La vita quotidiana dei primi cristiani era ispirata a quella che oggi possiamo chiamare l’ontologia battesimale dei cristiani, cioè l’uguaglianza fondamentale di tutti i battezzati e la loro partecipazione ai tria munera cristologici. Di cosa si tratta?
Tutti i chirstifideles partecipano alla regalità, al sacerdozio e al magistero profetico di Cristo. Alla maniera nuova inaugurata da Gesù, tutti i cristiani sono re, sacerdoti e profeti. Cosa significa? Quali sono le caratteristiche profonde e innovative di questi titoli cristologici?
Agli inizi
Atteso che essere cristiani è più una pratica di vita, una testimonianza, piuttosto che un’adesione a una dottrina prestabilita, bisogna riscoprire tale testimonianza originaria e fondante. Come praticare la regalità di Cristo nella vita? Come praticare il sacerdozio? Come il magistero profetico?
Viene in soccorso lo Spirito Santo. È Lui, il grande sconosciuto, “che è Signore e dà la vita” che vivifica per mezzo dei carismi, i doni che Lui riversa nei singoli cristiani. Nella Chiesa primitiva tali doni erano innumerevoli e diversi tra loro. Ed erano donati a tutti. Non c’erano dei cristiani privilegiati che sequestrano per sé i doni dello Spirito.
Egli è libero e soffia dove vuole (anche fuori dalla Chiesa, ma questo è un altro discorso) e dona i suoi doni a chi vuole, in completa libertà. Occorre, però, che tali carismi siano riconosciuti e occorre una comunità ricettiva, attenta al discernimento. Una Chiesa comunionale dove è riconosciuta l’uguaglianza fondamentale di tutti i battezzati nel Popolo di Dio è una Chiesa che si dispone ad accogliere i doni, una Chiesa che sa riconoscere e discernere i doni e una Chiesa che sa mettere al servizio i doni carismatici.
La caratteristica peculiare dei carismi dello Spirito è quella di essere messi al servizio della comunità. Non esiste dono spirituale che non sia una fraterna diakonia volta a edificare la comunità. Ogni carisma è destinato al servizio ecclesiale, non è per sé stesso ma è per il bene comune. Non è autoreferenziale, ma è comunionale.
Ecco, pertanto, come i tre munera cristologici vengono indirizzati al servizio della comunità: attraverso la differenziazione carismatica. Ossia attraverso il riconoscimento e la messa in pratica dei carismi individuali. Una molteplicità di carismi posti a servizio della comunità.
La diakonia (in greco) viene tradotta nel latino ministerium. Una Chiesa quindi tutta ministeriale ove non c’era differenza di sesso: uomini e donne ricevevano il carisma e in forza dell’ontologia battesimale svolgevano il carisma ricevuto in una uguaglianza di base in seno alle comunità (che non erano uniformi ma molto diversificate a secondo del luogo e dell’apostolo che le aveva fondate).
Sia uomini sia donne accedevano ai ministeri a secondo del carisma ricevuto e riconosciuto dalla comunità. Non c’era differenza di cultura e di etnia: ricevevano un dono spirituale sia i giudeo-cristiani, sia i cristiani ellenizzati, sia quelli dell’Asia minore, sia quelli della comunità romana. Ad Antiochia come a Corinto. Si parlavano lingue diverse ed erano in uso riti e vangeli diversi. Vigeva una grande pluralità teologica e organizzativa e talvolta potevano sorgere delle tensioni che venivano risolte in uno spirito di fraternità.
Una cosa è il verificarsi di fisiologiche tensioni che trovavano soluzione nell’agape fraterna, altra cosa è imbrigliare queste tensioni con un atto autoritativo centralizzato che livellava il pluralismo e imponeva una rigida e mortificante omologazione.
Accentramenti
Purtroppo si verificò questo secondo evento e la concentrazione dei “poteri” in una sola persona (a livello locale prima e a livello centrale dopo) causò pure la concentrazione del potere in una sola sede che ritenne di legiferare per tutti e su tutto. Questo fu uno dei motivi per cui il legittimo pluralismo teologico, liturgico e organizzativo si affievolì sempre di più.
Le sedi patriarcali (Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme) avviarono una politica accentratrice. Nel contempo, taluni ministeri-servizi iniziarono una lenta trasformazione. Iniziarono a perdere sempre più le caratteristiche fondanti ed evangeliche e si ipertrofizzarono. Divennero cioè sempre più gonfi di potere e di ruoli.
