Con la nuova legislatura a conduzione della destra italiana è stato rivitalizzato tutto l’arsenale minatorio già sperimentato nei precedenti decreti sicurezza di salviniana memoria nel corso del primo governo gialloverde guidato dal pentastellato Conte. Allora, accanto al ministro Salvini, operava il vicepresidente del Consiglio dei ministri Luigi Di Maio.
Fu Di Maio a denominare le navi delle ONG che operavano in zona di soccorso marino «taxi del mare», ventilando la complicità tra gli equipaggi impegnati nel salvataggio di naufraghi e natanti in difficoltà e i trafficanti attivi in Libia. Il processo di delegittimazione – legale e morale – di chi si impegna a salvare vite umane è continuato: i primi mesi del 2023 mostrano una recrudescenza ideologica senza precedenti.
Il governo Meloni: il decreto e i migranti
Il sistema operativo adottato dai primi giorni di gennaio con la legge 15/2023 dal titolo Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori, ha tutte le caratteristiche di “instant law”, ossia uno strumento legislativo ad uso e consumo momentaneo, a prescindere da valutazioni di impatto, sia nazionale che internazionale, oltre che di etica e umanità.
Un decreto-legge “schiaffo” per le ONG, colpevoli di anteporre la vita delle persone in difficoltà ai vaneggiamenti securitari o di difesa dei confini nazionali. Al momento non abbiamo eserciti offensivi alle porte. Chi attraversa i confini europei – con alto rischio e pericolo – non porta con sé armi, ma cerca pane e dignità.
La legge, consistente in un solo articolo, introduce procedure palesemente irrazionali. All’art. 1 comma 2bis reca una serie di adempimenti che rendono l’operatività delle navi di salvataggio sempre più complessa e appesantita burocraticamente, nell’intento di rallentare o impedirne l’attività.
La norma obbliga a tenere a bordo, oltre a tutta la documentazione inerente i sistemi di sicurezza e di impatto ambientale, anche le certificazioni delle competenze del personale; prevede poi l’obbligo di raccogliere eventuali richieste di protezione internazionale dei migranti da consegnare alle autorità: in altre parole chiede la sostituzione di competenze istituzionali.
Come più noto, la legge stabilisce l’obbligo della nave di soccorso delle ONG di chiedere immediatamente, a salvataggio completato, l’assegnazione del porto di sbarco: tale approdo deve essere raggiunto immediatamente senza svolgere altre operazioni aggiuntive di salvataggio; a ciò si accompagna l’obbligo di fornire alle autorità italiane il resoconto dell’operazione di soccorso, certificando che le attività di ricerca in mare non abbiano rallentato il raggiungimento del porto di sbarco assegnato.
Se una sola di queste condizioni non viene rispettata, la disposizione prefigura la limitazione del transito o della sosta in acque territoriali italiane. Il mancato rispetto anche di una sola delle condizioni porta ad un sistema sanzionatorio del tutto inedito nel delicato ambito dei salvataggi in mare.
Il risultato, ad oggi, è che, per presunte irregolarità, diverse navi di ONG sono state fermate nei porti di sbarco con la contestazione di uno o più punti toccati dalla legge. In sede di elaborazione del dispositivo, non posso fare a meno di ricordare che soprattutto il partito della Lega si è dato da fare per sviluppare l’impianto punitivo nei confronti delle ONG e degli stessi migranti soccorsi in mare.
Le navi “fermate”
Tra le 16 modifiche presentate dal Carroccio in Parlamento era pure compreso un comma recitante che «il permesso di soggiorno è negato, quando a carico dello straniero si accerti la violazione di disposizioni in materia fiscale o contributiva»: una genialità che indurrebbe a negare la cittadinanza agli evasori fiscali italiani, leghisti inclusi. Evidente è l’intento dei partiti di centro-destra di capitalizzare i rigurgiti razzisti che sempre – purtroppo – aleggiano nella popolazione italiana.
La prima operazione di “fermo” con la prima multa di 10.000 € ha riguardato la nave Geo Barents di Medici Senza Frontiere, bloccata il 17 febbraio scorso nel porto di Ancona, con la contestazione di non aver «fornito tutte le informazioni richieste durante l’ultima rotazione che si è conclusa con lo sbarco ad Ancona».
In questi giorni anche la nave, Louise Michel, dell’omonima ONG, è in stato di fermo a Lampedusa. La Louise Michel è giunta nel porto di Lampedusa con a bordo 178 migranti, soccorsi da 4 diverse imbarcazioni. Il reato consisterebbe nel fatto che, dopo il primo intervento in acque libiche, la nave non avrebbe osservato la «disposizione di raggiungere il porto di Trapani, dirigendo invece su altre 3 unità di migranti sulle quali, sotto il coordinamento IMRCC di Roma, si stavano dirigendo in soccorso i mezzi della Guardia Costiera Italiana».
