La suora tedesca Sophia Weixler (28 anni) è stata abusata e ora cerca di elaborare il suo trauma con l’aiuto di Salmi scritti da lei stessa. Questi si possono leggere nel suo libro “Respiro speranza”, da cui è tratto questo salmo:Tu mio aiuto, sono tutti contro di me, non so cosa fare. / Le voci nel mio capo mi dicono / che l’amore eterno non esiste./ Il mio cuore sa che in te io sono al sicuro. / Posso imparare ad amare, anche me stessa. / Posso stare in piedi./ Io ho gridato ed egli mi ha risposto. / Vedo cosa ho superato. / Non ne potevo più / e mi sono sdraiata sulla terra dura e fredda. / I miei occhi si chiusero, / solo con la forza del Consolatore ho potuto rialzarmi./ Anche se tutti sono contro di me, rimango in piedi. / Tu, mio sostegno, fa’ che ti senta, aiutami. / Ho già sentito il tuo tenero respiro, / niente ha potuto distruggermi./ Sei il mio unico aiuto. / La tua amabile parola mi pervade.
– Suor Sophia, questo salmo è tratto dal suo libro. Qual è il movente che l’ha ispirato?
Non ho mai voluto scrivere un libro. I miei Salmi sono nati nella preghiera. Durante la formazione religiosa ci è stato suggerito di formulare con parole nostre un salmo che ci piacesse. Non ci siamo fermate a un salmo. Coloro che pregavano divennero mie amiche.
Ho incontrato persone in grado di esprimere l’intera gamma delle emozioni umane. Davanti a Dio c’è spazio per il ringraziamento, l’odio, la gioia, la sofferenza ecc., perché Dio per me è un Dio compassionevole, un Dio che non raddrizza tutto o che annulla ciò che è accaduto. No! È una controparte dell’indicibile. Posso chiedergli qualsiasi cosa.
– E per quanto riguarda il libro?
In definitiva, esso è nato dagli incontri con persone che dalle mie preghiere personali hanno ricavato dei testi condivisi. Persone che mi hanno incoraggiato e hanno trasformato un’idea in realtà.
Durante la sua realizzazione ho sentito il desiderio di trasmettere l’esperienza di Dio a persone che non hanno le parole per farlo; che hanno, loro stesse, sofferto. Persone che stanno accanto agli altri nella sofferenza o che si sono rese colpevoli nei confronti di altri.
– Ha già avuto degli echi al riguardo?
Il libro è stato pubblicato il 6 febbraio. Ho ricevuto un’ampia varietà di riscontri da consorelle, amiche, conoscenti e da altre persone.
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– Lei ha subito violenze spirituali e sessuali. Quanto grande è stato lo shock che ha provato?
Non sono rimasta scioccata dal fatto che sia successo a me. Perché c’ero dentro anch’io. La difficoltà sta piuttosto nell’ammettere questa verità dentro di sé. Se si sopravvive, bisogna staccarsi e dissociarsi dalle situazioni dolorose. In altre parole: occorre separare le esperienze così estranee alla propria identità per poter sopravvivere.
Piuttosto, è scioccante che in Germania così pochi crimini vengano perseguiti oltre la fase delle indagini preliminari, soprattutto per la mancanza di prove. E, in secondo luogo, come la Chiesa affronta queste due forme di violenza.
– Cosa intende dire?
Quello che voglio dire è che si è chiamati a ripetere più volte le stesse dichiarazioni, anche se tutto è già stato messo per iscritto. Davanti a preti, magari, anche se le persone interessate hanno spesso sperimentato la sofferenza causata proprio da uno di loro. Le procedure inoltre si trascinano anche per anni. Ciò impedisce alle persone interessate di potersi rilassare finché è in atto il processo.
– Il libro l’ha aiutata a elaborare dal punto di vista psicologico le sue esperienze di abuso?
Dal momento che, come accennato in precedenza, non ho mai inteso scrivere un libro, neanch’esso ha potuto aiutarmi. Ciò che è stato è stato.
Prima di tutto, occorre valutare l’esperienza della sofferenza vissuta in quella situazione. Poi, analizzando le conseguenze e ripercorrendo i vari procedimenti, mettere fine al silenzio, dal momento che l’ingiustizia oramai è stata consumata.
Durante l’elaborazione, si tratta soprattutto di chiedersi cosa è mancato in quelle situazioni e come ci si potrebbe comportare in futuro in situazioni simili. E, naturalmente, imparare a riconoscere e a gestire le sensazioni.
– Le preghiere dei Salmi l’hanno aiutata?
La preghiera, nel tempo in cui scrivevo i miei testi, è stata per me una sfida e un sostegno. Quando la spiritualità diventa strumento di potere, l’anima è indicibilmente ferita e prova forti inquietudini nell’incontro con Dio. Bisogna imparare di nuovo che la propria anima ha una dignità e che nessun altro deve avere accesso ad essa. Se l’odio e la rabbia non vengono proiettati solo verso di sé, allora è inevitabile che vengano riversati su Dio.
Quindi bisogna prima riscoprire che non è stato Dio ad “abusare” dell’anima, ma un essere umano. I Salmi sono stati per me un modo per rimanere in rapporto con Dio, per avvertirne la risonanza, e vivere la mia dignità, nel sentirmi amata e chiamata da lui.
