Avevo 19 anni quando c’incontrammo, nell’aula ottava dell’Università di Bologna, alle lezioni di filosofia teoretica di un filosofo che sarebbe divenuto maestro di entrambi, Teodorico Moretti-Costanzi. Luigi Bettazzi aveva 28 anni. Terminato la Gregoriana, seguiva i corsi di filosofia nella nostra Alma Mater.
Condiscepoli, non diventammo subito amici, per il distacco allora grande imposto ai sacerdoti nei confronti della donna. Don Luigi era timido e riservato, e a noi, in gran parte non praticanti pur appartenendo a famiglie di tradizione e di vita cattolica, e cercatori a volte tormentati delle ragioni del vivere, non interessava particolarmente. Ma ci colpiva la sua amabilità sempre sorridente, e una innata gentilezza.
Cominciò anche a frequentare talvolta le serate al piccolo cenacolo di filosofia nato intorno al nostro maestro. Fu lì che nascevano i progetti di tesi di laurea, dei primi articoli di noi principianti studiosi del pensiero cristiano, le iniziative circa congressi filosofici e teologici. Lì maturò la sua tesi di laurea.
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Luigi Bettazzi divenne presto assistente spirituale dei giovani della Fuci e pupillo del card. Lercaro, che ne intuiva le grandi doti e lo preparava a diversi incarichi nella Chiesa.
Trascorse così circa un quinquennio. Alcuni di noi iniziarono, per desiderio del maestro, il cammino di quello che oggi è un dottorato di ricerca.
Quando mi fu chiara, sui 25 anni, la direzione che avrei dovuto dare alla mia vita mi rivolsi a “don Luigi” non più come collega ma come sacerdote. Il nostro rapporto cambiò. Il compagno di studi timido e delicato, quasi esitante, si rivelò un fratello maggiore esigente e anche severo, dolce ma fermo nel guidare una ragazza anticlericale e ipercritica, ignara della concretezza della vita cristiana, innamorata di quella che poteva sembrare una chimera più che una vocazione alla vita monastica (Mi indirizzò anche a don Giuseppe Dossetti, che iniziava la fondazione della sua “Piccola famiglia” monastica),
Per tre anni questo fratello divenuto padre mi fece fare i passi indispensabili per accogliere una vocazione imprevedibile e non facile. Tralascio il racconto, che sarebbe anche comico, delle salutari mortificazioni a cui mi orientò, in un caso almeno simili a quelle che imponeva s. Filippo Neri…
Questa austera disciplina fu provvidenziale per la vita a cui mi orientavo, che negli anni ’60 era molto austera e che richiede comunque, come vita cristiana, docilità e obbedienza.
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Luigi Bettazzi fu maestro anche nell’educare me, e le numerose vocazioni alla vita monastica che guidò, al distacco cristiano. Comunicava realmente, con la dolcezza forte e mite che lo caratterizzava, la potenza inerme e audace del Vangelo. La sua penetrazione dei cuori era finissima, ma insieme discreta, mai invasiva, rispettosa e tenera.
Venivo da rapporti profondi e formatori con maestri straordinari; egli per primo, in modo apparentemente dolce e persuasivo, ma fermo mi portò al Vangelo. Mi accompagnò al Carmelo, accolse i miei voti, fu il celebrante di ogni momento importante della mia vita monastica. Come mi aveva promesso, ogni anno venne a visitarmi almeno tre volte, con una fedeltà assoluta. Abbiamo vissuto insieme la sua passione di uomo di Dio e della storia per la Chiesa e per il mondo, per la pace e la comunione tra tutti gli uomini.
Pure da lontano, seguivo le vicende che lo coinvolgevano e a volte sconcertavano spiriti diversi da lui, più ancorati a forme che il cammino della Chiesa dopo il Concilio, al quale Luigi Bettazzi partecipò come vescovo più giovane, e al quale per tutta la vita cercò di sensibilizzare tutti, andava considerando desuete.