Quale aggravante è citata la condizione che l’aver soccorso tante persone avrebbe creato una situazione di insicurezza a bordo, oltre ad aver costretto le autorità marittime a cambiare destinazione di sbarco indirizzando la nave a Lampedusa e non più a Trapani. Vien da chiedersi dove stia il reato. Sono state portate in salvo 178 persone!
La seconda parte dell’unico articolo di legge, comma 2-quater, ricorrendo a riferimenti previsti per autoveicoli dalla legge 689 del 1981 in materia di responsabilità solidale, elenca le sanzioni amministrative – da 10.000 a 50.000 € – per il comandante, l’armatore e il proprietario della nave. Al 2-quinquies recita che, «in caso di reiterazione della violazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, si applica la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave».
L’ultima trovata del ministro dell’Interno italiano – che accusa l’opinione pubblica italiana troppo impregnata di senso umanitario e solidale tanto da promuovere le partenze di migranti dalla sponda sud del Mediterraneo – rappresenta l’apoteosi della mentalità distorta: a quando, dunque, l’introduzione del reato di «disfattismo» che vigeva nel ventennio per colpire avversari del regime o lo spirito troppo bonario di una parte della popolazione?
La verità è che le ONG danno fastidio per la loro funzione di testimoni visivi di ciò che avviene nel Mare Mediterraneo o nei centri di detenzione in Libia, non solo per le loro azioni di salvataggio, ma per mantenere sveglia la coscienza dell’Europa.
Il decreto sui flussi migratori
Tratto, qui, quindi, il decreto-legge 20/2023 del 10 marzo scorso: Disposizioni in materia di flussi di ingresso e permanenza del lavoratore straniero. Questo provvedimento governativo intende dare una risposta alla carenza di lavoratori lamentata da vari settori produttivi. Viene presa in considerazione una programmazione triennale – 2023-2025 – dei flussi di ingresso. Il decreto mette in carico ai datori di lavoro interessati la ricerca di manodopera da formare nei Paesi di origine e da inserire nei propri assetti produttivi.
Le quote preferenziali sono riservate ai «lavoratori di Stati che, in collaborazione con lo Stato italiano, promuovono per i propri cittadini, campagne mediatiche aventi ad oggetto rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari» (art. 1, comma 5).
L’art. 7 prende, ancora una volta, di mira i cosiddetti “permessi speciali”, una volta denominati “umanitari”, garantendo, per chi ne fosse già in possesso, il rinnovo della durata di 1 anno, per una sola volta: solo l’attestazione di un lavoro in atto può permettere il rilascio di un permesso per motivi di lavoro.
È da notare che i permessi speciali si riferiscono a situazioni personali legate ad eventi naturali catastrofici, a sfruttamento lavorativo, a gravi situazioni di salute. Tali permessi – evidentemente riferiti a circostanze di sopravvivenza in situazioni di estrema precarietà – sono rilasciati dalle Questure di competenza territoriale, organi governativi preposti alla sicurezza, non alla valutazione delle tragicità delle vicende umane.
L’art. 8 introduce pene pesanti nei confronti dei trafficanti: «Quando il trasporto o l’ingresso sono attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante, è punito con la reclusione da 20 a 30 anni se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone. La stessa pena si applica se dal fatto derivano la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone».
Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte degli sbarchi – cresciuti oltremodo nel 2023 specie a causa della crisi economica inTunisia – sono effettuati dalla Guardia Costiera Italiana e solo in parte minore dalle navi delle ONG.
Il decreto riprende, evidentemente, esperimenti già attuati nel corso degli anni ’90: con l’Albania e la Tunisia. Tramite alcune Associazioni accreditate, era stato allora avviato un processo di formazione di lavoratori candidati all’ingresso in Italia. Al momento dell’arrivo, risultò tuttavia molto difficile collocare al lavoro persone sconosciute ai datori di lavoro, posto pure l’obbligo dell’offerta di una decorosa situazione alloggiativa, spesso inesistente.
Inserimento lavorativo dei migranti
Il 27 marzo scorso è scattato il fatidico click day per l’ingresso in Italia di 82.705 lavoratori extracomunitari da inserire per 44.000 unità nel lavoro stagionale in agricoltura e turismo. Un numero ritenuto, dagli stessi operatori del settore, del tutto insufficiente: nelle campagne, stando alle richieste degli imprenditori, occorrerebbero almeno 100.000 nuovi addetti per il settore. Difatti le richieste sono state 240.000 solo nel primo giorno.