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– È rimasta molto delusa del fatto che l’indagine che la riguarda sia stata sospesa, come scrive nella postfazione del suo libro? Perché mai è così difficile fidarsi di una vittima?
Ho sentito spesso ripetere: la giustizia di Dio è più grande. Non possiamo conoscere la pienezza della sua giustizia qui sulla terra. Sono d’accordo, e posso prendere quella frase come una consolazione. Però, una vittima si augura che la sua sofferenza venga riconosciuta. Il codice penale ha varie funzioni: proteggere le persone o gli interessi legali e punire gli autori di reati affinché possano migliorarsi.
Parlo espressamente di autori, perché circa l’85% dei condannati sono uomini. In Germania è attualmente allo studio una revisione o un ampliamento del paragrafo 174c del codice penale in modo che possano essere puniti anche gli abusi perpetrati nelle istituzioni sia religiose sia laiche. Posso solo approvare questi sforzi di riforma.
– Gli abusi costituiscono un grave problema nella Chiesa cattolica. Secondo lei, cosa bisognerebbe fare per frenarli?
Il tema degli abusi non è noto solo a partire dal 2010. Già 100 anni fa, i comitati direttivi della Chiesa discussero su come trattare gli autori e le vittime. Un nuovo approccio viene sicuramente dal cambiamento di alcune parti del codice penale. Occorre poi un regolamento secondo il quale – come avviene in Spagna – per quanto riguarda tutti i reati sessuali “sì significa sì”. E poi le istituzioni ecclesiastiche o il personale ecclesiastico non devono più avere un trattamento preferenziale nei processi celebrati in sede civile.
Inoltre, non deve più accadere che il pubblico ministero riceva gli atti solo su richiesta. Come si fa con le grandi aziende, devono essere possibili le confische. Inoltre, tutti i livelli gestionali dovrebbero essere sostituiti…
– Cosa inaudita…
Una correzione di rotta con i medesimi capitani e con lo stesso il materiale cartografico per me è impensabile. Non dovrebbe più essere possibile che un giudizio canonico diocesano venga semplicemente ribaltato dai dicasteri di Roma. I dicasteri non dovrebbero essere autorizzati ad agire come una Corte Suprema, ma solo ad esaminare eventuali errori procedurali.
Un altro aspetto riguarda sicuramente l’identità e la comprensione del ruolo dei preti. Spesso mi chiedo se sia possibile una vera prevenzione se le novità introdotte non sono applicate in modo coerente. Ma quello che ciascuno e ciascuna può fare è prendere coscienza che Gesù è il Salvatore, non io! La gente cerca Dio, non me.
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– Perché ha deciso di entrare in convento?
“Entrare” è una parola molto dura per le mie orecchie. Secondo me, si ha a che fare con l’amore e anche con l’esperienza di altre persone che sono state toccate da questo amore e cercano di vivere ciò che li ha colpiti.
E poi bisogna sentire personalmente l’attrazione. Non si tratta di una chiamata percepibile con le orecchie ma di una voce interiore che diventa sempre più forte, affrontando nello stesso tempo dubbi e contrarietà. È come nell’innamoramento: uno non sa perché accade proprio adesso.
– La sua decisione ha anche qualcosa a che fare per essere vissuta con altre suore in Africa?
Durante l’anno trascorso all’estero, in Tanzania, le suore mi hanno trasmesso il loro entusiasmo e ho avvertito nella vita di tutti i giorni che vogliono viverlo e condividerlo con altre persone. Per esempio, con me. Una situazione chiave è stata la domanda di una sorella: cosa ti frena? E sentivo di non avere una risposta a questo interrogativo.
E così ho iniziato a pensare il mio cammino: voglio provare. Negli ultimi quattro anni, questo motto è diventato la consapevolezza di “essere chiamata”, non perché sono particolarmente abile a qualcosa, ma perché Dio mi pensa, pensa a me personalmente.
– Cosa l’affascina nella vita claustrale e in una vita donata a Dio?
Io sono Vincenziana o Suora della Misericordia di Untermarchtal della spiritualità di santa Luisa de Marillac e di san Vincenzo de’ Paoli. Questa spiritualità mi affascina perché è, allo stesso tempo, sperimentabile e incomprensibile. È una spiritualità che segue la logica dell’incarnazione di Dio. Ognuno di noi la vive a modo suo. Per me significa incontrare volentieri le persone, toccare con mano la presenza di Dio, sia nell’agire concreto sia in una serena unione con Gesù. Essere attenta all’oggi, assistere le persone, ascoltarle, condividere la loro sofferenza.
Voglio mostrare con la mia vita che Dio ha una notizia liberatrice e gioiosa per tutti, anche se ciò non è ancora percepibile in molte situazioni. Dio non è seduto su un trono lassù nei cieli, ma soffre con noi. Egli vede me e te. E permette anche l’ingiustizia.
- Suor Sophia Weixler è nata nel 1995 e appartiene alla comunità delle Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli nell’Untermarchtal sul Danubio. È un’infermiera e attualmente studia giurisprudenza all’Università di Tubinga. Il suo libro «”Respiro speranza”, Salmi oltre la violenza e l’abuso», è stato pubblicato da Patmos Verlag.