I servizi che prima erano svolti da più battezzati, iniziarono ad essere svolti da un solo battezzato, di solito un anziano (presbiteroi) oppure un vescovo (episcopoi). Un ruolo ulteriormente accentratore lo svolsero i capi delle comunità che avevano sede nelle città patriarcali e tra loro iniziarono a verificarsi le prime tensioni (che, in seguito, la sede romana volgerà a suo favore).
Ecco come, man mano che ci si allontana dalle radici evangeliche e dalla vitalità delle prime comunità, sorgono i primi elementi di criticità. Il servizio alla comunità perde la sua caratteristica di servizio umile e povero e diventa un potere per sé stessi. Una singola persona (episcopato monarchico) concentra su di sé diversi ministeri. Avviene un’importante trasformazione: si forma il clero. I ministeri del presbitero e del vescovo si clericalizzano, ovvero si separano dal corpo vivo della comunità e assumono un’identità sacrale (sacro, in questo contesto, significa separato).
Il servizio carismatico si istituzionalizza, si avvia un regime di separatezza sacrale. Luoghi, abiti, comportamenti, libri, oggetti, tutto viene a perdere l’originaria laicità e si sacralizza. Il clero è costituito da un ordo di consacrati e, per la prima volta, intorno al 210, un vescovo viene chiamato con il titolo di sacerdote, un termine che non si trova in nessun testo del NT per indicare i ministeri ecclesiali.
Il primato clericale
Al processo di sacralizzazione, il clericalismo associa un processo di elevazione. Il clero (costituito dai presbiteri e dai vescovi) si eleva sul popolo, si formano i primi rapporti gerarchici, ci stanno i superiori e gli inferiori, chi comanda e chi ubbidisce, e questo avviene in nome di un potere sacro che il clero attribuisce a sé stesso. La struttura carismatica viene a dissolversi.
La laicità scompare. L’uguaglianza fondamentale (tutti re, sacerdoti e profeti) viene a essere annullata. Il clero domina anziché servire, ammaestra il popolo anziché porsi assieme alla comunità al servizio della Parola, amministra i sacramenti in maniera esclusiva e le liturgie si estraniano dalla vita quotidiana, il culto diventa altra cosa rispetto all’esistenza concreta, non ci celebra più ciò che si vive e non si vive più ciò che si celebra. Il clericalismo rompe le comunità e crea due stati di vita e nel fare ciò allontana sé stesso dall’esistenza laica dei cristiani.
Quello che abbiamo descritto sono i primi passi del processo di clericalizzazione. Processo che trova un suo momento importante nella svolta costantiniana del IV secolo. La Chiesa da perseguitata diventa persecutrice e la verità della fede, prima proposta nell’amore e nella misericordia, diventa la verità della dottrina, la verità dei dogmi immutabili da imporre con la forza.
Il servizio regale divenne potere di giurisdizione e si concentrò nella persona del vescovo. Il servizio sacerdotale divenne potere d’ordine e si concentrò anch’esso nel vescovo (d’ora innanzi chiamato sacerdote), il quale delegava tale potere ai presbiteri. Poi i due poteri si fusero e un sola persona assunse in sé stessa il potere di giurisdizione e quello d’ordine. Anche il munus profetico, il magistero, ossia il compito di annunciare e di spiegare le Scritture, ben presto si concentrò nelle stesse persone.
Il clero aveva assolutizzato la sua posizione e si era separato nettamente dal resto della comunità. Nella Chiesa la separazione si fece sempre più netta: da una parte, il clero (che dopo Costantino assunse sempre più un diverso rango sociale e uno status economico più elevato) e, dall’altra, il laicato, il popolo, che rimase povero non solo economicamente, ma anche culturalmente e spiritualmente. Destinato ad essere ammaestrato, amministrato e nutrito sacramentalmente.
La Chiesa divenne sinonimo di clero. E nei secoli successivi prese avvio un’opera di giustificazione teologica di tale potere concentrato nel clero. I vescovi e il nascente papato (intorno al VI secolo per la prima volta si usa la parola papa per indicare il vescovo di Roma) iniziarono a modellare la dottrina, a leggere le Scritture a convenienza, a stabilire cosa nelle Scritture era conforme al loro magistero.
