Maledetti confini

di:

benny

Il libro di James Crawford Maledetti confini. Storie di linee tracciate sul mondo, Bollati Boringhieri 2022, è colmo di dati e di storia e scritto con grande eloquenza. L’Autore accompagna i lettori nelle ricerche da lui condotte nel tempo e nello spazio, non solo in archivi e musei, ma anche “sul campo”, in vari luoghi della Terra, documentando vicende in cui tanti confini sono stati prima costruiti e poi distrutti, testimoniando, così, quel che ne resta e provando a conferirne il senso transeunte per il corso dell’umanità. La dimostrazione è che il confine non è qualcosa di fisico-naturale, destinato a durare nel tempo, bensì, piuttosto, una mera traccia delle relazioni fra i gruppi umani.

Oggi – specie alla luce dei cambiamenti climatici, crisi alimentari, guerre e fenomeni migratori – bisogna guardarvi con occhi decisamente nuovi.

Crawford entra, col suo libro, ad esempio, nel British Museum e guarda la stele di Mesalim, forse la prima nota della storia, eretta 4.500 anni fa, a segnare la separazione fra le terre di Lagash e quelle di Umma, abitate da popolazioni sumere in lotta fra loro: allora fu coniata la locuzione “terra di nessuno”, ad indicare un’area di interposizione vuota, non percorribile, né tanto meno abitabile.

La sua esplorazione porta poi al punto contrassegnato, nel 1897, da cippi in cui convergevano i confini fra Norvegia, Svezia e Finlandia: una storia dei Sami – noti anche come Lapponi – al seguito delle renne, in pacifica, quanto costante, violazione dei “diritti degli Stati”: a mostrare come un popolo senza territorio – e una società senza proprietà privata – possano sopravvivere. La costruzione di grandi sbarramenti fluviali e i cambiamenti climatici oggi sconvolgono il succedersi delle stagioni, i paesaggi artici, gli habitat delle renne, quindi, la vita dei Sami.

Situazione diversa quella narrata a proposito del Peloponneso del VI secolo a.C.: allora Spartani, Tegeani e Argivi si scontrarono duramente. A segnare i margini e i limiti estremi della Polis furono gli edifici dei Santuari, emblemi della dimensione urbana ove vigeva la “democrazia”, ma in cui contavano veramente solo gli uomini (maschi adulti), non le donne, né i bambini. Fuori dal limite della Polis – per chi ci stava dentro – c’era solo l’anarchia, il caos, la follia.

Nel corso della Prima Guerra Mondiale, nella sola Battaglia della Somme, perirono decine di migliaia di soldati acquartierati in 650 Km di trincee separate dalla solita “terra di nessuno”.  Dal 1914 al 1918 furono le trincee a dividere fisicamente un unico territorio: Crawford pensa ad un’unica via – che definisce “sacra” – dalle spiagge del Mare del Nord alle Alpi.

I confini possono essere, ovviamente, costruiti da vallate, rafforzate da mura, come quelle tra i fiumi Forth e Clyde, ai tempi di Antonino Pio, al limite dell’Impero Romano con la Scozia, oppure la Grande Muraglia di pietre, lunga 4.500 miglia, fra la Cina e i “barbari”, ovvero le mura di ferro frapposte da Alessandro Magno contro gli Sciiti. Al proposito, Crawford cita oggi il grande firewall eretto dal governo cinese per mettere in sicurezza le comunicazioni via internet.

È narrata quindi la vicenda della “Linea Verde” tracciata nel 1949 da Moshe Dayan e Abdellah el Tal, a separare israeliani e palestinesi: una linea che fece di colpo diventare molti palestinesi profughi nella propria terra natia. La Linea Verde è stata cancellata, nel 1967, dopo la Guerra dei 6 giorni. Ma il muro è comparso in Cisgiordania nei primi anni 2000, perché, per lo Stato d’Israele, contano le terre, non le persone che le abitano.

Dalla visita storico-geografica di Crawford appaiono anche frontiere permeabili, oggi perdute, quali quelle che separavano gli USA dal Messico fino alla Louisiana, tracciate dai geografi Mason e Dixon tra il 1821 e il 1848 con 276 obelischi: un confine che ha continuato a spostarsi e a trasformarsi sino a divenire quel muro di 3.000 chilometri che, di questi tempi, milioni di persone tentano di superare, con 7.000 persone già morte, nel tentativo di attraversare il deserto, ancora prima di arrivarci.

Nel libro sono contemplati gli odierni confini meridionali dell’Europa con le enclaves spagnole di Ceuta e Melilla in Africa, e quelli orientali tra la frontiera greca e turca, con i numerosi casi di respingimento violento.

Si tratta, nel libro, persino del confine europeo tra Austria ed Italia: una linea che continua a spostarsi con lo scioglimento dei ghiacciai. Crawford, puntigliosamente, ricostruisce il lavoro decennale dell’Istituto Geografico Militare di Firenze volto a definire la linea spartiacque fra i due Paesi e quindi fa visita ad Ötzi – l’uomo di 5.300 anni fa del Similaun probabilmente ucciso da una freccia e ritrovato conservato dal ghiaccio – antesignano e prototipo degli umani che, da sempre, attraversano le montagne, ignorando immaginarie linee di confine, per gli scambi che rendono possibile, semplicemente, la vita.

Lo spostamento delle linee riguarda, oggi, l’Africa, nel limitare fra il deserto e la savana: una soglia che continua ad abbassarsi verso sud, con la conseguenza di milioni di persone che si ritrovano alla fame, senza più terre da coltivare, costrette a migrare per sopravvivere, scontrandosi però con i nuovi confini.

Dalla necessità di contrastare l’avanzata del deserto, è nata l’idea – in via di realizzazione – della “grande muraglia verde” fatta da milioni di alberi, per fermarne l’avanzata, entro il 2030. Nel 2020 è stato raggiunto il 4% dell’obiettivo. In realtà, il muro verde si sta già trasformando in un mosaico di terre aride e di terre verdi, senza disponibilità per le comunità locali. Meglio quindi sarebbe ripristinare ettari di foreste urbane nelle città del Sahel e dell’Asia Centrale.

Sempre a causa del clima, si sta innalzando il livello dei mari e cominciano a scomparire interi Stati insulari del Pacifico. Crawford lo ricorda. Si pensi che il 10% della popolazione mondiale vive in zone con altitudini sul livello del mare inferiori ai 10 metri.

In realtà, dunque, i confini “naturali” non sono mai esistiti e non esistono: fluttuano su una sorta di altalena, mutando continuamente, insieme ai paesaggi. Per 6.000 anni gli umani hanno vissuto nella porzione del Pianeta ove le temperature medie si sono collocate fra gli 11° e i 15° gradi. Fra l’oggi e il 2070 tale “nicchia climatica” andrà a restringersi, con l’interessamento della vita di 3,5 miliardi di persone.  Le persone si spostano solo se devono e non se vogliono farlo. Così come accade per numerose specie di animali e di piante.

Ma cosa accade quando non ci si può spostare? Come fare perché l’umanità continui a vivere decentemente su questa Terra? La conclusione – condivisa con Crawford – è che nessuno può pensare di rinchiudersi a riccio dentro i propri confini di Stato. Le migrazioni sono l’elemento costitutivo della storia e della civiltà umana. Da qui il sostegno – che il libro può dare – all’idea di una cittadinanza globale.

Niente di nuovo: già Aristotele proponeva che la terra di confine fosse considerata un ponte. Mi pare che anche papa Francesco dica qualcosa di simile. Allora, perché l’umanità si attarda a conservare – con la forza della guerra! – questi Maledetti confini?

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