Don Carlos martire della dittatura

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In Argentina fervono i preparativi per ricordare la nobile e coraggiosa figura di don Carlos Mugica, nato il 7 ottobre 1930 e ucciso dalla dittatura l’11 maggio 1974.

Furono assassinati o sparirono sedici sacerdoti cattolici. Forse diciassette, secondo un’altra fonte attendibile, tra il 1974 e il 1983. Ai quali vanno aggiunti i vescovi Enrique Ángel Angelelli, vescovo di La Rioja, e Carlos Ponce de León, vescovo di San Nicolas de los Arroyos, vittime di incidenti programmati dalle forze armate, rispettivamente il 4 agosto 1976 e l’11 luglio 1977.

I “Montoneros”

Il 1° maggio 1974, il generale Perón ruppe con i Montoneros, li cacciò dalla Plaza de Mayo. Dopo la morte di Perón, i Montoneros passarono alla clandestinità in contrasto con un governo peronista, che mirava a destra con Isabelita, la moglie di Perón, e il suo segretario e ministro, José López Rega. Questi armò milizie per combattere i Montoneros: la triplice A: AAA (Armata Argentina Anticomunista).

Furono costoro che uccisero anche padre Carlos Mugica del Movimento dei sacerdoti per il terzo mondo, accusato falsamente di essere montonero e guerrigliero.

Carlos Mugica fu assassinato da Rodolfo Eduardo Almirón Sena, capo operativo della triplice A. Incominciò un’epoca di terrore, sia da parte dei Montoneros sia da parte dei militari.

I Montoneros erano la principale aggregazione guerrigliera, che fece la sua comparsa negli anni ’60, come membri della gioventù peronista, si direbbe, giovani cattolici post-conciliari.

Il nome deriva dalle “Montoneras” (gruppi militari irregolari) dei caudillos del sec. XIX, che si sollevarono in armi per un governo nazionalista, anti imperialista e federale. Il loro capo, Mario Firmenich, veniva dai settori della gioventù cattolica di sinistra che aveva aderito al peronismo rivoluzionario. Durante la dittatura del generale Juan Carlos Onganía, influenzati dalla rivoluzione cubana e dall’esperienza del sacerdote Camilo Torres, questi gruppi peronisti di sinistra incominciarono la strategia della guerriglia.

Una delle prime azioni dei Montoneros furono il sequestro, la condanna e l’esecuzione nel 1970 del generale Pedro Eugenio Aramburu, ex presidente del Paese e uno di quelli che destituirono Perón nel 1955.

Nel 1973 assassinarono José Rucci, segretario generale della Confederazione generale dei lavoratori (CGT) e amico di Perón. Incominciò da allora il distanziamento da Perón che, in un primo momento, li aveva appoggiati.

I Montoneros avevano lottato per il ritorno di Perón. Erano nazionalisti, non marxisti, si battevano per un socialismo autoctono con alcuni elementi del marxismo latinoamericano di Fidel Castro e di Che Guevara.

La dittatura

Dopo la morte di Perón (12 giugno 1974), passarono alla clandestinità. Con l’arrivo dei militari al governo (24 marzo 1976), i Montoneros, senza espressione politica, con le forze dimezzate da una feroce repressione, posero fine alla loro esperienza agli inizi degli anni ’80.

L’esercito del popolo (ERP) fu l’altro gruppo guerrigliero più rilevante, che sorse negli anni ’70. Assassinò, nel 1973, Oberdan Sallustro, un impresario italiano, che aveva sequestrato. Si ispirava al trotskismo, non aveva nessun collegamento con il peronismo, che disprezzava per le sue idee borghesi.

Il 24 marzo 1976, i tre comandanti delle forze armate argentine decisero di destituire Maria Estela Martínez de Perón, soprannominata Isabelita, del cui governo, repressivo e corrotto, avevano fatto parte. Furono proibiti i partiti politici, soppressi molti sindacati e conculcate tutte le libertà democratiche. Trentamila (secondo alcune fonti, cinquantamila,) gli scomparsi, arrestati, uccisi da un regime che «lottava al di là del bene e del male», come si espresse il card. Paulo Evaristo Arns, allora arcivescovo di San Paolo, Brasile).

