard Daucourt, dal padre canossiano Amedeo Cencini, psicologo e psicoterapeuta, e dal teologo spagnolo Andrés Torres Queiruga. Se ne ricava una netta presa di coscienza ecclesiale sulla gravità del fenomeno accanto a prospettive concrete per sanare le ferite. Del testo riportiamo integralmente la Prefazione del cardinale Segretario di stato, Pietro Parolin.

Nel linguaggio biblico, con la parola cuore ci si riferisce alla persona nella sua totalità e non soltanto alla sede dei sentimenti e degli affetti. Il cuore è il luogo da dove scaturiscono pensieri, propositi, passioni e progetti, quello spazio di terra sacra della responsabilità, della libertà, la sede delle scelte da compiere; con il cuore non soltanto si ama, ma si pensa, si ascolta e ci si relaziona.

Senza mezzi termini, Gesù spiega che il male e il bene hanno origine proprio nel cuore: «Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7,21-22); come pure proclama beato chi ha un cuore puro, capace cioè di riservare a Dio il primo posto (cf. Mt 5,8), mentre rimprovera chi lo ha invece indurito chiudendosi al suo amore.

Ben sappiamo quanto sia indifeso il cuore di un bambino, facilmente influenzabile da ciò che sente, vede o riceve. Quando infatti Gesù pronuncia il discorso sullo scandalo, ha tra le sue braccia un bambino. Ma l’episodio riferito da Matteo ha una premessa: la domanda sul potere dei discepoli. «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?».

Allora Gesù assume a modello un bambino: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me».

Il bambino come modello di autenticità, semplicità, trasparenza della fede stessa. Di qui discende la condanna: «Chi, invece, scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo!». E conclude: «Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,6-10).

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Di fronte al dolore procurato da comportamenti cha appaiono folli, drammatici, oltre qualunque possibile spiegazione e, perfino, qualsiasi capacità di compassione, l’essere umano ha bisogno di trovare “una” causa. Più essa è chiara e circoscritta, più sembra lenire la rabbia e lo sconcerto che quell’evento ha prodotto.

Tuttavia le vicende umane si sottraggono alla spiegazione univoca e lineare: tanto è complesso l’essere umano, tra bene e male, tra risorse e limiti, altrettanto sono inevitabilmente complesse le motivazioni che muovono il suo cuore e talvolta i suoi gesti. L’abuso sui minori è tra quelle situazioni insostenibili da accettare, ancor più quando a commettere il crimine è una persona che ha fatto del servizio di Dio e del suo popolo una missione di vita. È troppo!

Urge porvi rimedio. Su questo intervengono i temi che in questi anni la Chiesa ha posto con forza: dalla fine dell’omertà, alla trasparenza, alla formazione, alla direzione spirituale, all’accoglienza e all’ascolto delle vittime.

Poi rimane aperto l’interrogativo ultimo di come dare un senso alla sofferenza degli innocenti. Domanda che non ha risposta al di fuori della fede. Solo se Dio è nelle vittime possiamo intravedere un senso, altrimenti siamo nell’angoscia. Nello specifico, in questi anni si è cominciato a porre la questione di quale sia la causa: «è colpa del celibato!»; «se la Chiesa fosse più attenta a non accogliere omosessuali!»; «se vi fosse meno clericalismo!». E, infine, ci si è chiesti che fine deve fare la persona del colpevole.

Molto spesso le dure parole di Gesù su chi scandalizza i “piccoli” vengono utilizzate per condannare i pedofili e addirittura per giustificarne la condanna a morte. Come può Gesù arrivare a tanto? Proprio Lui che indica la via della perfezione nell’amore per i nemici e nell’offerta del perdono settanta volte sette, cioè sempre!

L’immagine del legare al collo la pesante macina è sì un segno della durissima condanna di chi scandalizza, un segno spesso riutilizzato per altri giudizi su colpe gravissime, ma non è il fondamento biblico né del suicidio del peccatore né della pena capitale da riservare ai profanatori dell’innocenza dei piccoli.

Gesù sembra ricorrere a un’immagine terribile per far comprendere la gravità della colpa di chi scandalizza il fratello dalla fede fragile, e utilizzando un linguaggio simbolico e vigoroso per ricordare il severo giudizio divino riguardo a quel peccato.

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Il vescovo Mons. Daucourt accoglie queste convinzioni comuni e, da pastore consapevole delle gravi negligenze della Chiesa, oggi più che mai vicina sia a chi ha vissuto il tradimento della fiducia riposta in un ministro di Dio, sia a chi ha fatto del male e non può essere lasciato solo, condivide la sua esperienza, in ascolto delle scienze umane.

