Abbiamo chiesto ad Anna Zafesova – giornalista italiana, storica ed analista della vita e della cultura nella Federazione Russa – di presentare gli umori colti dalla gente russa, dopo i più recenti eventi della guerra di aggressione all’Ucraina.
- Anna, in questi mesi in Russia sono avvenuti attentati contro personaggi della vita pubblica ed è stato persino abbattuto un drone sopra le cupole del Cremlino. Come sta reagendo l’opinione pubblica?
Per quanto è possibile saperne e dirne, stanno circolando, sempre più consapevolmente, sentimenti da Paese effettivamente in guerra: una guerra che sarà persa.
Basti dire delle esitazioni e delle mutevolezze con cui le notizie circolano negli stessi TG russi: ad esempio, la notizia con l’immagine del drone è stata data dalle televisioni con almeno 12 ore di ritardo, quindi ha avuto molta evidenza – accompagnata da toni di vendetta infernale -, per poi rapidamente scomparire.
Evidentemente queste notizie rappresentano un’arma a doppio taglio: da una parte, possono giovare alla propaganda in chiave di compattamento del popolo “contro il nemico ucraino-occidentale”, dall’altra, possono spandere un senso di vulnerabilità o di vera e propria paura di una sconfitta imminente: realtà, questa, che il Cremlino vuole, chiaramente, in tutti i modi, nascondere.
Penso che la gente in genere percepisca il clima di incertezza e che l’atteggiamento più diffuso di reazione sia quello della rimozione: fare finta di nulla. Approfittando del “ponte” del 9 maggio – festa nazionale con cui il regime magnifica la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale – tanti russi (quelli che possono permetterselo) sono andati, come al solito, in vacanza, si sono presi cura della loro salute e del loro benessere. Mentre, al loro fondo, lavorava e lavora la consapevolezza di una guerra che continua, di una mobilitazione strisciante, di una repressione che non finisce mai.
- È possibile fare delle ipotesi circa questi attentati?
L’immagine del drone che prende fuoco di notte sopra le cupole è molto potente. Chiunque l’abbia concepita e realizzata, voleva ottenere un effetto simbolico davvero molto potente, mentre le conseguenze “militari” – o sulla persona di Putin – sono state calcolate “pari a zero”: si sa che Putin si reca raramente al Cremlino, men che meno di notte.
Gli autori del gesto potrebbero far capo, dunque, per qualche verso, all’Ucraina – alla vigilia dell’annunciata controffensiva – oppure a circoli di “opposizione” russi intenzionati a spingere Putin alle mosse estreme. Abbiamo, quindi, al riguardo, più domande che risposte. Dalle fonti ufficiali è inutile attendere alcuna “verità”. Resta quel che ho detto per rispondere alla prima domanda: questi fatti vengono usati in maniera ambivalente dalla propaganda e creano disorientamento nella gente.
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- Il Tribunale Internazionale dell’Aia ha emesso un mandato di cattura nei confronti di Putin. Cosa ne sa la gente e come la prende?
Non mi pare che l’opinione pubblica russa abbia goduto di grande informazione in merito: quanto meno la risoluzione del Tribunale è stata presentata molto parzialmente, senza precisarne le motivazioni.
Torno a quanto ho detto in precedenza: si tratta di fatti e notizie che possono avere effetti a doppio taglio sulla popolazione russa; perciò, se parla poco, oppure a senso unico.
Quel poco che è circolato al riguardo penso abbia comunque contribuito ad alimentare, oltre al disorientamento, la sensazione di essere sempre più lontani dal mondo occidentale.
- La manipolazione delle informazioni ottiene comunque il risultato di incrementare l’avversione nei confronti dell’occidente?
Dai sondaggi sembrerebbe sì. Ma si sa che in Russia i sondaggi non sono attendibili. Vanno quanto meno interpretati. Le interpretazioni possono comunque offrire indicazioni.