Proprio così: le Scritture vennero interpretate in un certo modo, addirittura taluni passi cancellati e tradotti in un modo anziché in un altro. Si stabilì quali libri fossero canonici e quali apocrifi. Tutto in base alla dottrina che lo stesso clero iniziava a consolidare e ad imporre. Le leggi si conformarono al suo volere.
La teologia divenne sottomessa ai suo volere. La liturgia era affare suo. L’economia, i soldi, il potere era affare suo. Certo non mancarono voci isolate che richiamavano la Chiesa alla purezza evangelica, ma il trend fu quello che sto descrivendo e portò la Chiesa a modificare il proprio assetto originario. Oggi Francesco riconosce tutto ciò allorquando scrive “abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva, senza vita”.
In questo processo, durato secoli, non deve meravigliare che le donne siano state via via emarginate dai servizi ecclesiali e non sia stato riconosciuto loro nemmeno il servizio di diacono come invece all’inizio era riconosciuto e apprezzato.
Non poterono più evangelizzare, né celebrare, né governare una comunità. Escluse da tutto. Il clero divenne celibe, ma non in tutte le comunità, prevalentemente in quelle occidentali. Solo i celibi potevano “farsi” preti. Il sacro doveva essere appannaggio solo dei celibi maschi.
La scelta celibataria non fu più una scelta libera e volontaria, ma divenne un obbligo, un precetto, un articolo giuridico, un pronunciamento magisteriale. L’intera vita ecclesiale dovette sottomettersi alla legge. Scritta dal clero ovviamente. Tutto divenne norma, prescrizione, obbligo e divieto. Si stilarono i primi codici. Tutti scritti dal clero. E le prerogative del clero lievitarono, si fecero sempre più ampie e vessatorie.
Il papato
Nel mentre si creò il papato, il sommo grado della scala gerarchica, la plenitudo potestatis, il Vicario di Cristo, il Pontefice Massimo, … il semplice e umile vescovo di Roma divenne il papa, anzi Sua Santità il Romano Pontefice. Il primo millennio era trascorso e, poco dopo, il Decretum Gratiani raccolse la precedente produzione legislativa. Vi si leggeva che “duo sunt genera christianorum”…ci sono due tipi di cristiani. “Il primo, in quanto incaricato di un ufficio divino e dedito alla contemplazione e all’orazione, è conveniente che sia lontano da ogni tumulto delle cose temporali. Di esso fanno parte i chierici e coloro che si sono dedicato a Dio, cioè i religiosi. L’altro tipo di cristiani è costituito dai laici. A costoro è permesso di possedere beni temporali, ma solo per l’uso, è concesso sposarsi, coltivare la terra, così potranno salvarsi, se però eviteranno il vizio e faranno del bene”.
Era il XIII secolo e la divisione tra il clero e il laicato era già assunta a livello dottrinale e normativo. Diversi secoli dopo Leone XIII (nel XIX secolo) scriverà ai “pastori e il gregge. Il capo ed il popolo. Il primo ha la funzione di insegnare, di governar e di dare agli uomini le leggi necessarie; l’altro ha il dovere di sottomettersi, di eseguire i suoi ordini, di dimostrargli rispetto”.
Per giungere al 1906 con Pio X che nella Vehementer nos scriveva: “la Chiesa per sua natura è una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i pastori e il gregge … Solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità … la moltitudine ha solo il dovere di lasciarsi condurre e di seguire i suoi pastori come docile gregge”.
La Chiesa oggi
Ed oggi? Oggi la situazione, nonostante il Concilio Vaticano II e nonostante papa Francesco, non è molto cambiata rispetto a 100 anni fa. Ci sono state delle timide aperture nei documenti conciliari, oggi Francesco ha sdoganato il termine clericalismo e si impegna nella lotta contro gli abusi, ma i nodi dottrinali sono rimasti irrisolti.
Nella Lumen gentium n. 10 si continuano a presentare i sacerdoti ordinati come essenzialmente diversi rispetto ai comuni battezzati. Oggi il Codice di diritto canonico continua ad assegnare alla gerarchia un potere enorme. Oggi si stenta a riconoscere la dimensione sistemica del clericalismo e non si riescono ad eliminare le cause degli abusi (che non sono solo quelli sessuali).
