Ci volle del tempo affinché comprendessimo il gesto di lui. Del pane e del vino – come tante altre volte quando eravamo a mensa con lui. Certo, era giorno di festa e ci aveva mandato per tempo a preparare per mangiare con noi. Tanti i presagi che ci circondavano, ma non volemmo capire: così fu l’ultima volta che facemmo cena con lui – e noi non ne avemmo neanche il sentore.
Eppure, a quel gesto ci aggrappammo dopo la morte di lui – più per noi che per colui che chiamammo maestro. Fu questo piccolo gesto, in memoria di lui, come ci chiese quella sera, che ci salvò dalla disperazione: come se lui fosse ancora qui con noi.
E dovemmo imparare a sopportare quel vuoto, ogni volta che ripetemmo il gesto di lui. Prendevamo il pane, bevevamo il vino, dalle mani di un assente – e giurammo gli uni agli altri che tra noi sarebbe stato sempre così. Nessuno mai avrebbe potuto prendere il posto di lui. Nessuno.
Chi veniva da noi doveva vedere e sentire che si faceva cena senza di lui, che il pane e il vino erano la memoria di una mancanza incolmabile. Che così egli decise di rimanere tra noi.
E le nostre dispute, i disaccordi, la bramosia di essere vicino a lui più degli altri che erano con lui, ci parvero una miseria: misura della nostra inadeguatezza a stare allora con lui e a custodire poi la sua memoria nel pane spezzato e nel vino versato.
I gesti del dono di lui, ecco quello che ci rimase tra le mani quando non fu più tra noi. Questo ci chiese di consegnare a chi venne dopo di noi, affinché tutti potessero sostare nei pressi di lui.
E ci accorgemmo che la forza del dono abita a due passi dal potere dispotico di prendere possesso di tutto quello che lui ci aveva lasciato. Ne rimanemmo affascinati, troppo spesso ci lasciammo vincere dalla sua attrazione – trasformando la memoria di lui nella nostra glorificazione.
Consegnando a quelli che vennero dopo di noi il seme malvagio del tradimento di lui. Senza renderci conto che, quando cedevamo alla fascinazione del potere, cancellando la memoria di lui, perdevamo l’unica possibilità ai averlo tra noi.
Riempimmo la mancanza di lui con le nostre certezze, finendo per celebrare noi stessi – consegnando all’oblio l’assenza di lui. Facemmo della memoria di lui la scena di una bramosia che avevamo già sentito sulla nostra pelle quando eravamo ancora con lui.
Ma da secoli immemori, ogni anno torna quel giorno in cui facemmo cena con lui per l’ultima volta. E ci sentiamo come scossi da un brivido che ci fa guardare indietro – ai millenni del nostro cammino alla sequela di lui. A come abbiamo sovvertito quella sua cena con noi, proprio dichiarando la nostra più alta fedeltà al mandato di lui.
Del pane, del vino, una tavola e chiunque sia desideroso di sostare nei pressi di lui – niente di più, niente di meno, è necessario per fare oggi memoria di lui.
Proprio chi si scaglia contro l” indietrismo” vuole tornare ( come se fosse possibile) al I secolo dopo Cristo, e svaluta due millenni di storia del Cristianesimo. Per costoro la chiesa e’ stata solo quella pre-costantiniana e post-conciliare. A parte il ridicolo di sedicenti ” ricostruzioni storiche” , perche’ la nostra mentalita’ di moderni e’ lontanissima sia da quella degli apostoli che da quella dei primi cristiani, il revisionismo modernista ,per cui fra il 33 d.c. e il 1965 non c’ e’ cristianesimo e’ palesemente falso: non e’ vero che duemila anni di storia della Chiesa siano un tradimento del Vangelo, anzi un tradimento del Vangelo sono proprio gli ultimi cinquanta anni !
Se un San Paolo venisse sulla terra oggi si riconoscerebbe di piu’ nella liturgia rivolta ad oriente.
Oggi come oggi un Lefebvriano non si nega a nessuno…
Splendido, veramente ispirato, grazie!!!
E forse, per fare veramente memoria dell’assente, bisogna tornare alla realtà che ogni credente possa celebrare questo mistero di Lui, come lui aveva voluto scegliendo un rito domestico. Semplicemente un tavolo, il pane e il vino, nella dimensione domestica.
Buona Pasqua
“A come abbiamo sovvertito quella sua cena con noi, proprio dichiarando la nostra più alta fedeltà al mandato di lui.”
Quella sovversione oggi rende il meraviglio messaggio di Cristo insopportabile a tanti. Di questo dovremo rendere conto a Dio.
In questa Pasqua di Resurrezione, voltandoci indietro, riportiamo gli occhi pieni di malinconica gioia verso il futuro, perchè ciò che è stato torni nella sua magnifica povertà e semplicità e perchè Dio nonostante il nostro tradimento del suo amore per aver reso le nostre regole più importanti del suo Vangelo, ci regali comunque la speranza di una vita eterna accanto a lui.