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“Don Luigi” dava sempre una testimonianza cristiana contagiosa, per la serenità con la quale accettava incomprensioni e critiche che suscitava anche nella Chiesa, non nei poveri e negli indifesi, per i quali sapeva prendere posizioni forti.
Si poteva talvolta divergere nella comprensione di atteggiamenti che apparivano ardui solo perché anticipavano i tempi ma mai poteva incrinarsi il dialogo nei confronti di realtà che “don Luigi” vedeva con l’occhio puro del Vangelo. Senza sconti, e pagando di persona.
Ho seguito indirettamente ma sempre con gioia i suoi passi di sacerdote, vescovo, tutti gli incarichi che gli sono stati affidati nella Chiesa, le prove che ha vissuto, l’irradiazione ampia della sua paternità di vescovo, l’amore per la sua amatissima Chiesa di Ivrea di cui è stato pastore trentatré anni.
Nelle sue visite faceva fare a me, e spesso anche alle sorelle, il giro del mondo, in una delle sue ultime visite ci disse che la sua casa era il treno.
Sono testimone con tanti altri, per es., il card. Arrigo Miglio, per anni al suo fianco a Ivrea, dell’intensa vita di preghiera che don Luigi ha sempre condotto, non tralasciando mai la recita del breviario, le levate mattutine, la capacità coraggiosa di compromettersi per gli ultimi, anche sfidando l’opinione pubblica, accettando ogni rifiuto. Ma sempre da innamorato della Chiesa e da apostolo ubbidiente.
Prima di alcuni viaggi importanti, come le sue frequenti missioni in Vietnam, veniva a darmene notizia. Lo seguivamo con amore nella nostra comunità di cui era divenuto intimo.
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Siamo invecchiati insieme, abbiamo visto tramontare a questa vita tanti comuni amici, compagni di studio, di ambiente, siamo entrati nel cambio di civiltà nel quale viviamo.
Difensore strenuo della pace – quanto ricordava la Pacem in terris di papa Giovanni XXIII! – innamorato di L. King e di Gandhi e dei profeti più vicini a noi, da Mazzolari a Turoldo, amico di tutti, in particolare di chi si dedicava ai poveri, da Helder Camara a Tonino Bello, Luigi Bettazzi ne ha seguito il percorso con la stessa dedizione ai poveri dell’umile grande vescovo di Molfetta, che egli conobbe nel 1981 come parroco di Tricase.
Divenuto presidente internazionale di Pax Christi, con l’assenso del card. Ballestrero, presidente della CEI, indusse Tonino Bello ad accettare la nomina a presidente nazionale del Movimento per la pace di cui don Tonino divenne entusiasta. Fecero insieme la missione di pace a Sarajevo, don Luigi ne ha scritto un ricordo impressionante.
Nel mio piccolissimo spazio, il giudizio più vero che ho sentito su di lui mi parve quello del card. Ballestrero, che ci sapeva fratelli dalla giovinezza e che lo definì con amore “Quel ragazzaccio” per il coraggio con cui, anticipando modalità diverse da quelle in uso, diceva con parresia evangelica quanto altri – a volte lo stesso Anastasio Ballestrero – pensavano ma non esprimevano. Accettandone col sorriso le conseguenze.
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Quanto Luigi Bettazzi, vescovo umile e grande, lascia alla Chiesa e al mondo sarà oggetto di scoperte che ne riveleranno nel tempo la tempra di uomo di Dio, di apostolo infaticabile, di fratello di tutti, di padre degli poveri, di uomo dolcissimo.
È venuto a trovarci soltanto un mese fa con i suoi ultimi piccoli libri. Dopo il saluto comunitario, siamo stati insieme noi due. Era sereno come sempre ma nel salutarlo ebbi il presentimento che non l’avrei rivisto. Glielo scrissi, mi rispose che stava benissimo e sarebbe tornato presto.
Tocca ora a me visitarlo in tempi brevi.
Grazie di questa bella testimonianza sul vescovo Luigi
Bellissima questa memoria viva. Grazie!
Ha girato il mondo, poco la sua diocesi