Oggi il processo di declericalizzazione delle strutture ecclesiali è bloccato da un conservatorismo che non risparmia nessuno dei vertici della Chiesa. Oggi è la speranza nell’azione creativa e rigenerante dello Spirito (che agisce dentro e fuori i confini della Chiesa) che ci sostiene nella nostra quotidiana testimonianza. Una chiesa evangelica e laica, incarnata nella storia è il futuro che ci attende.
Che il clericalismo sia un “problema”, lo stanno capendo perfino alcuni preti; meno i laici, perlomeno nella mia parrocchia. Comunque, come diceva quel vietnamita, basta aspettare, sembra che il clero si stia estinguendo, in occidente. Trovo comunque che ci sia troppa animosità nel sig. Salvo Coco, il che rende plausibili le osservazioni del primo intervento del sig Tobia.
Mi sembra che l excursus storico del Coco sia abbastanza grossolano e soprattutto lo sia nell’analisi delle dinamiche delle trasformazioni della chiesa Sono quelle “laiche” di ogni società che passa dallo stato nascente a quello istituzionalizzato. Meno facile leggere l opera dello Spirito e quella delle “tenebre” tutt’altro che povere di addetti sia sacerdotali che non sacerdotali come il Sacro Romano Imperatore, l’Imperatore di Costantinopoli, delle Russie, Massoneria, entità statali, economiche… Il lavoro di riforma più utile mi sembra quello di tipi come san Francesco, sant’Ignazio, Santa Teresa di GB, Madre Teresa. Tante grazie però anche ai teologi e storici veramente intelligenti.
Ringrazio l’autore del brillante articolo. Fa bene vedere come anche tra i teologi si abbia il coraggio di dire ciò che è palesemente evidente, ma che fino a pochi anni fa non “poteva” essere detto, pena provvidimenti disciplinari. Si comincia a smuovere davvero qualcosa. Mi sono segnato anche i suoi consigli di buone letture aggiuntive nei commenti. Aggiungerei alla sua trattazione il carattere prettamente laico della terminologia usata dal Nuovo Testamento per descrivere la comunità nascente dei discepoli di Gesù, che andrebbe recuperata nella sua accezione originaria e ritradotta nelle lingue corrispondenti. Il termine greco traslitterato ha ormai trasferito in sè il significato sacrale, assente dall’originale, che i “Padri della Chiesa”- o iniziatori della rovina di essa, hanno voluto dargli. Significato sacrale che era assente dalla mens degli autori del Nuovo Testamento e, probabilmente, anche da quella del suo profondo autore: Dio. “Chiesa”=assemblea ricorre 1 sola volta nel Vangelo senza alcun evidente connotato “istituzionale”. Anziano e non presbitero, servo e non diacono, inviati e non apostoli. Semplicemente “Supervisore” e non episcopo- vescovo nuovo “sommo sacerdote”. Il termine “sacerdote”, mai usato da Gesù applicato ai suoi discepoli… ecc… ecc… ecc…
A costo di essere ripetitivo.
Se un prete pensa tutto questo perché è ancora prete?
Perché non smette di essere una componente del clero?
Perché continua a celebrare la messa (minuscola voluta) in unione col vescovo e col papa che non sono altro che pericolosi impostori?
Non vedo una risposta.
Sig. Adelmo Li Cauzi, sa perchè lei non vede una risposta alle sue domande ? Perchè sono domande mal poste. Le domande che deve farsi sono altre. Si chieda ad esempio: la chiesa è stata sfigurata dal clericalismo ? Il clero ha pervertito il messaggio cristiano ? Il clero ha annullato la personalità dei cristiani ? Cosa sono gli abusi di potere, gli abusi spirituali, gli abusi di coscienza e gli abusi dottrinali ? Come possono essere combattuti ? Attraverso quali riforme è possibile oggi testimoniare con autenticità il Vangelo ? Circa 60 anni fa la chiesa iniziò a dare qualche timida risposta a queste domande con il concilio vaticano II. Oggi con Francesco sta riprendendo le fila delle riforme. Lei, sig. Li Cauzi, come si colloca in questo contesto ? E’ d’accordo con Francesco quando scrive: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita. Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. ” (Lettera al Popolo di Dio)
Don Salvo,
Facciamo una bella cosa.
Prendiamo atto del fatto che non siamo d’accordo su nulla.
Malgrado questo io prego per lei.
Prego per papa Francesco.
Prego per il mio vescovo.
Sarete anche tutti l’espressione di un clero degenerato ma siete anche il mezzo attraverso il quale ho conosciuto Cristo.