I russi nutrono, nei confronti dell’occidente, sentimenti incerti, “da sempre”, ambivalenti: da un lato, di ammirazione e di emulazione, dall’altro, di diffidenza e persino di avversione o di ripulsa. Si tratta di sentimenti storici, maturati e coltivati, in maniera alterna, attraverso i secoli, almeno dalla fine del ’600, quando la Russia ha iniziato a rompere il suo isolamento e ad avere rapporti con l’Europa, dai tempi dello zar Pietro I Il Grande.
I russi che più sono esposti ai clamori antioccidentali sono senz’altro quelli che non hanno mai messo piede in Europa. Ciò distingue i russi dai moldavi piuttosto che dagli ucraini, che hanno avuto più possibilità, nel periodo post-sovietico, di frequentare i Paesi europei, soprattutto per motivi di lavoro, ma anche di studio o di visita. La popolazione più semplice è quindi la più facile da convincere da parte di una propaganda che dipinge l’Europa come la sede del festival dei matrimoni gay. Basta guardare i talk show russi per farsi un’idea del profilo becero che spesso viene tenuto.
La narrazione di fondo – ultimamente utilizzata da Putin nel discorso del 9 maggio – è che l’Europa sta di nuovo aggredendo la Russia, come ha fatto con Napoleone e con Hitler. La Russia sarebbe l’eterna preda dell’Europa e dell’occidente, perché è troppo grande, è troppo ricca di materie prime, troppo indipendente, troppo “libera” a motivo della sua profonda “spiritualità”.
Chiaramente una tale narrazione serve al regime per rappacificare il popolo coi limiti evidenti della reale condizione economica e sociale che vive, quando comparata a quella occidentale. Descrizioni di questo tipo sono peraltro diffuse in tutti i sistemi autoritari.
- “Santa Russia”: è un’autodefinizione che lascia supporre un senso di superiorità – spirituale, ma anche morale e intellettuale – dei russi rispetto a tutti gli altri. È così?
Il discorso della supposta superiorità russa è stato effettivamente fatto: ha profonde radici storico-culturali. Tanti scrittori dell’800 e del ’900, ciascuno a suo modo, l’hanno sviluppato. Si può citare lo stesso Dostoevskij. Le declinazioni e le sfumature della supposta superiorità sono infinite: si va dalla dimensione spaziale e politica a quella propriamente spirituale.
Di fondo a tale discorso si rintraccia qualcosa che ha qualcosa a che fare con i valori dello spirito e della morale del popolo russo rispetto alle genti occidentali, ritenute più materialiste, individualiste, edoniste.
Non mi sento di smentire totalmente la sussistenza di un tale pensiero, anche se, come sempre, andrebbe adeguatamente spiegato alla luce della storia che ha messo a contatto con i sentimenti di superiorità degli europei – altrettanto – nei confronti dei russi. Senza tornare ancora a Pietro I, penso basti pensare agli ultimi 30 anni, dalla caduta dell’Unione Sovietica, per cogliere il senso di arcaismo e arretratezza – tecnologica ma anche politica – fatto pesare sui russi e da questi ribaltato nel verso di una cultura russa superiore alla europea.
Parlando con gli amici russi, viene sempre alla luce una sorta di compensazione: “sì, voi avete questo e quello, ma noi abbiamo qualcosa di più importante”.
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- L’atteggiamento verso i Paesi asiatici e le loro popolazioni e culture, qual è?
I russi – 150 milioni di persone su di un territorio immenso e con tutte le differenziazioni del caso – si considerano, nonostante le ambivalenze di cui ho detto, sostanzialmente parte dell’Europa e dell’occidente: amano i prodotti culturali europei, vengono a fare vacanza e shopping – appena possono – in Europa, investono in ville e panfili in Europa (naturalmente chi ha i soldi). L’Asia – con la Cina e l’India – sono pur sempre Paesi “altri”, poco attraenti, con cui avvertono di aver poco, per cultura, a che fare.
Certamente la narrativa sul mondo del futuro sta cambiando e, sempre più, sta presentando la Russia quale fondamentale ponte tra l’Europa e l’Asia.
