Un esule siriano in Europa riporta testimonianze delle attuali condizioni di vita della popolazione in Siria e interpreta le ultime vicende di politica internazionale che hanno riportato in scena l’immagine del capo del regime Bashar al-Assad.
- Come vanno le cose oggi in Siria, dal punto di vista economico e sociale?
Gli attuali indici economici siriani sono più che disastrosi. Uno per tutti: la moneta nazionale – la lira siriana – non vale quasi più nulla, è ormai carta straccia.
Per avere un’idea: 1 dollaro americano vale oggi circa 9.400 lire; all’inizio della guerra (2011) 1 dollaro veniva cambiato a 50 lire siriane. Perciò un salario medio mensile nel settore pubblico oggi in Siria – circa 150.000 lire siriane – costituisce l’equivalente di 17 dollari!
Crisi: economia e terremoto
- Come riesce a campare – così – la gente rimasta in Siria?
In Siria alla maggioranza manca tutto: cibo, carburante, medicine e cure, ecc. Ma tutto – o quasi – si può procurare ai prezzi forti dell’economia di guerra, ossia nel mercato nero e sporco.
Le famiglie siriane sopravvivono in ragione di due fattori essenziali: il primo è legato al principio della zakat – letteralmente la purificazione – ossia l’obbligo religioso prescritto dal codice coranico di elargire ai poveri per purificare la propria ricchezza: corrisponde al 2,5% circa del valore della ricchezza personale annuale. La zakat è uno dei cinque pilastri dell’Islam.
Una buona parte dei musulmani ricchi e praticanti paga ancora questa tassa di solidarietà sociale: una parte lo fa per una fede profonda e discreta; un’altra grande parte, quella dei commercianti di tutti i tipi, la paga per paura della vendetta divina, perché ritiene che il successo economico della carriera sia dovuto proprio a tale osservanza: ingenua credenza religiosa da parte di chi ha accumulato ricchezze partendo da una classe sociale medio-bassa, strettamente legata alla obbedienza alla prescrizione religiosa.
Tale fattore è radicato e diffuso tra i Fratelli Musulmani che hanno creato una sorta di Opus Dei che pone in stretta relazione l’obbedienza religiosa e la ricchezza. In questo modo i soldi vengono distribuiti – direttamente dalle loro mani – per il tramite di associazioni create allo scopo.
Non tutti i commercianti appartengono al movimento dei Fratelli Musulmani, ma tutti sono praticanti e devoti, quindi temono, se non pagano, di perdere la loro ricchezza. Il loro slogan è «Tutti i miei beni sono di Dio». Gli “uomini d’affari” che hanno in mano, grazie al regime e per il regime, settori vitali della vita economica siriana sono al di fuori di tutta questa logica religiosa.
Il secondo fattore di sopravvivenza è sostenuto dalla diaspora siriana, stimata oggi in 13.700.000 persone, su 23 milioni di siriani abitanti in Siria prima della guerra: queste persone, secondo le possibilità, mandano ogni mese ai loro familiari piccole cifre in moneta straniera, che vale molto sul territorio e senz’altro aiuta le famiglie a cavarsela.
Questo corso capillare di soldi in moneta straniera non sostiene solo i familiari – umiliati, espulsi, oppressi – ma, purtroppo, anche l’economia fallimentare del regime di Assad, che, in parte, se ne appropria indebitamente.
I 9 milioni di siriani che sono rimasti in Siria – dei quali 5 milioni sfollati interni – vivono quindi di assistenza, sia interna che esterna.
- Il terremoto è sparito presto dalle nostre cronache. Specie dal lato della Siria, ne abbiamo saputo ben poco. Cosa può dirne?
Il terremoto è scomparso, da subito, dalle cronache siriane, prima che da quelle occidentali. Il regime, nella persona di Assad, ne ha fatto oggetto di una propaganda cruda, la cui immagine simbolica resta la sua apparizione, indecente, sulle macerie di Aleppo.