Per favore, lei preghi per me e la mia famiglia.
Non sono don, ma pregherò lo stesso per lei, per la sua famiglia ed affinchè la chiesa possa riformarsi
A pelle darei ragione all’autore dell’articolo, però per essere credibili bisognerebbe essere più precisi nell’indicare le fasi storiche che hanno provocato questa dicotomia tra il Vangelo per tutti i cristiani e un Vangelo solo per gli addetti del mestiere. Allora si capirebbe perché c’è stata questa anomalia della costituzione del clero…. che furbescamente ha creato tutta una scrittura e una struttura per avvallare la sua esistenza
I commenti negativi sono scritti con preconcetti di tipo tradizionalista, incapaci di ascoltare chi non la pensa come loro. O torniamo all’origine del cristianesimo oppure dovremo rassegnarci alla fine della chiesa.
Essere incapaci di ascoltare non si deve tradurre immediatamente nel prendere per buono tutto quello che si legge/sente
La ricostruzione storica proposta ha i soliti difetti propri di chi fa un uso ideologico della storiografia. Secondo un modello già collaudato da storici à la Augias, si applicano categorie moderne all’interpretazione di epoche antiche cadendo in anacronismi ad usum della visione proposta. L’incidere è quello di una narrazione astorica in cui le cose accadono non perché vi siano precise o ipotetiche cause sociali, economiche, ideali o spirituali ma semplicemente perché “i cattivi”, i nemici del popolo vincono sui “buoni”. Così i carismi, dati a ciascuno per il bene comune (nella visione paolina distinti come le funzioni del corpo) diventalno fonte di un egualitarismo assente nelle prime comunità cristiane (diaconi scelti, presbiteri ed episcopi anche). Così la liturgia lontana dal popolo (e i martiri di Abitene col loro “sine dominico non possumus”?) ed il senso del sacro, ben attestati in varie parti del NT, diventano una sorta di superfetazione posteriore. Fino a giungere alla solita e ritrita teoria dell’abuso di potere esercitato dalla bieca chiesa nel definire il canone biblico. Per finire con l’immancabile chiesa costantiniana (ma forse sarebbe meglio definirla teodosiana se è vero come è vero che fu Teodosio a fare del cattolicesimo la religione dello stato e non il “povero Costantino) sentina di ogni abominio… Insomma qui nessuno mette in dubbio che il clericalismo sia un problema della Chiesa attuale ma questa cancel culture a un tanto al chilo è proprio insopportabile ed intellettualmente dal fiato corto.
insomma, chiamarla ‘ricostruzione storica’ è farle un complimento: l’autore ricostruisce la storia dei primi secoli del cristianesimo senza citare nessuna fonte primaria, se non il vago ‘per la prima volta, intorno al 210, un vescovo viene chiamato con il titolo di sacerdote’ *.
per il resto concordo che l’autore non prenda neanche in considerazione l’ipotesi che certe prassi fossero presenti fin dall’inizio (es. un ministero con una certa verticalità) o si siano evolute per necessità (come l’organizzazione dei vescovi delle province attorno a un metropolita). lo scritto sembra narrare di un complotto volto a deturpare la purezza del cristianesimo originario
* penso che il testo a cui si riferisca sia la cosiddetta ‘Tradizione Apostolica’, se l’autore accetta la tesi che lo vuole scritto all’inizio del III secolo. la preghiera di ordinazione del vescovo parla esplicitamente di ‘sommo sacerdozio’,
Sig. Tobia, le propongo la lettura di Romano Penna “Un solo corpo. Laicità e sacerdozio nel cristianesimo delle origini” ed. Carrocci, di Roberto Mancini “Per un cristianesimo fedele” ed Cittadella, di Loic de Kerimel “Contro il clericalismo” EDB, Giuseppe Barbaglio “Laicità del credente” ed. Cittadella, (e potrei continuare). Dopo averli letti e dopo aver riflettuto, spero che faccia autocritica sulle accuse che mi rivolge (cancel culture, fiato corto, uso ideologico della storia). A meno che non si chiuda a riccio nelle sue posizioni e rivolga le medesime accuse all’esegesi ed alla teologia moderna. Dimostrando in tal caso di sfoggiare un evidente “preconcetto di tipo tradizionalista” (come ha scritto il sig. Gino Del Santo).
