Dal 1° al 7 giugno, con la cordiale ospitalità di Sua Beatitudine Theodoros II patriarca di Alessandria d’Egitto e di tutta l’Africa e nella suggestiva cornice della Cattedrale dell’Annunciazione, si è svolta la 15a sessione plenaria di lavoro della “Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Romana Cattolica e la Chiesa Ortodossa”, sotto la presidenza del metropolita Job di Pisidia (Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli) e del card. Kurt Koch (Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani).
Stato dell’arte del dialogo cattolico-ortodosso
Impegnativo e ambizioso il compito cui si doveva attendere: portare a termine la tappa del dialogo teologico tra le due Chiese inaugurata col Documento di Ravenna (DR).
Essa infatti prevedeva, dopo la messa a punto del quadro teologico condiviso da ortodossi e cattolici circa l’interdipendenza ecclesiologica di sinodalità e primato, come descritto appunto dal DR (2007: Ecclesiological and Canonical Consequences of the Sacramental Nature of the Church: Ecclesial Communion, Conciliarity and Authority), l’esame storico della situazione vissuta in merito nel primo millennio, proposto dal Documento di Chieti (DC, 2016: Synodality and Primacy During the First Millennium: Towards a Common Understanding in Service to the Unity of the Church), per giungere infine alla descrizione della situazione vissuta nel secondo millennio, oggetto appunto del Documento di Alessandria (DA, 2023: Synodality and Primacy in the Second Millennium and Today).
Sono stati necessari sette anni per siglare quest’ultimo documento, sulla base del draft prodotto dal Comitato di Coordinamento negli incontri di Bose in Italia (2018 e 2019) e di Rethymno a Creta (2022).
Nel frattempo, per le note vicissitudini che travagliano il mondo ortodosso, il Patriarcato di Russia ha abbandonato i lavori della Commissione, finché – è stato ufficialmente dichiarato – essa sarà co-presieduta, per la parte ortodossa, dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli.
Assenti ad Alessandria anche i rappresentanti dei Patriarcati di Antiochia, della Bulgaria e della Serbia, mentre erano presenti le restanti 10 delegazioni degli altri Patriarcati (Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme, Romania, Georgia) e Chiese autocefale (Cipro, Grecia, Polonia, Albania, Cechia e Slovacchia).
Grata memoria si è fatta, nel corso dei lavori, dei membri della Commissione recentemente scomparsi: i metropoliti Ioannis Zizioulas di Pergamo – cui si deve in buona sostanza l’ispirazione teologica che ha positivamente guidato sin qui il cammino –, Kallistos Ware di Diokleia, una delle figure spirituali e teologiche di maggior spicco nell’ortodossia contemporanea, Gennadios Limouris di Sassima, a lungo e con competenza e dedizione co-segretario della commissione per parte ortodossa; così come dell’arcivescovo greco-cattolico Florentin Crihălmeanu di Cluj, Romania, figura di straordinaria finezza spirituale e passione ecclesiale.
Nella delegazione cattolica non erano più presenti, avendo superato gli 80 anni, Fr. Frans Bouwen M. Afr., e i vescovi Dimitrios Salachas e Yannis Spiteris, il cui rilevante contributo da tutti con gratitudine è ricordato.
Nella liturgia celebrata nella Cattedrale cattolica di Santa Caterina, il 3 giugno, e nella divina liturgia di Pentecoste celebrata nel Monastero ortodosso di San Sabba, il 4 giugno, si è intensamente e congiuntamente pregato per la pace in Ucraina.
Dopo il promettente start della nuova tappa del dialogo registrato nel DR (che pure non è stato approvato dai Patriarcati di Russia, Bulgaria, Serbia e Georgia), il cammino non è stato privo di ostacoli. E tuttavia il risultato, alla fine, è senz’altro apprezzabile e segna un importante passo in avanti che spiana il terreno per il prosieguo del cammino.
Che risulta del resto già pianificato nell’obiettivo che persegue: affrontare, a partire dal prossimo anno e dal punto di vista teologico e canonico, tenendo conto dei risultati sin qui raggiunti, le questioni ancora aperte in ordine al raggiungimento di una condivisa comprensione della fede in ciò che le è essenziale e qualificante e in ciò che invece è espressione di legittima diversità.