Già due anni fa, Assad con la sua intera famiglia, moglie e figli, era apparso sulle rovine di Aleppo, ovvero su quanto era rimasto ancora in piedi alla periferia di Aleppo dopo i bombardamenti a tappeto ordinati e coordinati dallo stesso Assad coi suoi alleati – di fatto i “padroni” – russi. Assad era già andato a fare i suoi selfie familiari, come se le rovine fossero resti archeologici antichi e non tragiche macerie – tombe di cadaveri insepolti – quali sono.
Ma la propaganda sul terremoto – sulla pelle strappata della gente – non poteva, evidentemente, durare a lungo: non ha prodotto effetti utili al regime, anzi, avrebbe potuto, insistendo, dare risultati controproducenti. Perciò Assad ha presto deciso, bellamente, di lavarsene le mani e lasciar perdere tutta la partita del terremoto. Solo ha cercato di sfruttare i media mondiali e le trattative con le organizzazioni internazionali, soprattutto con l’ONU, per riabilitarsi in qualche modo, mostrando una finta autorità agli occhi occidentali. Ma anche questo tentativo è sostanzialmente fallito.
Nella prima fase, qualche ora dopo il terremoto, nella zona di Aleppo e di Idlib, sono state le famiglie di Aleppo ad allestire – con grande bontà – cucine di fortuna per sfamare la gente rimasta per strada nel buio, nel fango e nel freddo. Queste non hanno chiesto e non hanno ricevuto nessun aiuto: le famiglie aleppine hanno pagato di tasca loro il costo della loro umana solidarietà.
Ben presto il problema più grave si è rivelato trovare un tetto ad intere famiglie, costrette a vivere all’aperto e già in estrema difficoltà. Nessuno – a nessun livello – è andato in quelle zone a dare una mano. Perciò è iniziato un secondo o un terzo sfollamento interno, in pochi anni, in Siria, verso una qualche terra più “accogliente”: verso un tetto di fortuna o una tenda, specie verso la zona di Idlib, non controllata dal regime.
Pensate che i russi – e il regime – non hanno arrestato i colpi di guerra sui “ribelli” in quella zona a sud di Idlib, neppure per qualche giorno dopo il terremoto: eventi – questi – che non sono mai stati raccontati dalla stampa e dai media occidentali; solo la TV al-Jazeera ha mandato in onda qualche immagine al riguardo.
Per quanto concerne gli aiuti internazionali, una parte è stata distribuita ai miliziani del regime e una parte ai familiari del regime; il resto è stato venduto per strada con il marchio ONU, senza alcun pudore.
Il regime di Assad
- Eppure, Assad è stato riammesso, dopo tanti anni, agli incontri della Lega Araba: si tratta di una riabilitazione?
Vero è che Assad, alla fin fine, è stato invitato alla riunione della Lega Araba tenutasi recentemente a Gedda, dopo l’espulsione della Siria dalla stessa nel 2011 a motivo delle feroci repressioni contro la popolazione. Abbiamo saputo che lo hanno invitato per contenerlo, ovvero per limitare i danni che sta procurando nell’intero Medio Oriente: innanzi tutto per neutralizzare, almeno in parte, la deleteria piattaforma della droga captagon, con cui Assad sta inondando il regno della Giordania hascemita e i Paesi del Golfo, e pure l’Europa, dal porto di Salerno in Italia.
Apro qui un breve inciso, interessante per l’Italia: il ritrovamento di tonnellate di captagon – camuffate in carta di giornali enormi nel porto di Salerno – non è stato infatti sufficientemente divulgato dai media italiani.
L’economia del captagon è oggi la colonna vertebrale finanziaria del regime di Assad. La Lega Araba ha voluto, dunque, invitare Assad per contenere, appunto, gli effetti pericolosissimi del captagon sulla salute dei giovani dei Paesi aderenti alla Lega Araba. Non parlo qui del Libano, ma si sappia che il grande complice di Assad nel traffico di droga è Hezbollah, in Libano. I territori libanese e siriano sono inondati oggi di captagon.
Il secondo motivo per cui è stato invitato Assad a Gedda è concedere qualcosa all’Iran, con cui l’Arabia Saudita ha avviato, come noto, un riavvicinamento politico inteso a stabilire una zona strategica per i Paesi del Golfo. Nel mentre, l’obiettivo di prospettiva della Lega Araba – terzo motivo – era e resta allontanare Assad dai suoi – troppo stretti e militarmente forti – alleati iraniani in territorio siriano.
