Dopo l’esclusione del vescovo Richard Williamson (2012) la Fraternità Sacerdotale San Pio X ha trovato il suo quarto vescovo? Accanto ai tre ordinati da mons. Marcel Lefebvre (1988) – Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais e Alfonso de Galarreta – si presenterà il vescovo emerito di Coira, Vito Huonder?
È la legittima domanda che sorge dopo le aspre critiche di Huonder all’attuale corso della Chiesa e la sua piena condivisione con gli orientamenti espressi, a suo tempo, da mons. Lefebvre.
In un video, in due puntate, messo in onda dal canale Certamen, l’81enne vescovo emerito offre una retractatio, una «nuova valutazione della situazione della fede dal concilio ad oggi».
Al compimento del suo ministero (2019), su invito dell’allora prefetto della Congregazione della dottrina della fede, card. Gerhard Müller, Huonder si è ritirato in una scuola della Fraternità (Wangs) con l’obiettivo di mantenere aperto il dialogo in vista di un possibile riconoscimento canonico.
A quattro anni di distanza l’effetto sembra una piena appartenenza al tradizionalismo lefebvriano.
Le riforme discutibili del Vaticano II
Nel video afferma di aver approfondito le questioni teologiche sollevate dalla Fraternità, dovendo concludere sull’abbandono della tradizione da parte della Chiesa. Il suo segno è il nuovo rito della celebrazione liturgica e dell’eucaristia in particolare: «È stato fortemente modificato, con una teologia della messa altrettanto cambiata».
Poiché la liturgia è la forma in cui si esprime la fede, «non può essere modificata nella sua sostanza e tanto meno può essere vietata». Il concilio ha imposto ai fedeli riforme del tutto discutibili (dialogo ecumenico, libertà di coscienza, legittimità delle fedi), mancando di pietas, stima e rispetto per la dottrina e la morale tradizionale.
In una carrellata sui papi della sua vita, Huonder ha grandi elogi per Pio XII e per Giovanni XXIII. Considera Paolo VI un conservatore con troppi amici liberali e progressisti. Sua è l’introduzione della nuova liturgia («Negli ultimi decenni nulla ha portato alla dissoluzione dell’unità della Chiesa quanto il nuovo ordo liturgico»).
Giovanni Paolo II ha proseguito la stessa strada col Catechismo e il Codice di diritto canonico e ha provocato un enorme shock con l’incontro delle religioni ad Assisi (1986). Benedetto XVI ha cercato di contenere i danni restituendo legittimità alla tradizionale liturgia romana (Summorum pontificum, 2007) e revocando «l’ingiusta scomunica di mons. Lefebvre e dei vescovi della Fraternità».
Francesco rompe la tradizione
Ma il disastro arriva con papa Francesco. «Possiamo chiamare il suo pontificato, così come si sta delineando fino ad oggi, un pontificato di rottura. La rottura della Tradizione. Ciò si traduce nel fatto che non cessa mai di reprimere la Tradizione e i fedeli che ad essa sono legati.
D’altra parte compie atti che vanno chiaramente contro la Tradizione (ad esempio, atti di culto sincretistici, come in Canada). Questa volontà di rottura si manifesta in particolare nelle due lettere apostoliche Traditionis custodes (16 luglio 2021) e Desiderio desideravi (29 giugno 2022). Con queste lettere il papa vuole sradicare la liturgia romana tradizionale. Inoltre si mostra un ardente difensore della cosiddetta religione universale. Per molti fedeli questo è un ostacolo.
Infine, per quanto riguarda la Fraternità, è stata importante la sua decisione sulla giurisdizione della confessione e sul potere di celebrare i matrimoni». Attesta di condividere con Lefebvre l’accettazione del concilio «nel senso della tradizione» e, come lui, afferma che la radice della gravissima crisi della Chiesa attuale è nell’aver ceduto alle istanze moderniste a cui si era fieramente opposto papa Pio X.
Molto utile
Considerato tradizionalista già da vescovo, con le attuali posizioni sembra avere sposato in pieno i riferimenti della Fraternità. Al suo interno si dibatte negli ultimi mesi l’opportunità di una quarta ordinazione episcopale, dopo la fuoriuscita di Williamson, accusato di disobbedienza.
Problema, quello delle ordinazioni episcopali, che, nella galassia dei movimenti attorno alla Fraternità, è tranquillamente superato. Williamson ne ha già ordinati quattro. La Fraternità San Pio V altri quattro e, nell’istituto Mater boni consilii, altri tre (cf. qui).
Diverso è il comportamento in merito della Fraternità. Si capisce quindi l’attenzione verso Huonder che, all’inizio, era malvisto da quanti lo ritenevano un «lupo nel gregge», una testa di ponte per condizionare la Fraternità. Ma, poco alla volta, soprattutto nell’ambito linguistico tedesco, è stato chiamato per celebrazioni, cresime e ordinazioni.
All’interno, qualcuno ritiene che le sue ultime esternazioni gli siano state suggerite per una piena accettazione della sua figura. Molto utile adesso, in ragione della possibile ordinazione.
Quelle del 1988 erano state volute da mons. Lefevbre, figura indiscussa per i tradizionalisti. Ora sarebbe decisa dal superiore generale, un semplice prete, don Davide Pagliarani, assieme agli altri tre vescovi. Averne un quarto con tutti i crismi dell’appartenenza cattolica, è considerato un vantaggio. Anche se, dopo la remissione della scomunica, la loro ordinazione è considerata valida, è in questione la legittimità del loro apostolato. Non così Huonder, che potrebbe operare anche nei gruppi che facevano riferimento alla commissione Ecclesia Dei (ora interna dal dicastero della dottrina della fede).
In tutti i casi, i tradizionalisti, a cui non mancheranno le cure istituzionali, non torneranno al centro dell’attenzione ecclesiale. Se avessero accettato, nel 2012, l’offerta di Benedetto XVI della prelatura personale e il «preambolo dottrinale», la soluzione dello «scisma» avrebbe condizionato il successivo conclave. Il rifiuto ha mostrato, con molti altri elementi, l’impercorribilità di una ermeneutica difensiva del Vaticano II, propiziando l’elezione di Francesco.