Di che cosa è pieno il vuoto?

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Il vuoto dei fisici non è il nulla dei filosofi. La fisica degli ultimi anni ci insegna che nella realtà degli esperimenti pensare che vi possa essere un nulla assoluto, o uno spazio completamente vuoto, è alquanto difficile.

Il «vuoto»

Il «vuoto» ha sempre creato «problemi» nel corso della storia: l’espressione latina horror vacui indicava la posizione aristotelica per cui «la natura rifugge il vuoto» (natura abhorret a vacuo), tanto che, per il maestro di Stagira, ogni gas o liquido tende costantemente a riempire di sé ogni spazio, evitando così di lasciarne porzioni non occupate. Il pensiero della scuola pitagorica antica e di quella atomista era all’opposto favorevole al vuoto: la sua «esistenza» non solo è possibile ma è un principio fondamentale affinché possano esistere le cose in modo separato le une dalle altre, ad esempio, il vuoto che permea gli atomi è quello che ne permette il movimento.

È solo grazie agli esperimenti di Torricelli del 1644 che si poté fisicamente vedere l’effetto del vuoto attraverso il livello di mercurio in un tubo chiuso che dipendeva dalla pressione atmosferica. L’esperimento fu confermato nel 1647 da Blaise Pascal che dimostrò che la colonnina di mercurio di Torricelli si svuotava completamente nella base se l’apparecchiatura veniva a sua volta confinata nel vuoto, ossia isolata dalla pressione atmosferica.

Oggi la scienza (e la tecnica) del vuoto trova importanti applicazioni. Dal semplice mettere «sotto vuoto» i cibi o gli oggetti per preservali dai patogeni o dallo sporco, fino alle applicazioni medicali o per le scoperte scientifiche. Qui sulla Terra il massimo che siamo in grado di realizzare, un vuoto «quasi perfetto», raggiungere un livello di circa 100 particelle per metro cubo. Si pensa che un vuoto ancora più spinto esista solo nello spazio intergalattico, dove nella stessa unità di misura sarebbero presenti una manciata di particelle.

Ma se anche fosse possibile raggiungere il vuoto senza particelle, sarebbe un vuoto perfetto? Siamo proprio sicuri che non c’è niente altro che si nasconda in quello spazio che abbiamo ripulito idealmente da ogni cosa? Lasciando da parte l’immenso numero di neutrini, che attraversano i corpi solidi senza farsi problema alcuno, e le varie onde elettromagnetiche che il buon Faraday ci ha insegnato ad isolare tramite la sua «gabbia», le nostre macchine per il vuoto non possono fare nulla contro le conseguenze previste dalle due grandi teorie di inizio secolo (quantistica e relativistica) che smentiscono a priori questa «perfezione», infatti, oltre all’assenza di materia, ci servirebbe un’assenza di energia.

Risposte dalla Quantistica

La meccanica quantistica ci dice che per ogni cosa, anche per lo spazio (che ci sembra vuoto) vale il principio di indeterminazione, per cui è possibile la creazione (praticamente istantanea e spontanea) di coppie di particelle coniugate (chiamate virtuali) che si annichilano tra di loro in brevissimo tempo dopo essere state prodotte dall’energia intrinseca del vuoto. Questo brulichio di particelle e antiparticelle che ne risulta sembra essere responsabile per l’energia oscura, quella componente che fa espandere l’universo in maniera accelerata.

Dalla teoria relativistica sappiamo poi che lo spazio è pervaso anche dalle onde gravitazionali, dovute allo spostamento e al collasso di enormi masse in movimento tra loro. Già nel 2015 fu dato il premio Nobel alla collaborazione LIGO/VIRGO, per la misurazione di onde prodotte da buchi neri di «taglia stellare». E pochi giorni fa, il 29 giugno, è stato dato l’annuncio di un risultato ancora più generale, della misurazione di un «fondo cosmico» di onde gravitazionali dovute a buchi neri di «taglia galattica».

Il trick che gli scienziati si sono inventati per rilevare il passaggio di questa quantità (enorme) di onde, che diventano un fondo in quanto si sommano tra loro in un lentissimo «brusio» cosmico che pervade tutto lo spazio tempo, è quello di misurare le variazioni (infinitesimali) di precisissimi «orologi cosmici» chiamate pulsar, dal loro caratteristico segnale radio che ci raggiunge in maniera ricorrente con una precisione oltremodo accurata.

Selezionando decine di queste stelle all’interno della nostra Via Lattea e distanti migliaia di anni luce da noi, e valutando, tramite una serie di radiotelescopi e dati raccolti per decine di anni, le minuscole variazioni del periodo di rotazione di questi piccoli fari galattici, gli scienziati hanno scoperto l’esistenza di onde gravitazionali ultra lunghe generate, secondo le teorie più accreditate al momento, da coppie di buchi neri supermassicci durante il processo di fusione fra due galassie. Questi buchi neri orbitano al centro di galassie in collisione o in fusione l’una con l’altra, e durante il loro orbitare, la teoria di Einstein prevede che vengano emesse onde ultra lunghe. Tali onde gravitazionali hanno una frequenza bassissima, paragonabile al tempo di rotazione di una galassia intorno ad un’altra, cioè di milioni di anni.

Il mistero che noi siamo

Che dire? La natura ci rivela sempre delle sorprese, e la iniziale visione aristotelica del fatto che non vi sia nulla che non contenga qualcosa sembra ritornare in auge. In tutta sincerità, anche se riusciamo a vedere con gli strumenti (e a volte ancor prima con la teoria) quello che è invisibile ai nostri occhi, questo più che alimentare un senso di padronanza e sicurezza sul creato, desta stupore, sia per i credenti che non.

L’Autore della natura sembra nascondere le future scoperte una dentro l’altra, ma sembra aver destinato lo scorrere del tempo e la nostra curiosità a non toccare mai il fondo dell’essere con sicurezza e controllo! Contro ogni pretesa di una teoria del tutto, contro ogni idolatria delle leggi di natura!

Che cosa ci riserverà il futuro? Nuove sonde (come JWST) partono per lo spazio per sondare i momenti iniziali dell’universo, oppure per provare a mappare la misteriosa materia oscura (Euclid). Se vogliamo catalogare sotto la parola mistero questo fascino della scoperta e questo magico legame dell’infinitamente piccolo con l’infinitamente grande, dobbiamo però ritornare alla più classica delle domande. Infatti, quello che ci si pone davanti e che domanda spiegazione è prima di tutto la nostra stessa esistenza: anche essa sembra pienamente visibile e scientificamente sondabile, alle volte persino trasparente e prevedibile attraverso le nuove IA, sappiamo tuttavia che − se indagata nel profondo − essa può lasciarci senza parole, perché non c’è cosa o personaggio per cui si lasci completamente afferrare. E allora, prima di indagare tutto il cosmo, dovremmo chiederci se vale ancora il detto della sapienza greca: «conosci te stesso»?

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Un commento

  1. Giorgio 10 luglio 2023

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