Aggiungerò quanto mi consiglia alle mie letture ma è evidente che il preconcetto in ballo non è il mio – che di tradizionalista ha ben poco visto che evidenzio semplicemente il pressappochismo della sua ricostruzione “storica” – quanto il suo che è evidentemente modernista in lettera e spirito.
Come laico condivido in pieno questo articolo perché conferma quello che che pensavo anche senza conoscere bene l’evoluzione storica della chiesa. Con tutto il rispetto per la gerarchia , negli anni leggendo e meditando la parola di Dio ho preso coscienza di essere figlio di Dio , con tutta l’eredità che il Padre ci ha dato . E soprattutto l’importanza fondamentale di sperimentare lo Spirito Santo che Gesù ha promesso ad ogni Cristiano. Un grazie all’autore di questo articolo .
La gerarchia richiede con insistenza la testimonianza e l’evangelizzazione dei fedeli laici nella società, ma allo stesso tempo la gerarchia impedisce ai fedeli laici di partecipare ai processi decisionali nella Chiesa. Onori ed oneri e non solo oneri.
Il problema dei problemi è che non c’è più la comunità di vita dove ognuno conosce tutti e i carismi sono riconosciuti in quanto manifestati da persone autorevoli non autoreferenziali, l’autorevolezza non è data dal vestito, dal crocefisso al collo e nemmeno dall’aver il baccellierato in teologia, ma dalla vita testimoniale. Tutto ormai è regolato da regole teoriche. È anche vero che non era ipotizzabile, secondo il Nuovo Testamento, una dicotomia tra il clero e i laici, la vocazione è una sola, unica, quella di essere “pescatori” e invece la Chiesa è diventata più un sacramentificio che una rete di pesca. Grazie a papa Francesco qualcosa ha cominciato a muoversi e speriamo venga recepito dai presbiteri, vescovi e laici compresi.
Io mi chiedo se l’autore, dopo aver promosso più volte queste tesi, possa ancora essere considerato cattolico, visto che la Chiesa ha già più volte definito il contrario di quello che lui sostiene: ‘Cristo, santificato e mandato nel mondo dal Padre (cf. Gv 10,36), per mezzo degli apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i vescovi a loro volta i vescovi hanno legittimamente affidato a vari membri della Chiesa, in vario grado, l’ufficio del loro ministero. Così il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi’ (Lumen gentium 28)
Io mi chiedo poi se la tesi storica dell’autore abbia qualche fondamento storico: già nelle lettere paoline e in altri testi neotestamentari vediamo già delinearsi un ministero composto da varie figure, tra cui apostoli, vescovi, presbiteri, diaconi e diacone. Nella Didache (che è stata composta a cavallo tra l’era apostolica e quella successiva, vediamo un ministero composto da vescovi, diaconi e profeti (questi ultimi probabilmente equivalenti ai presbiteri). e inoltre nel capitolo 13 i profeti sono paragonati ai sommi sacerdoti e si può facilmente dedurre che essi sono deputati a presiedere l’Eucarestia. Non parliamo poi della lettera di Clemente ai Corinzi, che parla dei presbiteri come superiori al resto del popolo
Insomma, il ministero non è un’innovazione successiva, ma qualcosa risalente all’origine della Chiesa. Quello che è saltato sono i bilanciamenti, come per esempio il fatto che tutti i ministri fossero eletti, proposti o approvati da tutta la comunità, e non solo dal clero.
Anima errante, si sforzi di non malintendere. Nessuno sostiene che i ministeri non erano presenti nella chiesa antica. Quello che non esisteva era il clero. nessuno dei ministeri aveva caratteristiche clericali o sacrali. Tra i tanti che potrei consigliere, le consiglio un libro sul tema: “Un solo corpo: laicità e sacerdozio nel cristianesimo delle origini” di Romano Penna ed Carocci.
