In «17 anni non me l’hanno mai chiesto… ma si può riprendere l’abitudine. Mi rifarò la domanda dopo i successivi 17». La battuta di un parroco della diocesi di Moulins può introdurre la presentazione della tessera elettronica che attesta la validità dell’ordinazione e la legittimità dell’azione pastorale di un prete.
È chiamato celebret perché così iniziavano le lettere commendatizie dei vescovi e dei superiori a garanzia dei loro preti nel passato.
Il 10 maggio i vescovi francesi hanno presentato il nuovo dispositivo che fa capo ai vescovi e ai superiori maggiori, ma che, per la prima volta, è uniforme a livello nazionale. Un unico centro raccoglie e aggiorna la posizione ecclesiale dei 13.000 preti diocesani e religiosi e dei 3.000 diaconi operanti nel paese. Per ora è attivo per i vescovi.
Il documento è già previsto dal Codice di diritto canonico (c. 903) e dal precedente Codice del 1917 (c. 804), ma il suo uso era già previsto dal concilio di Trento: «Nessun chierico straniero privo di lettere commendatizie del proprio ordinario sarà ammesso da un vescovo a celebrare i divini misteri e ad amministrare i sacramenti».
Prima ancora era stato sollecitato dal Decreto di Graziano e dal concilio di Calcedonia (anno 451).
Nel passato era motivato dal fatto di contenere il fenomeno dei clerici vagi, cioè dei “preti vaganti” senza appartenenze precise. Più recentemente, per evitare che persone furbe e furfanti approfittassero della fiducia dei credenti per interessi economici o d’altro tipo.
L’attestato non serve dove il presbitero è conosciuto, ma è opportuno in occasione di spostamenti ad altra diocesi o nazione, per celebrazioni nei santuari o per occasioni come i grandi raduni internazionali, tipo “Giornata mondiale della gioventù”.
L’ombra degli abusi
La motivazione più prossima e più vincolante per la decisione è giunta ai vescovi di Francia dalle misure suggerite dalla Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (Ciase) come uno dei (molti) mezzi per garantire le comunità da possibili predatori sessuali.
Troppo spesso sia gli spostamenti interni o esterni alle diocesi dei colpevoli o, per quanto riguarda i religiosi, la loro dislocazione da paese a paese non consentivano alla Chiesa locale di arrivo di avere le informazioni necessarie.
Nell’assemblea episcopale del 2021 si era approvata la decisione di un celebret nazionale.
Nella tessera elettronica di cui si è avviata la distribuzione è contenuta una foto, l’incardinazione di appartenenza, i dati anagrafici essenziali e l’attestazione dell’ordinazione. Un semplice smartphone permette un duplice controllo.
Una volta aperto il codice, un indicatore (conosciuto dall’interessato) segnala se il ministro ordinato non ha alcuna restrizione in ordine alla pastorale (verde) o ne ha alcune (arancione) o è impedito ad esercitare il ministero.
Una ulteriore password (sempre a conoscenza dell’interessato) permette di precisare le eventuali restrizioni (celebrare, predicare, battezzare, confessare, preparazione dei matrimoni, rapporto con minori, censure ecc.).
Le informazioni sono raccolte e aggiornate dalla diocesi e dalle congregazioni e trasmesse al centro nazionale. Questo permette un rapido aggiornamento del celebret, la cui validità è annuale. Esso può essere richiesto dal parroco ospitante o dal sagrestano, dal responsabile del santuario o dall’organizzatore dell’evento ecclesiale.
L’eventuale rifiuto di presentare il celebret significa l’esclusione dell’interessato dall’azione liturgica e dall’attività pastorale. Si prevede che la nuova tessera sarà a disposizione di preti e diaconi francesi entro la fine dell’anno.
Fuori della Francia la richiesta di un documento di identità clericale è variamente esercitata. In Italia non è comune, ma non è rara.
Una nuova forma di controllo? Un ulteriore impedimento burocratico? In uno studio di qualche anno fa, l’attuale vescovo di Mondovì, Egidio Miragoli, così concludeva: «È importante rivalutare l’utilità del celebret: dotare tutti i sacerdoti di questo documento e sollecitare a richiederlo a confratelli non conosciuti non significherà burocratizzare la vita ecclesiale, ma sarà un modo per difenderne la dignità».