La tenace e diabolica eliminazione dei leaders dell’opposizione diede inizio a una dittatura militare, che incarnava i peggiori difetti. Alcune cifre impressionanti. Dal golpe del marzo 1976 fino a dicembre, nel carcere penitenziario di Córdoba, i militari avevano ucciso trentuno detenuti. Cinquemila morti solo nel 1976, forse ancora di più. La tortura era praticata ovunque in maniera sistematica.

Il fenomeno dei desaparecidos, insistentemente denunciato dalle Madri de Plaza de Mayo, fu un crimine contro l’umanità, come sostenne la Commissione internazionale dei giuristi, in quanto attentava a molteplici diritti: diritto alla vita, ad essere protetti contro le torture e la detenzione arbitraria.

Nonostante questo, ci furono vescovi che credevano nell’onestà della gerarchia militare e, in qualche modo, appoggiarono la dittatura.

Facciamo solo alcuni nomi: mons. Adolfo Tortolo, ai tempi del gen. Videla arcivescovo di Paraná, vicario delle forze armate e presidente della Conferenza episcopale argentina. Era a conoscenza, nonostante le sue smentite, del colpo di stato del 24 marzo 1976, prima che fosse messo in atto da Videla, un personaggio che conosceva molto bene. Diceva di essere all’oscuro delle violazioni dei diritti umani e, nelle assemblee della Conferenza episcopale, difendeva la tortura con argomenti tratti dai teologi e dai pontefici medievali. Morì il 1° aprile 1986.

Il vicario castrense, mons. Victorio Bonamin, lodava continuamente le forze armate poste a difesa della civiltà occidentale e cristiana e riteneva legittimo ogni ricorso a mezzi che combattessero il nemico.

Mons. José Miguel Medina, anche lui vicario castrense, era ossessionato dal marxismo. Sosteneva la legittimità della tortura. Nell’aprile 1982 disse: «Alcune volte la repressione fisica è necessaria, è obbligatoria e, come tale, lecita».

Vanno ricordati altri membri dell’episcopato argentino, come mons. Antonio José Plaza, fino al 1986 arcivescovo di La Plata; mons. Ildefonso Maria Sansierra, arcivescovo di San Juan, il vescovo più reazionario di tutto l’episcopato argentino. Affermava che i «diritti umani sono osservati in Argentina» e che, in caso di guerra, «è legittimo torturare, assassinare prigionieri, rubare, violentare donne».

Voci contro inascoltate

Altri vescovi alzarono la loro voce contro la dittatura militare. Alcuni di questi trovarono la morte in incidenti programmati dalle forze armate.

Il 9 agosto 1976, p. Leonardo Cappelluti, dehoniano, presidente della Conferenza dei religiosi, e il segretario p. Victor Rubio, gesuita, inviarono al card. Primatesta, presidente della Conferenza episcopale argentina, una lettera ben documentata e drammatica. «Constatiamo – scrivevano – che torture, sparizioni e morti rispondono a una filosofia che non ha niente a che vedere con la visione cristiana della vita e del mondo». Il card. Primatesta rispose: «C’è un tempus loquendi e un tempus tacendi». Un tempo per parlare e un tempo per tacere.

Il nunzio Pio Laghi andava fiero di avere come amico l’ammiraglio Massera, comandante della marina militare e uno dei generali della giunta. Frequentava la famiglia, giocava a tennis con l’ammiraglio. «Ho sempre avuto l’abitudine di giocare a tennis. Lo facevo anche in Argentina in un campo non lontano dalla nunziatura, un paio di volte la settimana. Talora giocavo anche la domenica presso un centro sportivo frequentato anche da altri diplomatici. Qui ho giocato anche con l’ammiraglio Massera. Ma non più di tre o quattro volte in quattro anni».

Tardiva la sua ammissione e, per questo, ancora più inquietante: «Si poteva fare di più? Potevo io fare di più? Me lo sono chiesto migliaia di volte, anche dopo la mia uscita dall’Argentina».

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