Un atteggiamento fondamentale, quello di non accontentarsi del sentito dire o di letture semplicistiche, rimanendo invece aperti alle ricerche e agli studi sul tema dell’abuso, che riguarda tanto l’ambito familiare quanto quello sportivo e delle organizzazioni religiose. Celibato/abuso, omosessualità/abuso, attenzione ai riduzionismi pericolosi e del tutto arbitrari!

La pratica della Chiesa latina, che chiede ai suoi ministri l’impegno del celibato e, di conseguenza, la continenza sessuale, risale a due Concili significativi: il Concilio di Elvira nel IV secolo e il Concilio Lateranense IV nel 1215, e da allora tale norma è rimasta una costante per i sacerdoti della Chiesa cattolica latina. Il problema degli abusi sui minori, invece, ha avuto un andamento discontinuo, in termini numerici di crescita e decrescita nel corso degli anni. È evidente, quindi, che il collegamento causa-effetto tra l’una e l’altro sia indebito, e ha poco senso mettere in discussione il celibato in sé, sulla base delle sue derive.

Vanno presi in considerazione piuttosto – per l’incidenza di rilievo sul fenomeno abuso – i programmi formativi di seminari e istituti religiosi che solo negli ultimi decenni hanno posto una seria attenzione alla maturità umana e psicoaffettiva dei candidati e alla qualità delle relazioni fraterne, prima decisamente in ombra rispetto alla formazione accademica e spirituale. Diventa più chiaro, allora, come la piaga dell’abuso, dentro e fuori la Chiesa, sia collegata piuttosto a personalità disarmoniche, gravemente deficitarie sul piano emotivo e di capacità relazionale.

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Non solo. Nonostante tale acquisizione, in una certa gamma di test psicodiagnostici i preti abusanti, quanto a caratteristiche individuali esterne o più superficiali, non differiscono in modo significativo da quelli non abusanti, né manifestano più patologie rispetto al gruppo di controllo, dato che suona sconcertante rispetto al nostro bisogno di trovare delle evidenze chiare e univoche. In altre parole: non sono immediatamente riconoscibili, a conferma che le generalizzazioni grossolane sono del tutto inadeguate a “spiegare” il dramma dell’abuso sui minori.

Occorrono, quindi, un’analisi più approfondita e test di tipo proiettivo per intercettare eventuali problemi psicologici che rappresentano i fattori predisponenti all’abuso, o, parafrasando Mons. Daucourt, le sbarre della prigione, in cui la maturazione affettiva dell’individuo, laico o presbitero, è rimasta bloccata.

La maturità umana: è proprio questo l’aspetto centrale, seppur non esclusivo, da prendere oggi in seria considerazione nella valutazione di chi è in cammino vocazionale, nei seminari e nelle comunità religiose, e non solo nella fase iniziale del percorso, ma per tutta la vita ministeriale e apostolica. Lo sguardo sulla persona deve essere globale, capace di valutare il suo funzionamento attuale, e come siano state vissute e integrate (o meno) eventuali situazioni drammatiche che hanno segnato l’infanzia e l’adolescenza: violenze fisiche e verbali, abbandoni, ambienti conflittuali.

Ogni parcellizzazione della persona a un solo dato della sua storia o della sua personalità rappresenta una pesante e ingiusta condanna a priori sulla maturità e sulla capacità di amare in modo autentico, fedele e libero, secondo la propria specifica vocazione.

In questa logica di rispetto della complessità dell’essere umano, in cui ogni dimensione di sé va letta nell’insieme di un tutto più ampio, anche l’orientamento omosessuale non può essere considerato né causa, né aspetto tipico dell’abusante, ancor più quando è sganciato dall’assetto generale della persona. Un’associazione grave e scientificamente insostenibile quella che collega il sexual offender alla sua omosessualità, a priori, e senza una valutazione soggettiva.

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La Chiesa, oggi, finalmente, intende promuovere questo clima di attenzione alla persona e alla formazione umana come prevenzione degli abusi da parte di ministri ordinati, perché «ora non possiamo più dire non lo so», riconosce Mons. Daucourt.

È unanimemente condiviso, infatti, che nel nostro tempo, quanto mai complesso e articolato, non si possono improvvisare i ruoli di superiore o formatore. Certo la loro preparazione non costituisce garanzia assoluta di un andamento sereno del futuro presbitero, ma è ineludibile l’esigenza che gli educatori abbiano gli strumenti necessari per assumere un ruolo tanto delicato e di grande responsabilità, personale ed ecclesiale.