Adelmo Li Cauzi, non si tratta di capire (Francesco, Ignazio e Teresa, non hanno solo capito, hanno innanzitutto testimoniato), si tratta di incarnare la fede nella storia. Se non si prende consapevolezza di ciò, è inutile stare qui a discutere. Un cristiano come Antonio Rosmini (ne cito uno ma potrei citarne altri) non ha solo capito che qualcosa non andava nella chiesa del XIX secolo, ha pure incarnato la fede nella sua epoca ed ha subito le conseguenze di tale sua testimonianza. Antonio Rosmini aveva indicato la via delle riforme e la chiesa clericalista lo ha schiacciato. Come pure sono stati emarginati e condannati da GPII e da BXVI decine e decine di teologi che hanno avanzato le loro proposte di rinnovamento. Nessuno di loro voleva distruggere la chiesa. Volevano salvarla (esiste un libro di Hans Kung che s’intitola proprio “Salviamo la chiesa”) e sono stati pronti a soffrire per essa. Hanno dato testimonianza di amore per la chiesa accettando il dolore per essere stati allontanati e per essere stati accusati di eresia (molti di loro, come pure Antonio Rosmini, oggi sono stati riabilitati, ma allora sono stati oggetto di repressione). I riformatori, i teologi, gli storici, i presbiteri ed i vescovi, gli uomini e le donne che si impegnano nel rinnovamento della chiesa, non vogliono distruggere. E’ il clericalismo che come un cancro sta distruggendo la chiesa. Legga cosa scrive Daniel Bogner su questo stesso sito http://www.settimananews.it/chiesa/questa-chiesa-uccide/. Se non si riesce a debellare questo nucleo tossico, questo sistema di potere basato sul sacro che chiamiamo clericalismo, sarà un brutto futuro per la chiesa.
Il problema è che lei considera clericalismo anche la stessa esistenza del ministero nella Chiesa, e propone la sua abolizione, perlomeno di fatto. Comunque è vero “Nessuno di loro voleva distruggere la chiesa”. Ma purtroppo sappiamo che di buone intenzioni è lastricata la strada per l’Inferno. Uno può anche avere buone intenzioni e volere il bene delle persone, ma fare proposte dannose e compiere azioni non buone
Grazie per l’attenzione.
Rimane il fatto che affermare che dal II o III secolo la chiesa ha smesso di essere fedele a Cristo equivale a dire che chiunque abbia condiviso quella idea di chiesa era in errore.
Non mi pare che ci possano essere dubbi in merito.
I vertici ecclesiali hanno smesso di essere fedeli al Vangelo. La chiesa per grazia di Dio non si riduce alla gerarchia. Se ne faccia una ragione
Caro don Salvo,
San Francesco condivideva, a quanto se ne sa, l’idea di chiesa dei suoi tempi.
Era una chiesa gerarchica e clericale.
Se quella idea di chiesa è sbagliata anzi contraria al disegno divino allora San Francesco aveva un’idea di chiesa contraria al disegno divino.
Mi pare ovvio e logico.
È proprio una questione semplicemente razionale.
Perché lei non è d’accordo?
Si può capire?
Grazie ancora.
Sia lodato Gesù Cristo.
Poveri illusi coloro che fino a pochi anni fa pensavano di poter essere cristiani nella chiesa cattolica: non avevano capito nulla. Il cattolicesimo è un cancro e va estirpato insieme all’ortodossia e a tutte le chiese protestanti. Francesco d’Assisi non capiva niente di cosa vuol dire essere cristiani, nulla Teresa d’Avila e meno ancora Ignazio di Loyola. Fortunatamente ci siamo noi che oggi possiamo distruggere tutto allegramente. Penso, comunque, che non sia vero che papa Francesco sia d’accordo col contenuto dell’articolo. Se lo fosse dovrebbe immediatamente convocare un concilio di scioglimento della chiesa, rinunciare allo stato clericale e andare a lavorare.
Come lui dovrebbero fare tutti i preti che la pensano in questo modo. Un poco di coerenza nella vita non guasta mai.
Caro Coco, ditelo chiaramente che sognate una chiesa senza preti, Cosenza vescovi, senza cardinali e senza papa. Una chiesa “fluida” dove la Sora Lella dice Messa e il ragionier Fantozzi predica. Dove i laici, chiunque, si alza e dice quel che gli pare, “profetizza”. Quante decine di anni durererebbe una Chiesa così? Certo non millenni. Quando tempo sono durate le sette ereticali, carismatiche, spiritualistiche in tutti i tempi? I catari, i fratelli del libero spirito, gli spirituali, o seguaci di Gioacchino da Fiore eccetera? Quando Tempo sono durati? La Chiesa gerarchica, con tutti i suoi difetti, che Salvo Coco tanto disprezza è potuta durare così a lungo che Salvo Coco ha potuto conoscere il cristianesimo.
Excursus storico interessante, fatto con intelligenza e competenza. Complimenti. Francesco Strazzari