Si rileva che i tre intenti sono completamente falliti. La partecipazione di Assad è stata disastrosa. Infatti, Assad ha tenuto un discorso completamente staccato dalla realtà parlando di un futuro Medio Oriente di pace, ricostruzione, prosperità e benessere. Ha fatto un discorso sempre alla sua maniera: arrogante, orgoglioso, negando dodici anni di massacri. È chiaramente apparso un Assad che non ha in mano il proprio destino: oggi non può fare a meno del captagon per la sua “economia” e non può allontanarsi di un millimetro dal feroce alleato di ferro – la Russia di Putin – con le sue varie milizie: compresa la famigerata Wagner, il cui “volto” criminale è ben noto in Siria, ormai da anni.
Ricordiamo qui che l’aviazione russa ha bombardato la periferia di Damasco e la periferia di Aleppo per 1.098 giorni, senza tregua. I russi hanno testato in Siria la loro nuova piattaforma missilistica, insieme ad oltre 250 tipi di nuove armi, messe a punto dall’industria militare russa. La periferia di Aleppo e quella di Idlib erano già state distrutte ben prima del terremoto, che ha fatto “solo” cadere ciò che ancora era in piedi.
D’altro canto, la Lega Araba – anche nel suo passato periodo d’oro – non è stata capace di risolvere alcun vero problema nella Regione mediorientale, basti pensare ai 15 anni di guerra civile in Libano, all’invasione del Kuwait ad opera dell’esercito iracheno di Saddam Hussein, alla guerra nello Yemen, alla guerra in Libia e alla guerra oggi in corso a Khartum, a qualche centinaio di chilometri dalla sede generale storica della Lega Araba: il Cairo. Il Sudan era, fino al 1952, parte integrante del Regno dell’Egitto. La Lega Araba si è sempre dimostrata un club di dittatori incapaci di risolvere le rivalità interne e, con le loro contraddizioni di regimi solo diversi per nome, continuano a governare – da dinastie ereditarie – con la repressione.
È avvenuta quindi la riabilitazione di Assad? Direi proprio di no: solo apparentemente!
Turchia-Siria
- Erdogan è stato confermato dalle elezioni in Turchia. Arriverà a fare accordi con Assad?
Erdogan ha vinto la sua battaglia elettorale interna e confermerà le sue scelte geopolitiche in Medioriente. Il suo rivale ha fatto una gaffe enorme annunciando pubblicamente la sua appartenenza alla comunità – ritenuta eretica – alaouita, la stessa che governa, col sangue, in Siria.
La sua esternazione è apparsa persino stravagante e contraddittoria – nel panorama nazionale turco e non solo – rispetto al patrimonio laico kemalista di cui si è fatto portatore. Il suo spessore personale, culturale, sociale e politico, evidentemente, valeva assai poco per poter vincere, anche se, al suo fianco, avrebbe potuto darsi una figura di spessore internazionale quale Ahmad Daoud Oglu, ex primo ministro ed ex ministro degli Affari esteri – pure in governi guidati da Erdogan -, professore universitario di Geopolitica, fondatore della teoria dei quattro mari dell’influenza politica turca.
Ma ricordo che 4 milioni di siriani sono tuttora rifugiati in Turchia e che altri 4 milioni, nella zona di Idlib, sono protetti, rispetto agli intenti omicidi di Assad, proprio dalla Turchia di Erdogan, mentre la “vendetta sui ribelli” è ancora molto attiva da parte della aviazione russa e di quella, ovviamente, del regime siriano.
Personalmente, ritengo che non ci sarà mai nessun accordo diretto tra Erdogan e Assad. I due si detestano su tutti i fronti. Le condizioni per mantenere una certa stabilità nel nord della Siria tra i due Paesi, con le sorti che possono evitare lo scontro tra eserciti stranieri in territorio siriano, sono nelle mani degli agenti dei servizi segreti e militari turchi, russi, americani e iraniani, a dispetto di chi si dichiara ancora il “sovrano” della Siria, pur valendo nulla: Bashar al-Assad.