Non dimentichiamo però che l’invasione più drammatica della storia – rimasta nella memoria atavica dei russi – la Rus’ di Kiev l’ha subita da parte dei tatari-mongoli nei secoli medievali. Secondo gli storici, quell’evento ha cambiato il possibile corso della storia russa – già rivolto all’Europa – precipitando le popolazioni russe in feroci guerre intestine. Va poi considerata la parte turcofona musulmana.
L’atteggiamento “popolare”, verso gli asiatici – sia di matrice cinese che turca – non è, perciò, di particolare entusiasmo.
- Come vede il rapporto politico tra la Russia di Putin e la Cina di Xi?
Il rapporto è, senza dubbio, più che culturale, economico, ed è in crescita: ma anche questo tipo di rapporto è percepito come potenzialmente pericoloso dai russi. Nell’estremo oriente della Federazione russa la presenza della Cina e dei cinesi è ben visibile, ormai da anni. Ha portato e porta una maggiore ricchezza, ma anche linguaggi e costumi che non sono molto graditi.
Si sta creando, in alcune zone, una nuova civiltà trans-frontaliera russo-cinese che non è vista molto bene, ad esempio, dai tradizionalisti dalle “barbe lunghe” – alla Dugin per intenderci -, da quelli che coltivano l’idea russa e il russki mir: per questi il mondo russo è fatto di cristiani ortodossi, contadini abbarbicati alla pura tradizione. La Via della seta e i villaggi della conservazione – o dell’isolazionismo russo attorno alle chiese – poco stanno insieme.
- I russi vanno in vacanza in India e in Cina?
Le difficoltà che stanno incontrando nel venire a passare le vacanze in Europa – ma non solo – stanno orientando i russi verso le mete asiatiche: in Thailandia, ad esempio, piuttosto che in Vietnam o su qualche costa della Cina. Molto dipende dalla distanza geografica – per cui sono per lo più i russi siberiani a muoversi verso quelle parti – e molto dipende dalla facilità di accesso attraverso i visti.
Motivazioni turistiche ed emigrazione, in tal senso, si stanno confondendo. In Thailandia si sta formando una comunità della diaspora russa, attrattiva anche per gli altri russi – non necessariamente esuli -, poste le difficoltà ad andare in Georgia piuttosto che in Turchia (le prime mete maggiormente raggiunte all’indomani dell’invasione dell’Ucraina e della dichiarazione della mobilitazione).
- Ci saranno comunque russi in vacanza in Italia e in Europa la prossima estate?
C’erano russi in Italia e in Europa l’estate scorsa. Ci sono e ci saranno ancora. Ma è prevedibile una diminuzione perché è divenuto difficile ottenere i visti e trovare gli aerei. Come noto, dall’inizio della guerra, per arrivare, a Milano da Mosca, bisogna fare almeno uno scalo intermedio. I voli sono pochi e strapieni. Un biglietto di andata e ritorno può raggiungere i 2.000 euro.
I viaggi stanno diventando, quindi, sempre più difficili e costosi: ci sarà chi potrà ancora permetterselo, ma i numeri penso che scenderanno.
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- Da pochi giorni si sta ipotizzando una possibile mediazione vaticana sulla guerra. Cosa ne pensa?
L’unica persona che ne sa qualcosa è il papa coi suoi collaboratori. Io posso solo cercare di valutare lo stato dei rapporti tra la Russia e il Vaticano che, da qualche anno, non sono dei migliori.
Naturalmente nel rapporto pesa la posizione – sempre più schierata in senso nazionalista – della Chiesa ortodossa russa. Tuttavia, solo, forse, nello specifico religioso sta l’unica possibilità di un dialogo: non dico di una trattativa.
Quanto ad una vera trattativa, francamente non vedo ancora, in questo momento, alcuna possibilità di mediazione possibile, né da parte del Vaticano, né da parte di altri soggetti. Questa potrà aver luogo solo quando la Russia si risolverà a ritirarsi dai territori illegalmente occupati, secondo il diritto internazionale. Solo allora si potrà trattare sulle sanzioni, sui protocolli di sicurezza militare, su quale tipo di relazioni si potrà ancora dare tra Russia e occidente; sui minori ucraini deportati, innanzi tutto. Perché è indubbio che relazioni civili e politiche vadano ripristinate.