Non basta, però, neppure questo. È necessario ripensare con coraggio e chiarezza anche l’accompagnamento post-formazione: la solitudine e un eccesso di lavoro troppo spesso minano la serenità e l’equilibrio psicologico ed emotivo dei presbiteri, rendendo urgente una riflessione sul dopo-seminario, sui cambiamenti antropologici e sull’ambiente in cui il ministro si inserisce.

In questa linea di integrazione spirituale e umana, verso un accompagnamento vocazionale sempre più accurato, si può leggere il prezioso contributo del Padre Amedeo Cencini, con una lunga esperienza da psicologo e formatore di quanti sono avviati nel cammino presbiterale.

Nel dossier, l’attenzione dell’Autore, in consonanza e grande apprezzamento del contributo di Mons. Daucourt – pur da prospettive e con focus diversi – si rivolge alla «preistoria» dell’evento, e all’ambiente che ha contribuito alla genesi del dramma, ma che è anche lo spazio del dolore inferto alla Chiesa tutta e alle sue vittime.

Una riflessione articolata e competente, che non risparmia di evidenziare le contraddizioni in cui la Chiesa in passato è caduta e può ancora cadere, insieme alla sua volontà onesta di aprire gli occhi. Il cambio di rotta, però, deve concretizzarsi in un impegno effettivo e costruttivo per comprendere fino in fondo il fenomeno abuso ed eliminare le condizioni che lo favoriscono.

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Il tema della responsabilità della Chiesa, pertanto, diventa centrale, e Mons. Daucourt rappresenta una delle poche voci – annota Padre Cencini – che cerca di offrire risposte concrete (come La Piccola Betania) per non abbandonare a loro stessi quanti commettono il crimine, «dei quali essa resta madre».

Da questa attenzione del Vescovo verso l’abusatore e da una lettura sistemica che riconosce la complessità del fenomeno, nasce la proposta di «quasi un decalogo» – come lo definisce il formatore e psicologo – di atteggiamenti ottimali che dovrebbero mettere in atto tanto la Chiesa quanto le singole comunità per prevenire e/o affrontare il male. Si parte dal riconoscimento e denuncia dell’abuso, all’identificazione delle radici e delle conseguenze del dramma, e si giunge fino all’attenzione alla vittima e alla vigilanza sull’abusatore, attraverso la formazione iniziale e permanente di seminaristi e presbiteri.

Il Sussidio del Servizio Nazionale per la tutela dei Minori e Persone vulnerabili, richiamato dal Padre Cencini, riguarda proprio tutta la problematica in questione. L’apprezzamento per il contributo e l’opera di Mons. Daucourt, quindi, non è solo per il coraggio e la chiarezza di parlare apertamente della assai dolorosa e sconcertante vicenda dell’abuso da parte dei presbiteri della Chiesa cattolica, ma anche per la capacità di manifestare «il cuore di Dio e il coraggio d’un Pastore che non cessa di cercare e curare le sue pecore smarrite, forse quelle più smarrite».

Abbiamo tutti bisogno di questa prospettiva umana e misericordiosa, perché troppo spesso ci si limita a riconoscere la colpa e a punire il colpevole, ma si perde di vista lo stile compassionevole di Gesù, come ci ricordano le parole dell’Amoris laetitia che Mons. Daucourt riprende, per cui «nessuno può essere condannato per sempre perché non è la logica del Vangelo» (n. 297). Chi ha sbagliato, chi ha perso la strada, chi ha compiuto del male non può essere abbandonato a sé stesso; è la possibilità che una storia ferita possa trovare accoglienza oltre la disperazione, e chi ha sbagliato possa «avanzare su un cammino di pace e di guarigione» a dare speranza.

Da Gesù, che tiene in braccio un bambino e pronuncia severe parole in sua difesa, possiamo e dobbiamo imparare la tenerezza e la responsabilità nei confronti dei piccoli, a tenere come Lui stretta tra le braccia la debolezza di tutti, quella fragilità che richiede custodia amorosa e cura attenta, ma anche una continua e profonda conversione, affinché, come ricorda Papa Francesco, la santità personale e l’impegno morale aiutino a promuovere la credibilità dell’annuncio evangelico e a rinnovare la missione educativa della Chiesa (cf. Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» del Sommo Pontefice Francesco sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili, 26 marzo 2019).

  • G. DAUCOURT – A. CENCINI – A. TORRES QUEIRUGA, Il dolore della Chiesa di fronte agli abusi. Prefazione del card. P. PAROLIN, Pazzini Editore, Villa Verucchio (Rimini) 2023, pp. 120, € 13,00, ISBN: 9788862474426.
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