Custodire lo sviluppo della fede

di:
oliva111

Foto di Lu Nan

La lettera di papa Francesco indirizzata lo scorso 1° luglio a mons. Victor Manuel Fernandez, nuovo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, contiene alcuni passaggi degni di riflessione. Particolarmente rilevanti alla luce del rapporto Chiesa-mondo a quasi sessant’anni dalla promulgazione della Gaudium et spes.

  1. La prospettiva dalla quale muove Francesco è quella di un impegno serio nel custodire la fede cattolica senza estremismi o relativismi. Custodire però non vuol dire semplicemente conservare come un reperto museale bensì rendere sempre ragione della bellezza e della freschezza di ciò in cui crediamo: “È vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano” (Evangelii gaudium 271). Custodire vuol dire non solo difendere dai pericoli, ma anche rendere “gustoso” il contenuto della fede cristiana. Rispetto alla fluidità del mondo odierno, anche nell’espressione della sensibilità religiosa e culturale, la teologia è chiamata a rivelare la coerenza del messaggio del Vangelo per le sfide del popolo. A tale proposito l’atteggiamento di Francesco sembra favorire una dimensione pastorale della riflessione teologica in continuo dialogo con il mondo, nel rispetto della dignità umana. Così il papa gesuita nella lettera in questione: “Abbiamo bisogno di un modo di pensare che possa presentare in modo convincente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le chiama al servizio fraterno”.
  2. Nel corso della storia la missione del Dicastero per la dottrina della fede non sempre ha conseguito questi obiettivi: “Il Dicastero che lei presiederà in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali”, chiarisce Francesco. Nonostante siano diversi i casi che potremmo citare a mo’ di esempio, segnaliamo questo accenno di sincera autocritica che muove il papa stesso tentando di affermare alcuni binomi a volte traditi: dottrina e umanità, fede e storia, ortodossia e libertà, difesa della fede e dignità umana La sana preoccupazione per l’ortodossia, infatti, non giustifica l’utilizzo di metodi anti-evangelici (ammonimenti, punizioni, segnalazioni, torture fisiche e morali) bensì dovrebbe favorire “l’intelligenza e la trasmissione della fede al servizio dell’evangelizzazione, perché la sua luce sia criterio per comprendere il significato dell’esistenza, soprattutto di fronte alle domande poste dal progresso delle scienze e dallo sviluppo della società” (Fidem servare, 2).
  3. A chi custodisce la fede cristiana è richiesta una maturità relazionale che, per i cristiani, viene prima di ogni atteggiamento giuridico e punitivo. Custodire l’ortodossia vuol dire favorire una ortoprassi evangelica a vari livelli, riconoscendo che la fede cristiana non è un pezzo da museo ma un fiume sempre in movimento capace di generare vita e riscatto. Più che la rigida difesa dell’ortodossia a Francesco sta a cuore l’urgenza di annunciare il Vangelo in un cambiamento d’epoca che richiede linguaggi, stili e paradigmi teologici rinnovati. Custodire la fede vuol dire saperla tradurre nelle categorie culturali di oggi: “Questa crescita armoniosa preserverà la dottrina cristiana più efficacemente di qualsiasi meccanismo di controllo” (Lettera di papa Francesco, 1° luglio 2023). Se è vero che “la ricerca teologica è strumento di evangelizzazione e contemporaneamente di incarnazione dell’essere ecclesiale” (J.M. Tillard, Pluralismo teologico e mistero della Chiesa, Concilium 1/1984, 139) non si può fare a meno di includere nella valutazione ortodossa i criteri storici e antropologici. Sviluppo teologico in dialogo con le culture del tempo e annuncio del Vangelo richiedono di attivare una prospettiva ermeneutica e pluralista. In più occasioni gli studi biblici e teologici in chiave interpretativa hanno agevolato lo sviluppo di alcune prospettive che sembravano assolute, mentre “il bisogno di ascoltarci gli uni gli altri e completarci nella nostra recezione parziale della realtà e del Vangelo” (Evangelii gaudium, nota 44) dischiudono una ricerca teologica in chiave plurale. La logica oppositiva, conseguenza di una dottrina monolitica, richiede di essere superata favorendo lo sviluppo di “diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale”, che contengono la possibilità di “far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola” (Evangelii gaudium 40).

Già nell’intervista in volo dal ritorno dalla GMG in Brasile (28 luglio 2013) papa Francesco aveva lasciato intuire il desiderio di un passaggio indispensabile per il futuro della libertà teologica e della garanzia umana e spirituale del Magistero: dall’anathema sit al famoso “chi sono io per giudicare?”. Il cammino è ancora lungo e i presupposti che l’anziano pontefice tenta di costruire richiedono soggetti ecclesiali attrezzati di una formazione matura e capace di accogliere lo sviluppo teologico per rispondere alle sfide di oggi e di domani.

“L’interpretazione critica della vita ecclesiale attuale, fatta mediante un paragone con i documenti emergenti dal passato e mediante l’apertura verso situazioni sempre nuove, non può dunque essere concepita come un succedersi di tre passi successivi, ma come la convergenza di tre dimensioni simultanee di una realtà culturale complessa. Mentre leggiamo il Vangelo, nella nostra mente risuonano gli interrogativi attuali e, viceversa, guardiamo la realtà presente nella luce del Vangelo” (Z. Alszeghy-M. Flick, Come si fa la teologia, Paoline, Roma 1974, 60).

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