Struttura e principali contributi del DA
Nella prospettiva disegnata dal DR, e sulla base del cammino compiuto in comunione – nonostante le tensioni – nel primo millennio, così come registrato nel consenso raggiunto nel DC, il tema del DA è illustrato al n. 0.3 dell’Introduzione: «Il presente documento considera la travagliata storia del secondo millennio in quattro periodi. Esso s’impegna a dare, per quanto è possibile, una lettura comune di questa storia, e offre agli Ortodossi e ai Romano Cattolici la benvenuta opportunità di spiegarsi vicendevolmente gli uni gli altri circa vari punti lungo questa strada, così da promuovere la reciproca comprensione e fiducia che sono requisiti essenziali per la riconciliazione all’inizio del terzo millennio».
Data la complessità e delicatezza del tema, il DA è sensibilmente più lungo di quello di Chieti.
I quattro periodi descritti, a partire dall’emblematica data del 1054, con il noto episodio della reciproca scomunica (cf. DA 1.1), sono i seguenti:
- dal 1054 al Concilio di Firenze (1438-1439);
- dalla Riforma al XVIII secolo;
- gli sviluppi nel XIX secolo;
- il XX e il XXI secolo: ritorno alle fonti e avvicinamento.
Pur con la necessaria sinteticità e privilegiando un approccio storico finalizzato a focalizzare obiettivamente lo snodarsi delle vicende e il profilarsi delle rispettive posizioni teologiche, l’analisi documenta almeno tre acquisizioni.
La prima si registra nel consenso, in linea generale, circa la lettura delle rispettive vicende vissute in rapporto allo sviluppo dell’interdipendenza tra sinodalità e primato.
La seconda, a partire da questa piattaforma comune, propizia un’intelligenza più chiara e condivisa delle ragioni che, da una parte e dall’altra, hanno portato – non di rado per motivi di natura storico-politica piuttosto che teologico-ecclesiale – a incentivare una distanza che non solo ha impedito ai tentativi di riconciliazione fatti lungo i secoli di giungere a buon fine, ma ha esasperato l’interpretazione polemica nei confronti dell’altra parte e l’irrigidimento apologetico della propria posizione.
Da registrare positivamente, in terzo luogo, la messa in valore dell’apertura a una situazione nuova segnata dall’avvicinamento e dal dialogo che si sono prodotti nel XX secolo e sino ad oggi, grazie al comune ritorno alle fonti della fede: il che propizia non solo una più pertinente valutazione dell’effettivo significato e peso teologico di quanto ancora non permette la piena e visibile unità, ma anche la condivisione della prospettiva entro cui occorre proseguire il cammino con fondata speranza nel suo felice esito.
Che si conferma, alla fine, quale dono di Dio insieme sinceramente ricercato e con fede invocato affinché sia da Lui graziosamente elargito.
È istruttivo leggere con attenzione, nei suoi vari passaggi, il reperimento dei risultati prodotti da questa lettura comune della storia della Chiesa nel secondo millennio attraverso la chiave di lettura del rapporto tra sinodalità e primato.
Penso, tra le altre cose: alla descrizione dell’affermarsi, nella Chiesa d’Occidente, di un’ecclesiologia giuridicista, in cui si sono decisamente accentuati il primato papale e una concezione universalistica della Chiesa, senza però che questo abbia fatto del tutto obliare il principio della sinodalità, che in varie forme è restato operante; alla ferita profonda inferta alle Chiese d’Oriente in particolare con la quarta crociata (1204) e con l’istituzione di una gerarchia latina parallela nelle antiche sedi della Chiesa greca; e, ancora, al significato ecclesiologico della crisi conciliarista in Occidente e al fallimento del Concilio di unione di Firenze, che però ha attestato come la differenza di formulazione dottrinale e di pratica canonica delle due Chiese non affettino l’unità nella fede; infine, al sistema giuridico del “Millet” nell’Impero ottomano, che, prevedendo il riferimento per i cristiani residenti nell’Impero a una rappresentanza unitaria, ha favorito la messa in luce della posizione centrale del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli in Oriente rispetto alle altre sedi storiche.