Viene da sé pensare all’inserimento, in posti di lavoro evidentemente scoperti, delle migliaia di stranieri extra UE già irregolarmente presenti in Italia, ma non si fa: forse per paura di usare la parola sanatoria? Ma la presenza ora regolare in Italia è cresciuta soprattutto “grazie” a operazioni di sanatoria più o meno dichiarate: l’unico dispositivo amministrativo che si sia rivelato in grado di far incontrare offerte e domande di lavoro. Non possiamo infatti nasconderci il dato di fatto che la manodopera straniera già presente è, in larga misura, sotto-occupata e una parte, non indifferente, lavora irregolarmente.
I lavoratori extra UE fatti arrivare da lontano – per un lavoro stagionale spesso mal pagato – non conosciuti dagli imprenditori, senza mezzi a disposizione e senza alloggi dignitosi pronti ad accoglierli – non possono essere in grado di soddisfare le attese del decreto flussi: a meno che non si attivino intermediari internazionali (e nazionali) che possono trarre lauti proventi economici nel reclutamento della manodopera che serve: gli “scafisti del lavoro”, ovvero i “trafficoni” dei documenti.
L’illusione italiana
In quanto ai trafficanti veri, è risaputo che coloro che guidano le barche, spesso, sono essi stessi profughi addestrati a guidare un natante in cambio dell’abbuono sulla quota da pagare. I capi del traffico di esseri umani, naturalmente, operano tranquillamente nei Paesi di partenza, persino in combutta con i governati, o pseudo-tali, che non hanno alcuna intenzione di dare loro la caccia, poiché il traffico garantisce un cospicuo flusso di denaro proveniente sia da parte delle vittime della tratta, sia dai governi europei – Italia inclusa – che stanziano forti somme nel tentativo di arrestare le partenze.
L’Italia si è così illusa di controllare la criminalità libica formando sedicenti poliziotti e fornendo motovedette finite nella disponibilità delle stesse filiere dei trafficanti. Europa e Italia sono sotto scacco, ma pensano ancora di delocalizzare le frontiere rendendole, di fatto, sempre più violente, consegnandole, per procura, a Paesi in preda a derive autoritarie, quando non capeggiati da bande più che da istituzioni. Quale credibilità affidare oggi alle istituzioni libiche, tunisine, egiziane o turche? Sino a quali condizioni di disumanità l’Europa e l’Italia possono trattare con questi governi?
Il Parlamento Europeo, la Commissione libertà civili e lo stesso Consiglio d’Europa hanno chiesto all’Italia di ritirare il decreto anti-ONG e di porre termine alla pratica del contrasto alle stesse, in mare. È da attendere che l’Europa non segua pedissequamente le richieste del governo italiano, anche se alcuni passi della Commissione sembrano voler dare segnali di sostegno.
Nessuno ignora la complessità del fenomeno globale in atto su tutti gli scacchieri del pianeta, ma non sono certamente le decisioni spot che si rincorrono ideologicamente nella loro prevedibile inefficacia a dare la traccia di possibili miglioramenti. Soluzioni al momento non ne ha nessuno, se non quella di cambiare passo sulle aree del pianeta in grandi difficoltà e coinvolte in conflitti armati, uscendo dallo stallo ricattatorio di regimi autoritari e inaffidabili.
Garantire la possibilità di emigrare in sicurezza – allargando le maglie dei visti di ingresso e costruendo percorsi allo scopo – favorirebbe una migrazione che rispetterebbe le tutele previste dai trattati internazionali in materia di diritti umani. Il diritto alla mobilità dev’essere garantito non solo per la forza-lavoro che occorre al mercato europeo e italiano, ma anche per chi vive in condizioni disumane e degradanti nel proprio Paese e nei Paesi di transito. Le ONG attive nei luoghi del mondo – non solo in mare – andrebbero perciò ascoltate e coinvolte, anziché contrastate.
Premetto che non me la sento di leggere un articolo che continua a vedere i problemi secondo un inquadramento politico destra sinistra.
Gisto il discorso di questi giorni del Presidente della Repubblica il quale dice che i fenomeni migratori saranno il problema europeo dei prossimi anni, strmentalizzarli ancora destra e sinistra è molto riduttivo.
Ma il problema di fondo rimane lo scandaloso consenso della popolazione, italiana ed europea, per questa prospettiva razzista dei nostri governi. Quindi la nostra sfida è come scuotere la società civile da questo torpore delle coscienze, perchè la pressione popolare cambi la rotta del governo.
completamente d’accordo