D’altra parte, gli sviluppi registrati nel XIX e nel XX secolo, a livello spirituale e teologico – si menzionano, nel DA, l’affiorare del concetto di sobornost nell’ortodossia slava e quello di communio a partire dalla Scuola di Tubinga in casa cattolica, così come il rilancio dell’ecclesiologia eucaristica nel Vaticano II (1962-1965) e nel Santo e Grande Concilio panortodosso di Creta (2016) – permettono di offrire una lettura equilibrata dei fenomeni dell’etnofiletismo nella Chiesa d’Oriente, del costituirsi travagliato delle Chiese orientali unite a Roma, così come dell’affermazione della dottrina del primato e dell’infallibilità papale sancita dal Vaticano I.
In tutto ciò – si conclude – sono risultati decisivi il “ritorno alle fonti” e la strategia del dialogo della carità tra le “Chiese sorelle” promosso, nella scia del Vaticano II, da papa Paolo VI e dal patriarca ecumenico Athenagoras. Anche l’odierno impegno della Chiesa cattolica, voluto con tenacia da papa Francesco, nel riscoprire e riattivare, a tutti i livelli, il principio della sinodalità, stimola senz’altro la speranza nel raggiungimento di una meta condivisa.
Purificazione della memoria
Ed ora? quali i risultati raggiunti e verso dove puntare lo sguardo? La Conclusione del DA risponde in sintesi con grande chiarezza a queste domande.
Sottolinea, innanzi tutto, che «la Chiesa non è correttamente compresa come una piramide, con un primato che la governa dall’alto, ma neppure è correttamente compresa come una federazione di Chiese autosufficienti. Il nostro studio storico della sinodalità e del primato nel secondo millennio ha mostrato l’inadeguatezza di entrambe queste visioni. Similmente, è chiaro che per i Romano Cattolici la sinodalità non è meramente consultiva, e per gli Ortodossi il primato non è meramente onorifico» (5.1).
In concreto, si rileva che il Vaticano II ha inaugurato autorevolmente la stagione di una più integrale intelligenza della Chiesa come mistero di comunione, in cui – secondo l’auspicio di Giovanni Paolo II nella Ut unum sint (1995) – la comprensione e l’esercizio del primato, da parte cattolica, si aprono a una situazione nuova, mentre, da parte ortodossa, è per lo più pacifico il riconoscimento che la sinodalità è interdipendente, complementare e inseparabile dal primato anche a livello universale (cf. DC 5).
Tale interdipendenza – questo il punto fermo acquisito – è «un principio fondamentale nella vita della Chiesa. Esso è intrinsecamente relazionato al servizio della Chiesa a livello locale, regionale e universale. Tuttavia, il principio dev’essere applicato in specifici contesti storici, e il primo millennio offre una preziosa guida per l’applicazione del principio testé menzionato (cf. DC 21). Ciò che è richiesto nelle nuove circostanze è una nuova e corretta applicazione dello stesso principio di governo» (DA 5.4).
Ne consegue che «Ortodossi e Romani Cattolici sono impegnati nel trovare le vie per superare l’estraneazione e la separazione che si sono verificate nel corso del secondo millennio» (DA 5.5).
Questo l’impegno per la prossima tappa del dialogo teologico. Da segnalare che – come registrato nel comunicato finale – la delegazione del Patriarcato di Georgia ha espresso il proprio «disaccordo con alcuni passaggi del documento», e che la Commissione – su richiesta della parte ortodossa e in particolare del Patriarcato di Costantinopoli, in rapporto a possibili interpretazioni divergenti nel mondo ortodosso – ha precisato il significato del paragrafo 19 del DC, riferentesi alle sedi cui occorre rivolgere appelli in caso di contenziosi, rimandando al can. 9 del Concilio di Calcedonia (451), ove si precisa il ruolo specifico, in Oriente, del «trono della città imperiale di Costantinopoli».